Il termine “ortodossia”, di origine greca, significa letteralmente “retta dottrina”; a questo significato primario la tradizione ecclesiale orientale ne aggiunge un secondo, complementare al primo, quello di “retta glorificazione”. I due significati esprimono la medesima realtà, cioè la professione della retta fede cristiana, sia essa formulata sul piano concettuale (dottrina) o celebrata nella liturgia della Chiesa (glorificazione).
A partire dai primi secoli del cristianesimo il termine ortodossia venne a esprimere nel linguaggio della Chiesa l'adesione piena al messaggio evangelico originario di Gesù Cristo trasmesso dagli apostoli, senza aggiunte né amputazioni né mutazioni. In quanto fedeli a tale messaggio le Chiese definivano se stesse come ortodosse.
Con il passare dei secoli e l’emergere di dissensi dottrinali all’interno della Chiesa, l’aggettivo “ortodossa” divenne una sorta di qualifica ufficiale con cui alcune Chiese hanno definito se stesse rispetto ad altre, fino a divenire la qualifica identificante di una specifica confessione cristiana e della struttura ecclesiale corrispondente, che si definisce come “Chiesa ortodossa”.
L’ortodossia bizantina rappresenta dunque storicamente una delle quattro confessioni in cui il cristianesimo si è suddiviso, accanto al cattolicesimo, all’ortodossia orientale antica e al protestantesimo. La Chiesa ortodossa di tradizione bizantina è costituita, in effetti, da un insieme di Chiese autonome che si riconoscono in comunione reciproca, condividendo, come vedremo, la medesima fede e tradizione.
Essa si autodefinisce come Chiesa specifica rivendicando la sua piena adesione alla tradizione cristiana delle origini, volendo con questo distinguersi sia dalle Chiese orientali ortodosse pre-calcedonesi, sia dal cristianesimo occidentale, rappresentato dalla Chiesa cattolica e dal protestantesimo. L’aggettivo “bizantina” che accompagna la qualifica di “ortodossa” fa riferimento alla particolare tradizione orientale in cui tali Chiese ortodosse sono inerite, che ha avuto storicamente la sua area di sviluppo nell’impero bizantino e il suo centro principale a Costantinopoli-Bisanzio ed è finalizzata a distinguere con chiarezza le Chiese ortodosse appartenenti a questa tradizione dalle Chiese orientali ortodosse pre-calcedonesi.
Le Chiese ortodosse di cui si tratta in questo articolo rappresentano la tradizione orientale del cristianesimo. Accanto a esse esistono infatti, come abbiamo già accennato, le antiche Chiese orientali ortodosse (di tradizione siriaca, greco-copta, armena, dette anche pre-calcedonesi, e le Chiese orientali cattoliche (con l’eccezione della Chiesa maronita) che nasceranno solo dopo il secolo XVI.
Le prime sono le eredi dirette di quelle Chiese orientali locali che nel V secolo rifiutarono le decisioni e le formulazioni dogmatiche del Concilio di Efeso (431) o del Concilio di Calcedonia (di qui l’appellativo di pre-calcedonesi con cui sono denominate), separandosi così dalla comunione con la grande Chiesa dell’impero romano. Quest’ultima, dagli inizi del IV secolo, era solidamente articolata nella “pentarchia”, ovvero nei cinque patriarcati di Roma, Costantinopoli, Alessandria, Antiochia e Gerusalemme. Il patriarcato di Roma era l’unico patriarcato esistente nella parte occidentale dell’impero romano, mentre nella parte orientale, molto più popolosa ed estesa, i patriarcati erano quattro.
Le sedi patriarcali coincidevano con le città capitali delle province, che avevano acquisito legittimazione religiosa specifica in quanto la nascita della Chiesa cristiana al loro interno veniva connessa alla missione evangelizzatrice di un apostolo o di un evangelista: Pietro e Paolo a Roma, Pietro ad Antiochia, Marco ad Alessandria di Egitto, Andrea a Costantinopoli. A Gerusalemme fu riconosciuto il rango di patriarcato non per la sua importanza politica, ma per il significato religioso unico che la città rivestiva per la fede cristiana e per la nascita della Chiesa.
Prima delle separazioni interne alla Chiesa avvenute in occasione dei Concili di Efeso e di Calcedonia, la parte orientale della grande Chiesa comprendeva dunque interamente i tre patriarcati di Alessandria, Antiochia e Gerusalemme, accanto a quello di Costantinopoli. La prima separazione avvenne al momento del Concilio di Efeso: una parte dei vescovi e delle diocesi del patriarcato di Atiochia ne rifiutò le decisioni dogmatiche e respinse la condanna di
Nestorio, allora patriarca di Costantinopoli, la cui dottrina cristologica fu ritenuta dal Concilio non ortodossa. Queste diocesi si costituirono così in una Chiesa autonoma, che prese il nome di Chiesa di Oriente, tuttora esistente. Un’ulteriore divisione si creò nei patriarcati di Antiochia e di Alessandria dopo il Concilio di Calcedonia: una serie di vescovi si rifiutarono di approvare le formulazioni dogmatiche di quel Concilio, che affermavano le due nature di Cristo (umana e divina) unite nell’unica persona divina, preferendo una formulazione che affermava l’esistenza di “una sola natura incarnata nel Verbo di Dio”. Quei vescovi dettero vita a due nuove Chiese autonome: la Chiesa sirio-ortodossa e la Chiesa copta ortodossa. Quanto alla Chiesa armena, nessuno dei suoi vescovi era presente al Concilio di Calcedonia: essa ne conobbe le formulazioni dogmatiche alla fine del secolo V e si associò alla Chiesa sira e alla Chiesa copta nel rifiutarle, costituendosi anch’essa come Chiesa indipendente.
Queste tre Chiese, insieme alla Chiesa assira di Oriente, costituiscono la famiglia delle Chiese orientali ortodosse e si distinguono, ripetiamo, sia dalle Chiese cattoliche, sia dalle Chiese ortodosse di tradizione bizantina, sia dalle comunità protestanti.
GLI ORTODOSSI NEL MONDO
Il cristianesimo ortodosso è la principale matrice culturale storica delle società dell’Europa orientale e balcanica. Al giorno d’oggi, dei circa 700 milioni di europei, almeno 209 milioni fanno riferimento alla religione ortodossa, cui sarebbero da aggiungere altri 25 milioni i quali, pur non potendo forse essere identificati facilmente come credenti, appartengono tuttavia a società e popoli caratterizzati storicamente dall’appartenenza al mondo ortodosso.
La difficoltà a censire con precisione gli ortodossi in Europa deriva dalla storia recente delle società dell’Europa orientale, caratterizzata fino al 1989 da governi comunisti che per decenni hanno propagandato l’ateismo e perseguitato le Chiese e i credenti, perseguendo una strategia di sistematica secolarizzazione della società e della cultura. Il culmine di questa politica è stato raggiunto nell’Unione Sovietica, dove le Chiese sono state duramente perseguitate. Negli altri paesi caratterizzati dall’ideologia marxista ufficiale, i rapporti tra lo Stato e le Chiese, pur contraddistinti da durezza e forte controllo, hanno avuto toni più diversificati.
A dieci anni dalla fine dei regimi comunisti si è assistito certamente a una forte ripresa religiosa nelle società dell’Europa orientale, anche se le ripercussioni del progetto di ateizzazione coatta del periodo precedente fanno sentire i loro effetti sul piano di valori e della vita associata, in particolare in Russia.
Le stesse Chiese ortodosse, dopo decenni di marginalità imposta, sono tornate a essere attori di primo piano a livello sociale e politico nei propri paesi, e sono accettate come interlocutori dalle élites politiche e culturali. Con la fine del comunismo si assiste, in altre parole, a una rinnovata presenza e vitalità dell’ortodossia, non solo nella dimensione strettamente legata alla pratica religiosa e spirituale, ma anche nella dimensione più articolata della sua rilevanza sociale, culturale, perfino politica.
L’insieme dei cittadini che fanno riferimento all’ortodossia in tali paesi (sottratte le percentuali di appartenenti ad altre confessioni negli stessi Stati), ammonta a circa il 33% del totale dei cittadini dell’Europa. La medesima percentuale scende al 30% se si sottrae circa il 15% della popolazione russa, ucraina e bielorussa, imputando a tale popolazione lo statuto di ateismo.
In sintesi si può dunque dire che circa un terzo degli europei appartiene alla tradizione religiosa e culturale ortodossa, anche se la declinazione individuale di tale appartenenza è assai diversificata. La diversificazione dell’appartenenza è comunque sempre da valutare in relazione all’ortodossia, così come in Europa occidentale lo stesso fenomeno è valutato in rapporto al cattolicesimo e al protestantesimo.
La Russia è certamente il paese ortodosso più importante in termini di popolazione: sono circa 123 milioni i russi di origine ortodossa, dei quali almeno 107 milioni conservano un riferimento alla religione o alla tradizione culturale ortodossa. Se a questi ultimi si sommano gli ortodossi di Ucraina, Bielorussia, Repubblica di Moldavia e le componenti ortodosse dei paesi baltici, l’insieme degli ortodossi d questi paesi rappresentano il 74,5% degli ortodossi dell’Europa e il 72% del totale degli ortodossi nel mondo.
Gli ortodossi dei paesi dell’Europa sud-orientale (regione balcanica) rappresentano il 24,5% degli ortodossi in Europa e il 22,5% del totale degli ortodossi nel mondo, e sono circa 51 milioni (incluse le minoranze ortodosse presenti nei paesi dell’Europa centrale). La Grecia è l’unico paese ortodosso a essere attualmente membro dell’Unione Europea. L’altra regione di antico radicamento dell’ortodossia è rappresentata dal Medio Oriente arabo e dall’area turca, sedi degli antichi patriarcati di Costantinopoli, Alessandria, Antiochia e Gerusalemme. Tuttavia nell’insieme degli Stati arabi mediorientali e in Turchia gli ortodossi sono ridotti a sole 970.000 unità.
In Europa occidentale gli ortodossi sono circa due milioni. La loro presenza è divenuta significativa a partire dagli anni 1920, dopo la rivoluzione russa, che ha causato l’emigrazione in Europa occidentale (specialmente in Francia) di buona parte delle élites culturali russe.
Circa 9.000.000 sono invece gli ortodossi residenti sia nelle Americhe (6.650.000 negli Stati Uniti e Canada, 2.000.000 in Sud America) sia in Australia (circa 450.000). Negli Stati Uniti e in Canada le comunità ortodosse più importanti sono quella greca (circa 3.500.000) e quella russa (circa 1.500.000); a esse si aggiungono le comunità serbe, romene, arabe. In Sud America e in Australia è invece più rilevante, in termini percentuali, la presenza di comunità ortodosse arabe originarie del Medio Oriente.
Infine, abbiamo una tipologia di comunità ortodosse, relativamente giovani, localizzate prevalentemente in Africa, Giappone e altri paesi dell’Estremo Oriente, nate come frutto dell’attività missionaria delle Chiese ortodosse. Le notizie riguardanti una Chiesa in Cina sono oggi invece molto frammentarie, a causa delle persecuzioni subite nel periodo maoista e delle perduranti difficoltà poste dal governo comunista cinese alla libertà di religione.
L'ORGANIZZAZIONE DELLE CHIESE ORTODOSSE
Dal punto di vista strutturale la Chiesa ortodossa non è organizzata in maniera unitaria. Essa è infatti formata da un insieme di Chiese che si riconoscono in comunione reciproca, ciascuna delle quali è però autonoma nell’amministrazione interna e nel governo. La comunione tra le Chiese non trova quindi espressione in strutture unitarie di carattere amministrativo, ma è basata sulla professione della stessa fede e sulla condivisione della medesima tradizione.
L’ortodossia ritiene di essere rimasta fedele al tipo di organizzazione ecclesiale consolidatosi nell’antica Chiesa dei secoli IV-VI sotto l’impero romano, strutturata attorno ai cinque patriarchi di Roma, Costantinopoli, Alessandria, Antiochia, Gerusalemme. In tale contesto il patriarca era l’arcivescovo titolare della sede patriarcale e aveva responsabilità di moderare gli affari ecclesiali della sua provincia ecclesiastica (denominata appunto “patriarcato”) come presidente dell’assemblea (sinodo) dei vescovi delle varie diocesi in cui era suddiviso il patriarcato.
Precise norme canoniche e civili impedivano al patriarca e ai vescovi di un patriarcato di ingerirsi nelle questioni pastorali, amministrative o disciplinari di un altro patriarcato, a meno che non si trattasse di gravi questioni di carattere teologico direttamente connesse con i fondamenti della fede.
Supremo organo decisionale della Chiesa, sia su questioni dogmatiche sia su questioni disciplinari importanti, era il Concilio ecumenico, che riuniva i patriarchi e i vescovi dei cinque patriarcati. Ai patriarcati i Concili riconobbero un rango di onore: il primato spettava a Roma, seguita da Costantinopoli, Alessandria, Antiochia e Gerusalemme. Questo è ancora l’ordine di precedenza dei patriarchi orientali, anche se dopo la separazione della Chiesa cattolica latina di Roma (1054) il primato di onore è passato al patriarca di Costantinopoli.
La Chiesa ortodossa è dunque costituita da una comunione di Chiese autonome. L’autonomia delle Chiese è denominata autocefalia (dal greco autoképhalos, “che ha testa propria”, potere proprio di governo). Nella Chiesa ortodossa non esiste dunque un’autorità personale di governo che eserciti le sue prerogative su tutta la Chiesa, come avviene con il papato nella Chiesa cattolica.
A partire dagli anni 1950 si sono moltiplicati gli sforzi per convocare un Concilio pan-ortodosso, cui partecipino patriarchi, vescovi, rappresentanti dei preti e dei laici di tutte le Chiese per affrontare le questioni più urgenti e rilevanti poste dai profondi cambiamenti culturali, politici ed economici avvenuti nel mondo, che influiscono non poco sulla società e dunque sull’azione e sulla vita della Chiesa. A questo scopo si sono tenuti vari sinodi pan-ortodossi preparatori su iniziativa del patriarca ecumenico di Costantinopoli.
All’interno di ogni Chiesa la somma autorità di governo è costituita da uno o più organi assembleari presieduti dal patriarca o dall’arcivescovo maggiore. In alcune Chiese l’organo assembleare è unico, ed è denominato Santo Sinodo.
A seconda delle Chiese esso può comprendere o tutti i vescovi della Chiesa autocefala o soltanto un numero più ristretti di essi. Trattando dell’organizzazione interna delle Chiese ortodosse resta infine da menzionare il ruolo fondamentale svolto in esse dal monachesimo, nella sua duplice valenza di testimonianza spirituale e di “custode” dell’ortodossia dottrinale. Le Chiese ortodosse non hanno conosciuto l’evoluzione interna alla vita religiosa che ha caratterizzato la Chiesa latina: al loro interno il monachesimo di origine tardo-antica rimane l’unica forma di vita consacrata esistente, in cui trovano però espressione una pluralità di tipi di vita che vanno dal rigido eremitismo alla vita semieremitica delle laure fino alla vita cenobitica in senso pieno.
Tratto caratteristico del monachesimo orientale è la sua apertura verso il popolo: i monaci praticano l’ascesi come esercizio di una responsabilità interiore per tutta la Chiesa; per molti di loro tale responsabilità diviene esercizio concreto della paternità spirituale, che li pone in relazione con una molteplicità di persone.
I magnifici monasteri medievali che ancora oggi caratterizzano i paesi ortodossi, sono la testimonianza più eloquente del ruolo del monachesimo nelle Chiese e società ortodosse.
ELEMENTI DI TEOLOGIA ORTODOSSA
Come si è detto, l’unità delle Chiese ortodosse non è riscontrabile sul piano strutturale e organizzativo. L’unità dell’ortodossia è vista essenzialmente come comunione di tutte le Chiese ortodosse nel professare la stessa fede e nel condividere la medesima tradizione nei suoi diversi aspetti: dottrinale, liturgico (il rito bizantino), sacramentale e canonico. Riguardo alla professione della stessa fede, tutte le Chiese ortodosse riconoscono come normativi per le questioni fondamentali i primi sette Concili ecumenici, cioè i grandi Concili dell’antichità svoltisi tra il 325 e il 787. I primi due Concili (Concilio di Nicea I e di Costantinopoli I) hanno trattato il primo mistero fondamentale della fede cristiana, cioè il mistero trinitario. Essi hanno definito dogmaticamente la fede nella Trinità, unico Dio in tre persone (Padre, Figlio e Spirito Santo), eguali nella divinità e nella comune sostanza divina.
I successivi quattro Concili (Concilio di Efeso, di Calcedonia, di Costantinopoli II e III) si sono occupati invece di definire nei particolari il dogma cristologico, incentrato sul mistero dell’incarnazione del Verbo di Dio e sulla affermazione della “divino-umanità” di Gesù Cristo. Questi Concili formulano il dogma fondamentale che Gesù Cristo è vero Dio e vero uomo, quindi è costituito da una sola persona (divina) che ha però come proprie due nature integre, la natura divina e la natura umana assunta. Il settimo Concilio (Nicea II) si è invece occupato della venerazione delle immagini sacre, ponendo fine all’iconoclasmo e affermando sul piano dogmatico la liceità della rappresentazione figurativa di Cristo, della Madre di Dio e dei santi e della venerazione delle loro icone da parte dei fedeli.
La fede della Chiesa ortodossa coincide nei punti fondamentali con quella della Chiesa cattolica, proprio perché le due Chiese riconoscono come patrimonio comune i primi sette Concili ecumenici, ben anteriori alla loro divisione del 1054. Medesima è la fede nella Trinità unico Dio, in Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, per mezzo del quale la Trinità compie la redenzione dell’uomo. Praticamente eguale, anche se con sfumature proprie, è la dottrina sacramentaria. Anche la Chiesa ortodossa riconosce i sette sacramenti come atti rituali di istituzione divina, affidati al ministero della Chiesa, in cui Dio agisce direttamente e comunica ai fedeli la sua vita divina immettendoli e facendoli crescere nella comunione con sé.
Vi sono differenze nell’amministrazione dei sacramenti dell’iniziazione cristiana (battesimo, cresima, eucarestia), che nella Chiesa ortodossa, seguendo la tradizione antica, sono conferiti insieme al momento del battesimo; nella compatibilità tra sacramento dell’ordine sacro e sacramento del matrimonio, per cui nella Chiesa ortodossa sono ordinati preti anche uomini sposati; nella liceità delle seconde e terze nozze in caso di divorzio. Sebbene la fede della Chiesa ortodossa e della Chiesa cattolica sia sostanzialmente uguale, tuttavia la medesima fede è espressa con prospettive teologiche diverse. Esistono poi almeno due punti importanti di tradizionale disaccordo dottrinale, cui se ne può aggiungere un terzo oggi meno rilevante.
Per quel che riguarda le diverse prospettive teologiche con cui la stessa fede è espressa, si possono menzionare due questioni particolarmente rilevanti: la comprensione del dogma trinitario e la soteriologia, ovvero il modo di comprendere ed esprimere la salvezza dell’uomo in Cristo. Riguardo al dogma trinitario, la tradizione teologica occidentale è stata propensa a considerare in primo luogo l’unità di natura, specificata poi dalle tre persone viste come relazioni che si definiscono reciprocamente nella natura comune. La tradizione orientale parte invece dalla trinitarietà delle persone divine, che hanno come contenuto comune la natura divina e sono in reciproca relazione così stretta da essere un solo Dio. E' chiaro che la fede trinitaria è la stessa: nel primo caso tuttavia si accentua la natura comune, nel secondo caso la dimensione personale della Trinità.
Per esprimere i contenuti e la qualità della salvezza ricevuta dall’uomo in Cristo, nel mondo cattolico latino è prevalsa un’idea di salvezza strettamente collegata al peccato. La salvezza è in primo luogo, e talvolta esclusivamente, espressa come liberazione da uno stato di peccato. La teologia ortodossa ha invece preferito evidenziare la dimensione positiva, di comunione rinnovata con Dio, propria della salvezza: più che insistere sulla liberazione dal peccato, essa preferisce definire la salvezza come “divinizzazione dell’uomo”, cioè come possibilità reale offerta all’uomo tramite l’opera salvifica di Cristo e dello Spirito Santo, di vivere una vita di piena comunione con Dio Trinità. La teologia ortodossa inoltre non accetta il concetto di purgatorio sviluppatosi in Occidente. L’ortodossia esprime un concetto in qualche modo analogo, ritenendo che dopo la morte possa continuare per gli uomini salvati il cammino di progressiva purificazione e divinizzazione proprie della vita cristiana, fino a giungere alla perfetta unione con Dio.
GLI SCISMI
L’ortodossia non ha conosciuto al proprio interno scismi di grande rilievo, in qualche modo paragonabili alla Riforma protestante avvenuta all’interno della cristianità latina. La Riforma protestante ha infatti assunto la dimensione di una vera e propria reinterpretazione del cristianesimo, giungendo a esprimere differenze profonde sul piano dottrinale sia rispetto alla Chiesa cattolica sia rispetto alle Chiese ortodosse, benché queste ultime non siano state direttamente coinvolte dal processo che ha condotto allo scisma, rimasto un evento tutto occidentale.
Tuttavia anche all’interno dell’ortodossia esistono Chiese e movimenti scismatici che possono essere classificati in quattro tipologie:
1) scismi avvenuti per motivi di carattere liturgico locale, ma che si sono poi arricchiti di altre motivazioni dottrinali e culturali: l’unico esempio di questa tipologia è lo scisma dei Vecchi credenti, avvenuto nella Russia del secolo XVII;
2) piccoli scismi di carattere locale legati al rifiuto di adottare il nuovo calendario gregoriano;
3) formazione di Chiese scismatiche nella diaspora europea e americana nel secolo XX, come atto di contestazione contro le rispettive Chiese della madrepatria accusate di compromessi con i regimi comunisti;
4) scismi legati alla proclamazione unilaterale di autocefalia da parte di alcune Chiese locali.
Lo scisma dei Vecchi credenti si è sviluppato in Russia nel secolo XVII come reazione alle riforme liturgiche promosse dal patriarca Nikon (1605-1681). L’obiettivo delle riforme era di adeguare gli usi liturgici e rituali della Chiesa russa con quelli della Chiesa ortodossa di Costantinopoli, espungendo o cambiando tutta una serie di forme rituali che si erano sviluppate in Russia in modo autoctono e che non sembravano rispecchiare fedelmente le antiche tradizioni ortodosse della Chiesa orientale.
Attualmente i Vecchi credenti sono circa 3.000.000, presenti soprattutto nella Federazione Russa e in Romania. Esistono parrocchie di Vecchi credenti anche nella diaspora americana, australiana ed europea. La seconda tipologia di Chiese scismatiche è quella delle Chiese vetero-calendariste, sviluppatesi in Grecia, in Romania e in Bulgaria. Si tratta di scismi nati nelle prime decadi del secolo XX, quando le Chiese ortodosse di Grecia, di Romania e di Bulgaria adottarono il calendario gregoriano per regolare il ciclo dell’anno liturgico. Una serie di gruppi di ortodossi conservatori guidati da alcuni vescovi in Grecia e in Romania non accettarono questa scelta e rimasero fedeli all’antico calendario giuliano, accusando di eresia e di allontanamento dalla tradizione le proprie Chiese che avevano adottato la riforma.
Lungi dal costituire un gruppo omogeneo, i vecchi calendaristi sono divisi in varie branche che fanno capo a diversi vescovi in perenne competizione reciproca. Presenti soprattutto in Grecia e in Romania, hanno diocesi e parrocchie anche nella diaspora, dove si sono sviluppate anche Chiese calendariste di nuova origine. Una terza tipologia di chiese non canoniche è costituita dalle Chiese scismatiche della diaspora, nate nella prima metà del secolo XX per iniziativa di gruppi di fedeli e di vescovi emigrati in Europa occidentale e in America dai paesi dell’Europa orientale caduti sotto i regimi comunisti. Poiché questi gruppi rimproveravano alle proprie gerarchie rimaste in patria di essere scese a compromessi con i governi comunisti, cessarono di riconoscere la loro legittimità canonica e fondarono strutture ecclesiastiche parallele nella diaspora. La più nota e numericamente consistente di queste Chiese è la Chiesa ortodossa russa fuori frontiera (o dell’emigrazione), presente soprattutto in America.
La sede metropolitana del primate è a New York. Essa conta circa quattrocento tra parrocchie e monasteri, localizzati prevalentemente negli Stati Uniti, ma anche in Canada, Australia, Nuova Zelanda, Gran Bretagna, con presenze minori anche in altri paesi dell’Europa occidentale. La quarta tipologia di Chiese scismatiche è rappresentata da quelle Chiese che avendo proclamato unilateralmente la propria autocefalia nei riguardi della Chiesa ortodossa canonica locale di cui erano parte integrante, si sono poste in posizione scismatica, poiché il loro atto non è stato conforme alle procedure canoniche e non ha avuto il riconoscimento né della Chiesa madre né delle altre Chiese ortodosse.
Andrea Pacini
(Il presente articolo è un estratto del libro: "Le Chiese Ortodosse" di Andrea Pacini, Torino 2000)
https://sites.google.com/site/illinguaggiodeglidei/religioni-nel-mondo/chiese-ortodosse/le-chiese-ortodosse
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