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mercoledì 31 dicembre 2014

Marò, gli indiani si incazzano con Napolitano, che fa una figura barbina

Irritati dalle recenti dichiarazioni del Capo dello Stato durante l’incontro con Matteo Renzi, da New Delhi fanno sapere che la magistratura è indipendente e che agirà in modo equo. La stampa italiana guarda il dito (India) e non la Luna (Italia)
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Torniamo sulla questione dei marò – rectius: fucilieri della Brigata anfibia San Marco – per rilevare l’ennesima pessima figura dell’Italia nella Comunità Internazionale. Per chi non lo sappia, il Capo dello Stato rappresenta il Paese all’estero, nel consesso internazionale. Ne consegue che una critica rivolta al presidente della Repubblica è una critica al Paese intero (a prescindere dalla fondatezza o meno dei rilievi).
Cosa è accaduto qualche giorno fa? Che il presidente Napolitano, in modo improvvido, lunedì scorso ha dichiarato che l’India avesse mostrato “scarsa volontà politica” per risolvere la controversia con l’Italia con una “soluzione equa”. Un’accusa che non avrebbe dovuto essere manifestata in pubblico, ma semmai rivolta per vie riservate e diplomatiche, in quanto offensiva del sistema giudiziario, formalmente indipendente e fondato sulla rule of law,  di un altro Paese. Un errore.
Ieri, il ministero degli Esteri di New Delhi – tramite una dichiarazione del portavoce Syed Akbaruddin – di fattoha preso per ignoranti il capo dello Stato e tutta Italia, precisando che il dialogo tra i governi è un fatto positivo, “la questione è sottoposta al giudizio del sistema giudiziario indiano che è corretta e imparziale”, ha dichiarato.
Veramente un po’ troppo.
Il che però ci deve indurre a riflettere ancora una volta sulle mancanze italiane, non sulle cialtronerie indiane. E la deficienza italiana – politica, of course - deriva da ignoranza o malafede?
L’interrogativo è stato ribadito anche dall’ex ministro degli Esteri del Governo Monti, Giulio Terzi, che da tecnico della materia (e profondo conoscitore degli aspetti giuridici e diplomatici internazionali) non si capacita della catena di scelte incomprensibili compiute fin dall’inizio di questa storia vergognosa e perfino ai danni della sua conduzione della politica estera italiana quale titolare pro tempore della Farnesina.
Terzi – in un’intervista a Lorenzo Bianchi su QN ha così sintetizzato la posizione dell’Italia (con una continuità indecente) sulla questione: «L’Italia evita le vie maestre del diritto e sceglie invece i sentieri della giungla ».
Il Paese che dovrebbe essere la culla del diritto, preso a sassate da chi il diritto internazionale lo ha vilipeso a più riprese, nel silenzio della Comunità Internazionale che finge di non capire il pericoloso precedente costituito da una indagine illegale, in violazione del diritto internazionale marittimo, per fatti accaduti in acque internazionali e per questo sottoposti al vigore dello Stato di bandiera (nella fattispecie l’Italia).
Infatti, l’ex ambasciatore alle Nazioni Unite, Washington e Tel Aviv ha posto oggi una questione fondamentale: l’internazionalizzazione della controversia di fronte al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, l’organo che si occupa della pirateria marittima e che ha deliberato sul problema numerose risoluzioni.
Il mancato riconoscimento delle guarentigie funzionali ai due sottufficiali della Marina Militare Italiana – Massimiliano Latorre e Salvatore Girone – costituisce un pericolo per tutti i militari di tutti i Paesi partecipanti alle missioni sotto l’egida delle Nazioni Unite.
Se l’Italia agisse in seno al Consiglio di Sicurezza – aprendo una discussione sulla questione – porrebbe alla Comunità Internazionale il problema in generale, ma allo stesso tempo rafforzerebbe gli argomenti da porre di fronte a un arbitrato internazionale aperto secondo l’Allegato VII del Trattato di Montego Bay 1982(UNCLOS più volte citato) e perfino di fronte a un’azione giudiziaria di fronte alla Corte Internazionale di Giustizia.
Una mossa strategica che rafforzerebbe la posizione italiana, ma che per un mistero insondabile i tre governi che se ne sono occupati non hanno intrapreso, rafforzando il dubbio che dietro la questione vi sianomotivi inconfessabili e occulti, di natura non solo economica, in danno dell’Italia.
Neanche di fronte all’ipotesi umanitaria – grazie all’intervento del presidente della Croce Rossa Internazionale, Peter Maurer, che offrì nel luglio scorso i propri buoni uffici al Governo per cercare di risolvere la questione – il Trio Renzi-Mogherini-Pinotti ha agito. E anche l’UE – grazie alla sollecitazione di Laura Comi – non ha agito.
Un tema – quello degli aspetti umanitari – che a nostro modo di vedere costituisce una umiliante reductio della controversia, su cui ci sono alcuni punti fermi:
  • due pescatori sono stati uccisi in acque internazionali;
  • l’India accusa dell’assassinio due militari italiani in servizio antipirateria su una nave italiana;
  • le indagini su questo duplice omicidio spettano al giudice naturale, che secondo l’articolo 97 di UNCLOS è il giudice dello Stato di bandiera della nava (nella fattispecie il Tribunale di Roma, competente per i reati commessi da italiani all’estero);
  • il calibro dei proiettili che hanno ucciso i due poveri pescatori del Kerala non sono dello standard usato dai militari dei Paesi aderenti all’Alleanza Atlantica e alla NATO;
  • l’India ha violato il diritto internazionale marittimo (articolo 300 UNCLOS e il succitato articolo 97), la Convenzione di Vienna del 1961 sulle immunità diplomatiche (limitando i movimenti dell’ambasciatore italiano in India, Daniele Mancini) e smentendo gli obblighi derivanti dall’articolo 100 dell’UNCLOS sulla cooperazione internazionale contro la pirateria (su cui l’ambasciatore Terzi fonda l’idea di agire in sede ONU);
  • infine, i governi italiani succedutisi (Monti, Letta e Renzi) hanno collezionato una serie incredibile di errori talmente gravi da far pensare a inazione deliberata.
Di fronte a tutto questo l’interrogativo inevaso è ancora lo stesso: perché? Quali inconfessabili interessi tra Roma e New Delhi si nascondono e impediscono che l’Italia chieda e agisca per il ripristino del diritto internazionale?
Post Scriptum
Analoghe considerazioni sull’ immobilità e l’inazione del Governo italiano si possono fare riguardo alla situazione che coinvolge nelle Filippine l’ambasciatore Daniele Bosio, accusato – più o meno – di comportamenti non corretti verso minori (ché neanche l’esposto che ha avviato l’incresciosa vicenda denunzia atti di pedofilia), invischiato nel sistema giudiziario filippino e abbandonato dalla Farnesina. Ma è un’altra vergognosa storia italiana.

http://www.horsemoonpost.com/2014/12/27/maro-gli-indiani-si-incazzano-con-napolitano-che-fa-una-figura-barbina/

venerdì 19 dicembre 2014

5 stranieri arrestati Dai Carabinieri a Foggia per rissa

 

Violenta rissa nella zona di Viale Stazione tra extracomunitari. L’allarme è scattato intorno alle 15:30 di lunedì scorso, quando alcuni cittadini hanno segnalato al 112 un’animata rissa tra cittadini romeni ed iracheni che, per motivi ancora da chiarire, erano ricorsi alle vie di fatto; il passaggio dagli insulti alle mani, e successivamente a vari oggetti utilizzati come armi – tra cui un crick sequestrato dai militari – è stato abbastanza veloce ed ha reso più cruenta la scena del reato. Quattro partecipanti – di cui due sono stati condotti in ospedale per le cure del caso – sono stati subito identificati ed arrestati per rissa aggravata. Si tratta di due romeni Daniel CALDERARU, di anni 33 e Manix LACATSU, 28enne, entrambi senza fissa dimora, e di due cittadini iracheni ospiti del CARA di Bari, Mohammed ALI NAREMAN, 27enne, e Derin AHMED, di anni 20. La rissa, nata dall’aggressione di cinque romeni (tra cui i due arrestati) nei confronti dell’AHMED, è scoppiata nei pressi dell’internet point di via Isonzo, degenerando in un secondo momento presso l’ufficio postale di Viale XXIV Maggio, dove gli iracheni hanno raggiunto i loro aggressori per vendicarsi dell’offesa subita. I quattro sono stati immediatamente bloccati e tratti in arresto dai militari dell’Arma, che ne hanno associati tre alla casa circondariale di Foggia mentre il quarto, Derin AHMED, si trova ancora ricoverato in prognosi riservata agli Ospedali Riuniti di Foggia, per aver ricevuto tre fendenti alla schiena con un coltello.
Le indagini dei Carabinieri sono continuate in maniera frenetica anche nelle ore successive per individuare altri partecipanti alla rissa; difatti acquisiti i filmati delle telecamere presenti in zona, i militari dell’Arma hanno rintracciato e bloccato, dopo un breve inseguimento a piedi nei pressi del pronto soccorso di Foggia, un altro cittadino iracheno che aveva preso parte alla colluttazione del giorno prima; si tratta di HAMIN SAID Dani, di anni 27. Lo straniero è stato arrestato e tradotto al carcere di Foggia a disposizione dell’autorità giudiziaria.
(c.s.)

http://www.studio9tv.com/5009-5-stranieri-arrestati-dai-carabinieri-a-foggia-per-rissa

giovedì 18 dicembre 2014

Visita al Ghetto

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Viaggio nel nuovo schiavismo

Visita al Ghetto

Una città di baracche dove pochi volontari italiani cercano di aiutare quindicimila immigrati: è il Ghetto di Rignano, vicino a Foggia. Dove gli essere umani sono solo braccia. A tre euro l'ora
Sulla statale 655, la Bradanica, i camion corrono uno dietro l’altro, come su un tapis roulant. Portano dal foggiano al salernitano i cassoni pieni di pomodori, appena raccolti e stivati sui campi. In fretta in fretta. I pomodori vanno lavorati subito, per farne pelati o per la salsa apprezzata in tutto il mondo. Apprezzata, però fino a un certo punto; il perché comincia a Lampedusa.
Anzi, prima. Comincia nei paesi africani martoriati da guerre e povertà. Paesi ricchi impoveriti dall’avidità e dalla corruzione dei loro governanti, spesso appoggiati e incoraggiati dalle multinazionali del nostro “civile” mondo occidentale. Chi sta alla base della piramide economica non ha molta scelta se non andar via. Chi lo fa è per lo più la meglio gioventù: gente coraggiosa e intelligente, che ha voglia di lavorare, che sopporta fatiche inaudite, che scommette sulla possibilità di migliorare la propria vita e quella della famiglia.
scuola-pistaLa loro strada è stata raccontata più volte, da reportage e romanzi. Il primo approdo – per chi, almeno, non ha i soldi per pagare un biglietto aereo – è Lampedusa. Pensano di essere arrivati nella ricca Europa, invece sono tornati al casello di partenza, un nuovo casello: il percorso per l’emancipazione purtroppo è ancora lungo. In Sicilia, prima. Poi in Calabria e in Campania. Infine in Capitanata: il Tavoliere delle Puglie ha da tempo vocazione agricola, e in agricoltura servono braccia, tante, al momento della raccolta. Lo sapevano i nostri braccianti italiani, che arrivavano dal Gargano, osteggiati e emarginati dai contadini foggiani. Oggi i braccianti sono in gran parte africani, asiatici e dell’Europa dell’est: albanesi, rumeni, bulgari…
A girare per Foggia non si direbbe. Sì, ci sono i venditori di fazzoletti ai semafori, come in tutte le città. Ci sono i cercatori di ferro e abiti dismessi nei cassonetti. Ma i braccianti sono invisibili, se non li si incontra nei discount, dove vanno a fare la spesa “grossa”, o negli ospedali dove arrivano gli infortunati. Se non si fa parte dei “Fratelli della stazione”, associazione di avvocati che difende dai soprusi più inaccettabili chi ha il coraggio di fare denuncia: della Caritas, che ha un progetto dedicato alla lotta per l’emersione del lavoro nero; o di Cgil e Cisl che cercano di difendere i lavoratori; o di Campagne in lotta o Io ci sto, che organizzano campi di lavoro per insegnare l’italiano, per informare sui diritti, per fare ciclofficina così da garantire chi vive nelle campagne la manutenzione dell’unico mezzo di trasporto che li renda autonomi.
ghetto2Dove sono, allora i braccianti? Vivono nelle campagne, nei casolari abbandonati, nelle fabbriche dismesse. Nel territorio di Rignano, 12 chilometri da Foggia, c’è il Ghetto, reso ormai famoso dai servizi giornalistici e dai filmati della Bbc. Una lieve depressione della campagna, e attorno a tre vetuste masserie è sorto un villaggio di baracche – scheletro di legno, copertura di plastica delle serre tenuta ferma dai tubi di irrigazione, all’interno tende sulle pareti fatte di cartoni e compensato, le porte sono spesso ante di armadi trovate in discarica – da mille e cinquecento persone, per lo più africane. Eccolo, il Ghetto, la città informale. C’è autorganizzazione e solidarietà. C’è illegalità, anche. C’è sfruttamento: qui i caporali (i capibianchi e i loro sottoposti, icapineri) vengono a cercare braccia, e sottrarsi ai loro “servizi” vuol dire spesso restare senza lavoro. Passano la sera, formano le squadre, la mattina alle 5 arrivano con i pulmini e caricano fino a venti persone per portarle sui campi. In cambio, oltre alla tariffa per il trasporto e il panino, la gestione delle paghe: 5 euro a cassone da cento chili, ma a chi lavora arrivano solo 3.50 euro, circa tre euro l’ora. Il resto va ai caporali.
Possibile? Sì. Le paghe sono ancora quelle degli anni ’60, nel frattempo il prezzo del pomodoro – al mercato o in barattolo – è più che raddoppiato. E l’industria dello sfruttamento ingrassa. In modo così evidente che, nel settembre scorso, i reportage della Bbc sulla schiavitù nei campi di pomodori ha fatto partire il boicottaggio dei prodotti italiani, in gran parte pugliesi. Anche per fermarlo, ecco il progetto della Regione, un bollino Equapulia che garantisca che quel prodotto sia stato raccolto con lavoro pulito. Il progetto, molto articolato, prevedeva una tendopoli – accanto a Casa Sankara, albergo diffuso di San Severo – per separare anche fisicamente chi lavora regolarmente dai caporali. Oltre alla creazione di una lista di lavoratori disponibili, facilitazioni per agricoltori e imprese se avessero fatto contratti regolari pescando dalle liste. Dunque l’autosvuotamento progressivo del Ghetto. Bellissimo progetto, forte la carica di utopia: le liste hanno raccolto più di 500 firme, ma dalle aziende nulla, se non una disponibilità generica. E la tendopoli, ovviamente, è rimasta vuota: nessuno si trasferisce in un luogo dove non c’è lavoro se non hai un contratto in mano.
Ghetto-ristoranteIl Ghetto, dunque, continua restare lì, a vivere come ogni anno, i camioncini che vanno su e giù zeppi di lavoratori, la sera mercato, baretti e ristoranti da villaggio africano, con la solita fetta di illegalità. Pochi gli italiani, se non i volontari della scuola di italiano, di Radio Ghetto, della ciclofficina; e dei clienti delle prostitute.
Non c’è solo il Ghetto. Se il Ghetto è una città, nel bene e nel male, ci sono anche le masserie abbandonate e riempite alla bell’e meglio, Borgo Tre titoli, la pista dell’aeroporto militare.
Già, la pista. Tremila metri di lunghezza per 30, un deposito carburanti, due bunker e qualche hangar, è stato usata da americani e britannici durante la guerra come aeroporto per i bombardieri militari. Un lungo abbandono e poi, accanto alla pista, ecco l’arrivo di un Cie (centro identificazione e espulsione) che poi è diventato un Cara, centro accoglienza richiedenti asilo. Chi abita lì dentro non è segregato legalmente, ma lo è nei fatti. Cancelli e guardia armata all’ingresso e poi, se si gira attorno alla struttura, non buchi ma voragini nella recinzione. Durante un’emergenza, l’affollamento del Cara è stato affrontato allestendo container lungo la pista, una surreale fila di container da un lato e, più radi, gli edifici per i bagni dall’altro. Finita l’emergenza, i container sono stati occupati da senza casa, per lo più braccianti africani, che dormono nei vecchi letti a castello. Non è una città, non ci sono spazi comuni, niente che sia una piazza se non lo spazio davanti “casa”, anche se c’è qualche bar e una chiesa pentecostale. Di giorno i container sono roventi, ci si va solo per dormire e per il pasto della sera. Quest’anno, nel pomeriggio, ci sono anche la scuola di italiano e la ciclofficina, gestiti da volontari italiani.
pista tramontoIsaac viene da dieci giorni, sa scrivere solo in arabo, niente inglese. Amadou è senegalese, parla wolof e francese. Fathy conosce bambarà e poular, oltre all’inglese. Il maliano Sadà sa anche il tedesco, poco utile in Italia. Mohammed e i suoi tre amici sono marocchini, in Italia da tre giorni: vivono nel Cara dove la scuola c’è, ma vogliono imparare ancora, e ancora… Fogli, matite e la volontà di comunicare, il bisogno di poter prendere la parola, di spiegarsi, e senza italiano come si fa? Nella scuola nascono relazioni e discussioni, attorno alle biciclette incontri e fiducia. E se c’è fiducia ci si racconta la propria storia. Restiamo umani, almeno qui.
E intanto il vento spazza la pista, attorno il nulla. Sembra un luogo senza tempo, e invece è così figlio dell’oggi. Oltre la recinzione militare i campi e i campi e i campi. In attesa di braccia che invece sono uomini.
di Ella Baffoni
http://www.succedeoggi.it/2014/08/visita-ghetto/
Le fotografie sono di Ella Baffoni

Meridione dimenticato : L’Arcadia di Accadia

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Meridione dimenticato

L’Arcadia di Accadia

Visita guidata al "Rione Fossi”, propaggine fantasma di Accadia nel cuore dei monti Dauni. Una città di case nella roccia e grotte preistoriche abbandonate nel 1930
Percorrendo la provinciale 101, incontrata immediatamente all’uscita di Candela dell’autostrada A16, si ha per diversi chilometri la sensazione di essere soli-veramente-soli e che bisognerà aspettare di arrivare alla meta per soddisfare qualunque bisogno. Invece, all’improvviso, in mezzo alla deserta campagna punteggiata di olivi e pale eoliche, spunta una stazione di servizio. Nell’area ci sono un paio di auto parcheggiate, un tir anche se è domenica e alcuni attempati ciclisti amatoriali in pausa di riflessione. Ma la sorpresa è dentro il locale, che non si chiama “La buona sosta” o “da Pinuccia”, ma Piper. Un paravento separa la zona bar da un’ampia, elegante sala ristorante, sicuramente usata per cerimonie importanti, e tutte le pareti sono abbellite da ritratti in bianco e nero di Patty Pravo (naturalmente), Battisti, Mina, Marylin e Jimi Hendrix. Apprezzo – stupita – lo stile, il caffé e i bagni impeccabili e riparto sotto la protezione di questi numi tutelari.
accadia3Pochi chilometri ancora e arrivo ad Accadia, che è un piccolo comune a circa 600 metri nel mezzo dei Monti Dauni, in provincia di Foggia ma più vicino ad Avellino. Oggi c’è un convegno, che sotto il titolo Le idee per Accadia, riunisce l’Associazione “Borghi Autentici d’Italia”, l’università Suor Orsola Benincasa, un premio ai due migliori maturati del locale liceo scientifico e tante voci che ragionano sulla valorizzazione del territorio.
Il convegno si tiene nelle sale del Museo Civico, dove trovo mescolatamente esposti reperti di epoca romana, medievale e contadina: ieratiche statue di santi che sembrano totem e il banchetto di lavoro di un calzolaio del secolo scorso; il cippo funerario delle osse di Congetta Rosanna (sic) e un torchio arrugginito, pietre millenarie e due macchine per scrivere. Ma non è questo che m’interessa, e neppure il dibattito, ho una sola cosa, in testa: vedere il Rione Fossi.
Il Rione Fossi è la parte più estrema dell’abitato, posto alla fine del corso principale, ai piedi dell’imponente Torre dell’Orologio, che è il monumento-icona che ho già visto su internet. A guardarlo sulla piantina presa alla Proloco, fa pensare alla testa di un uccello in volo; guardare il panorama in cui è immerso suggerisce che tra queste morbide colline e ciuffi d’alberi alberghi un genius loci. Ma il Rione Fossi, il più antico insediamento urbano di Accadia, con case scavate nella roccia e in grotte preistoriche, è un quartiere fantasma, abbandonato dopo uno dei tanti terremoti che hanno colpito la zona, quello del 1930.
accadia2Ed è un posto immediatamente fascinoso, contraddittorio, arioso e magico, che giro in completa solitudine (sono tutti al convegno), stupendomi per la bellezza del sito e per l’alternanza di edifici ristrutturati e diroccati. Da un lato ammiro una lunga, panoramica strada selciata, con bei lampioni e bassi edifici in pietra chiara, facciate ordinate e sottili ringhiere nere. Le case sono state ristrutturate, hanno solide imposte in legno scuro, i solai resi sicuri da travi in ferro, la cassetta dell’Enel. Dall’altro trovo soffitti caduti, crepe nei muri o pareti diroccate, finestre senza imposte e archi sventrati da cespugli. Qui è tutto un ammasso di pietre rotolate, di infissi divelti e consumati dalla pioggia, montagnole di irriconoscibili detriti.
Quest’alternanza di situazioni mi provoca sbigottimento e rammarico, ma non disagio, e neppure paura. Penso alla vita che c’è stata e che poi s’è fermata, per trasferirsi altrove, poco più su, in un posto meno bello. Penso alla vita che qui potrebbe tornare, non mi stupirei se ora questo silenzio si riempisse di voci e rincorse di bambini, del tocco di mezzogiorno delle campane, della sigla del telegiornale. E penso, naturalmente, ai convegnisti, alle loro “idee per Accadia” e a quanto sarebbe stato bello tenerlo qui, il convegno, nella bellezza riparata a metà del Rione Fossi, che attende ancora la sua destinazione d’uso.
Ritornando in paese mi scopro malinconica. Evito la ressa dell’invitante aperitivo offerto in piazza ai convegnisti e quasi scappo. Mi fermo al Piper, come a un posto acquisito, per un panino e un succo. Le facce di Patty Pravo e degli altri santini mi sorridono.
di Tina Pane
http://www.succedeoggi.it/2014/09/larcadia-accadia/

Foggia & Segreti

Tomba della Medusa foggia
Visita ai tesori abbandonati

Foggia & Segreti

La Tomba della Medusa di Arti, le rovine di Hortonia... sapevate che Foggia è piena di meraviglie d'arte? Peccato che nessuno si dia cura di preservarle e promuoverle
Foggia, per esempio. Una città relativamente nuova: dopo i sanguinosi bombardamenti che l’hanno devastata (e i danni dei precedenti terremoti) è stata ricostruita nel dopoguerra. Male, come avveniva allora: palazzina dopo palazzina, magari addossata a un edificio di pregio. Così, nonostante i lacerti di centro storico, il cuore della città somiglia molto a una periferia. Eppure. Eppure ci sono anche qui tesori nascosti. E non solo negli ipogei che la crosta di asfalto nasconde, cuore celato a chi non lo conosce di storia e memoria. A dare un’occhiata anche superficiale al Museo Civico si capisce subito: colpisce la ricostruzione della Tomba della Medusa, i suoi colori, il pregio delle finiture, e quella testa che guarda, cieca e accecante, a guardia di un aldilà misterioso. È dell’epoca daunia, 2.400 anni fa, singolare e ricca cultura preellenica.
medusa foggiaDov’è la tomba, quella vera? Appena fuori città, ma può trovarla solo chi la conosce. A pochi metri dalla superstrada A14, località Arpi, avrebbe dovuto essere aperto un punto di ristoro per viaggiatori, a cui offrire con il caffè e il wc anche una visita a un luogo di arte e storia. Fallito il progetto, mai fatto lo svincolo, la tomba ipogea è protetta da una costruzione di cemento, metallo e vetri, una sorta di fermata di metropolitana piantata nel nulla. Anzi, sarebbe protetta se almeno il lavoro fosse stato consegnato: bloccato da un contenzioso legale con la ditta appaltante, invece, è solo abbandonato, tirassegno per vandali. Divelte le recinzioni, frantumate a pietrate le vetrate, le colonne di cemento in lento disfacimento eppure ancora involtate nella plastica, mosaici e decorazioni pittoriche sulle pareti quasi completamente compromessi. La tomba vera è lì, con quel che resta delle sue pareti pitturate, con i letti funerari e un fascino indicibile.
È lì, preda di chiunque ma visitata da nessuno: una colonna è stata abbattuta per trafugarne il capitello. Chi volesse inerpicarsi fino a lì sui tratturi tra i campi agricoli (pomodori d’estate, cavoli finocchi e asparagi d’inverno) non incontrerebbe che gli sguardi ostili di chi lavora nei campi. E lo sgonnellare veloce di qualche prostituta che si nasconde sotto la strada o a ridosso della tomba con un suo cliente. Basterebbe poco a rimettere in sesto la zona, passando sopra all’estetica di quel brutto edificio di protezione. Ma tutto resta così, tanto che c’è chi parla, ora, di riseppellire la Tomba della Medusa per, almeno, preservarla com’è. Una resa.
Herdonia foggiaEppure. Un salto di qualche secolo e qualche decina di chilometri e ecco Herdonia, a ridosso di Ordona. Una città romana dalla politica sfortunata: si alleò con Annibale che poi venne sconfitto, e dunque i suoi abitanti furono tutti deportati, le costruzioni distrutte e ferro e fuoco. Per poco: la costruzione della via Traiana ne fece di nuovo, almeno fino all’epoca federiciana, un luogo di commerci, tappa importante per i carri di grano di cui Roma aveva bisogno. Il Foro, la Basilica, il Macellum, le botteghe, le terme e l’anfiteatro sono lì a dimostrare l’opulenza dell’insediamento. Per vederli bisogna entrare nell’aia di una masseria, scivolarle accanto e affacciarsi sul terreno degli scavi, finora privati. Dall’erba alta piegata dal vento spuntano capitelli, colonnati, nelle botteghe ancora i recipienti di terracotta interrati, steli, mosaici… Quel che è stato scavato è un quarto appena dell’insediamento, andrebbe ripresa la campagna di scavi. Ma andrebbe anche protetta l’area, ancora incustodita, e fatto conoscere un luogo di grande bellezza, deturpato solo dalle grandi pale eoliche qualche centinaio di metri più in là..
Eppure. Alla periferia di Foggia, circondati da un quartiere intensivo e in rapida espansione, ci sono due luoghi che potrebbero sparire. Uno è la Masseria Reale: grandi saloni per conservare le derrate alimentari, volte a botte costruite con la tecnica delle bubbole (dette anche pignatelli o caccavelle, elementi vuoti e cilindrici di terracotta di gran lunga più leggeri dei mattoni) mura dipinte. La costruzione risale al diciottesimo secolo, ma vennero usate fondamenta del palazzo federiciano. Già, la Masseria Reale racconta anche la storia di Foggia Capitale, quando Federico II trasferì qui il cuore del Regno delle due Sicilie, venendo a soggiornarvi. E se del palazzo che si costruì nel centro di Foggia restano pochi brandelli e l’iscrizione del portale (Hoc fieri iussit Federicus Cesar ut urbs sit Fogia regalis sede inclita imp(er) ialis) alla Masseria Reale c’era il Palazzo d’estate: le cui fondamenta, probabilmente, danno sostegno alla Masseria Reale. Accanto, un bosco dove cacciare, e un vivarium con pesci ed uccelli. Il cui ovale, che dà il nome alla zona, Pantano, è ancora rilevabile dall’alto.
masseria FoggiaA chi importa? La Masseria Reale è assediata da montagne di calcinacci e mattonelle sbreccate, risultato di ristrutturazioni o nuove costruzione, uno schifo. A difenderla dalle incursione dei vandali (alcune delle volte a botte sono già state distrutte a sassate o con bastoni) un’inutile rete da polli bucata in più parti. Anche se il pozzo è probabilmente un pericolo vero.
Intanto la periferia avanza. Nuove palazzine si aggiungono alle palazzine già vuote di un quartiere che non ha servizi se non supermercati e centro commerciale. Le gru e le betoniere si spostano sempre più avanti, stringono a cerchio la Masseria e la testimonianza di Foggia Capitale. Poco importa che un sito neolitico sia già praticamente compromesso, poco importa che da lì parta il tratturo della transumanza, anche questa testimonianza a rischio. L’edilizia, sempre più “finanziarizzata”, risponde ad altre leggi.
Foggia, e la sua storia. Non mancano alla città intellettuali di pregio, e istituzioni che fanno il loro dovere. Perché allora non prendere in mano la storia della città e delle sue terre, “adottare” la Masseria Pantano e la Tomba della Medusa, farne patrimonio di tutti, visitato, capito, amato? Una buona notizia c’è, almeno. Pare che l’esproprio di buona parte delle terre sotto cui si stende Herdonia sia in dirittura di arrivo, a breve dovrebbe essere espropriata anche la parte rimanente, quella già scavata. E dunque anche gli scavi riprenderanno insieme alla valorizzazione. Pare, speriamo.
di Ella Baffoni
fonte http://www.succedeoggi.it/2014/11/foggia-segreti/

lunedì 15 dicembre 2014

Presepe medioevale a Foggia domenica 21 dicembre 2014


L’Associazione Storico Culturale “Imperiales Friderici II” e la Sartoria Shangrillà presentano, col patrocinio dell’Amministrazione comunale di Foggia – Assessorato alla Cultura, l’evento dal titolo “PRESEPE MEDIEVALE. La natività nella Foggia sveva del XIII secolo – 2ª Edizione” che si terrà domenica 21 dicembre 2014 (dalle ore 17,00 alle 22,00) presso il centro storico di Foggia. La manifestazione ricade tra le iniziative culturali organizzate dal Comune di Foggia per le festività natalizie.




La manifestazione sarà caratterizzata da una ricostruzione storica su base storico-scientifica ed avrà come oggetto sia la rappresentazione della natività che la Foggia del XIII secolo, l’Urbs regalis et inclita Sedes imperialis all’epoca dell’imperatore Federico II di Svevia.

L’evento, a libera fruizione del pubblico, vuole ricordare ai convenuti la più antica rappresentazione vivente della nascita di Gesù, eseguita a Greccio da San Francesco durante la messa natalizia del 1223, nonché la storia duecentesca che tanto ha reso famosa la città di Foggia.

Allo scopo di proiettare il visitatore convenuto nella metà del XIII secolo, verranno allestite numerose scenografie altamente funzionali ed eseguite delle esibizioni-dimostrazioni spettacolari, nonché delle attività di didattica e divulgazione delle tematiche sacre e del periodo svevo.
Per consentire una maggiore fruibilità, e quindi visibilità, da parte del pubblico delle attività proponenti (il sacro – il mondo civile – il mondo militare), saranno utilizzate più aree del centro storico, come: la chiesa di Santa Maria della Misericordia, piazza Purgatorio, via San Domenico, gli ipogei di via San Domenico e la chiesa di San Domenico. Lo scopo della manifestazione è anche quello di valorizzare i monumenti e i siti individuati come necessari e confacenti alle attività che si intendono proporre.
Per tale motivo, con la collaborazione di Franca Palese, referente culturale / guida, nonché membro della comunità Magnificat Dominum e responsabile del dipartimento turismo / eventi e didattica dell’Associazione Ipogei, saranno previste, a cura degli aderenti all’Associazione Ipogei di Foggia, visite guidate agli ipogei urbani di via San Domenico e agli ambienti interni e ipogeici della chiesa di Santa Maria della Misericordia.




Infine, a cura del ristoratore “Ciciri e ‘ttria - Specialità salentine e pugliesi”, si potrà degustare una pietanza medievale di alimenti e prodotti tipici secondo le ricette dell’epoca.


ELENCO ALLESTIMENTI (dalle ore 17,00 alle 22,00):
- (1) NATIVITÀ (Chiesa di Santa Maria della Misericordia);
- (2) BOTTEGHE (via san Domenico, ipogei della Chiesa di Santa Maria della Misericordia);
- (3) STALLA (Largo di via San Domenico);
- (4) PIAZZA D’ARMI (Largo di via San Domenico);
- (5) LOCANDA (Ipogei di via San Domenico);
- (6) MERCATO (Piazza Purgatorio);
- (7) MONASTERO (Chiesa di San Domenico);
- (8) AREA LUDICA (Piazza Purgatorio).


Sarà cura da parte di tutti i figuranti e i rievocatori coinvolti evidenziare al pubblico l’aspetto divulgativo e culturale delle attività rappresentate, cercando di coinvolgerlo attivamente.

Le performance teatrali sono scritte da Marcello Strinati e interpretate da: Mariangela Conte, Stefano Corsi, Anna Laura d’Ecclesia e Luciano Veccia.

Si ringraziano per la collaborazione: la Fondazione Banca del Monte “Domenico Siniscalco Ceci”, l’Associazione “Ipogei”, la Comunità “Magnificat Dominum” e la Ditta “Riccardo Armature Medievali”.

Si ringraziano per la partecipazione: l’Istituto Comprensivo Parisi – De Sanctis, l’Associazione “Cappella Musicale Iconavetere”, i musici “Aulos Ensamble” e la Parrocchia di San Giovanni Battista.




PIOMBO NEI VACCINI: LA RICERCA CENSURATA DELL’UNIVERSITA’ DI PARMA

montanari
Spesso le scoperte più inaspettate nascono dalle curiosità più ingenue.
Questa volta la curiosità è stata quella di una studentessa dell’Università di Parma, laureanda in medicina, che decise di svolgere un’indagine nanopatologica sui vaccini, per ricercare in essi eventuali agenti inquinanti.
La scoperta – o meglio: la sorpresa – è stata quella del professor Stefano Montanari, laureato in Farmacia, specializzato in Microchimica e considerato tra i massimi esperti europei in nanopatologie, che ha dapprima avvallato la ricerca della studentessa e in seguito, stupito dai risultati che stava conseguendo, ha continuato a svilupparla autonomamente, arrivando a conclusioni inaspettate.
«Tutto ciò che si inietta tramite siringa dovrebbe essere prodotto in maniera assolutamente sterile, in un ambiente privo di polvere – spiega il professor Montanari – Inoltre, ogni prodotto realizzato per tale scopo, dovrebbe essere ricontrollato in modo maniacale prima di arrivare sui banchi delle farmacie».
Eppure, non va sempre così. Anzi. Va SEMPRE in modo diverso.
«In tutti i  24 vaccini analizzati, tutti diversi tra loro per marca, collocazione terapeutica o preventiva abbiamo trovato polveri, granelli di particelle fatti di sostanze inorganiche, non  biodegradabili, non biocompatibili che non ci dovrebbero assolutamente essere!».
Il professore afferma che si tratta di particelle minuscole, grandi da pochi millesimi di millimetro fino a un milionesimo di millimetro appena, che non provocherebbero “reazioni visibili dal punto di vista clinico” ma che, proprio perché minuscole, vengono trasportate dal sangue in ogni distretto del corpo.
«E allora è questione di fortuna o di sfortuna – spiega ancora il dottor Montanari – perché, a seconda di dove le microparticelle si depositano, poiché non sono né biodegradabili né biocompatibili, possono provocare conseguenze da non sottovalutare. Se, ad esempio, finiscono nel cervello, possono provocare malattie quali l’autismo».
Il professore, sensibile alle conseguenze della sua scoperta, ha provato a informare i produttori di vaccini, ma la sua premura non è stata accolta – per dirla con un eufemismo – con grande entusiasmo.
«Nel vaccino Gardasil, oggi molto utilizzato contro il papilloma virus, responsabile del cancro al collo dell’utero, ho rintracciato del piombo. Sono stato a Roma, presso la sede dell’azienda che lo produce, e ho girato anche un servizio televisivo, che però non è mai andato in onda, a seguito delle minacce ricevute dallo stesso produttore televisivo. Nei mesi successivi, sono stato interrogato per ben due volte dai carabinieri, i quali ora hanno tutta la documentazione con i dati delle mie ricerche, ma a tutt’oggi non hanno ancora fatto nulla».
Forse la scoperta del professor Montanari è scomoda per qualcuno?
La dottoressa Rima Laibow, direttrice medica della Natural Solutions Foundation e da sempre impegnata nella lotta contro gli OGM e nella denuncia dei danni creati dalle lobbies farmaceutiche, afferma: «I vaccini sono tremendamente pericolosi e non hanno un background scientifico. Sono nati della frode e perpetrati in essa. Agiscono contro il sistema immunitario. Il loro scopo è fare denaro e creano infertilità, diabete… solo per citare alcuni “effetti collaterali”. Per esempio, la vaccinazione della polio. Ma poi si vede che c’era la polio post vaccino. La polio si è diffusa con la vaccinazione della polio.»
La conclusione è che l’industria farmaceutica non fa denaro se noi siamo sani. E allora, dove trovare le soluzioni?
La dottoressa Laibow propone un approccio olistico e il più naturale possibile alle cure, affermando che una buona alimentazione, quando assicura il giusto apporto di vitamine, minerali e bioflavonoidi, è la migliore arma per mitigare gli effetti delle sostanze tossiche, guarire le cellule malate e rafforzare il corpo.
http://www.dionidream.com/piombo-nei-vaccini-la-ricerca-censurata-delluniversita-di-pavia/
Ecco l’intervista al Prof Montanari


Mangia biologico, i pesticidi aumentano il rischio di Parkinson

parkinson
Che i pesticidi facessero male alla salute e causassero diverse malattie neurologiche tra cui il morbo di Parkinson era già noto. Ciò che non era chiaro era il meccanismo molecolare che porta alladegenerazione delle cellule cerebrali. Ora in unostudio dell’Università della California di Los Angeles(Ucla), pubblicato suNeurology, i ricercatori dimostrano che moltipesticidi agiscono inibendo l’attività di un enzima presente nei neuroni, chiamato aldeide deidrogenasi (Aldh), responsabile del metabolismo delle sostanze nocive, e che avere la variante meno comune di questa proteina, Aldh2, aumenta ulteriormente la suscettibilità a sviluppare la malattia.
Lo studio effettuato presso il Dipartimento di Neurologia dell’Ucla si basa su risultati precedenti pubblicati lo scorso anno, in cui Jeff Bronstein e i suoi collaboratori avevano dimostrato che esiste una correlazione tra l’esposizione a certi pesticidi e il rischio di sviluppare il morbo di Parkinson. In quel caso si era trattato di un fungicida, il benomil, il cui uso è stato vietato ormai da diversi anni. Il benomil induceva danni ai neuroni dopaminergici tramite l’inibizione dell’attività dell’enzima Aldh, causando un aumento dei livelli di una tossina normalmente presente nel cervello (Dopal) che era responsabile dei danni neurologici e dei sintomi tipici del Parkinson.
Grazie alla messa a punto di un test che permette di misurare il livello di inibizione dell’attività enzimatica di Aldh in cellule neuronali in vitro, i ricercatori hanno monitorato l’effetto di altri 26 pesticidi attualmente usati in agricoltura. Di questi, undici composti appartenenti alle quattro classi più comuni – organoclorurati, imidazoli, ditiocarbammati e dicarbossimidi – riducevano l’attività di Aldh in maniera significativa con un effetto che andava dall’8 al 30% di inibizione rispetto alle cellule non trattate.
Per valutare se l’esposizione a questi pesticidi influenzasse il rischio di sviluppare ilParkinson, i ricercatori hanno condotto uno studio clinico che ha coinvolto 360 persone affette dalla malattia reclutati dal Parkinson’s Environment and Genes Study (PEG, uno studio di interazione tra fattori ambientali e genetici) e 816 individui sani, tutti residenti in tre contee rurali della California (Fresno, Tulare, Kern).
I soggetti dovevano fare un colloquio telefonico per fornire dati anagrafici, come età, sesso e livello di educazione, fattori di rischio, ossia storia familiare della malattia e quantità di sigarette fumate, e indirizzi residenziali e lavorativi. L’esposizione ai pesticididi ciascun individuo era stimata usando un modello al computer basato su un sistema di informazione geografica che includeva i dati ottenuti dal Pesticide Use Reporting, sulla regolamentazione dell’uso e della quantità dei pesticidi fornito dal California Department of Pesticide Regulation.
I risultati hanno dimostrato che essere esposti ai pesticidi esaminati, seppure in concentrazioni relativamente basse, sia a casa che al lavoro era associato a un maggiore rischio di sviluppare il morbo di Parkinson, con un aumento che variava da circa 2 volte, nel caso del benomil, a 6 volte, nel caso del Dieldrin, un insetticida organoclorurato della stessa famiglia del Ddt. Inoltre, più alto era il livello di esposizione, maggiore era il rischio, e se si era esposti a più di tre pesticidi questo rischio aumentava di oltre 3,5 volte rispetto a soggetti non esposti.
Infine, gli individui che esprimevano la variante Aldh2 dell’aldeide deidrogenasi, di per sé non associata allo sviluppo della malattia, erano più suscettibili all’effettoneurodegenerativo dei pesticidi e presentavano un’ulteriore esacerbazione del rischio di Parkinson rispetto a quelli con la variante normale dell’enzima.
“È stata una sorpresa trovare così tanti tipi di pesticidi che inibiscono l’attività dell’enzima Aldh anche a concentrazioni basse”, spiega Bronstein. “Questi pesticidi sono molto diffusi nell’ambiente e si trovano anche nei cibi, per cui il numero di persone potenzialmente a rischio è notevolmente più alto di quanto ci si aspettava”.
L’inibizione dell’attività dell’Aldh correla in maniera significativa con l’effetto neurodegenerativo di questi composti e suggerisce un potenziale meccanismo molecolare per la patogenesi del Parkinson. “Capire come i pesticidi agiscono sull’Aldh”, conclude l’autore, “potrebbe portare allo sviluppo di nuovi metodi per prevenire o limitare la progressione della malattia, come ad esempio ridurre l’esposizione ai composti tossici o stimolare la funzionalità dell’enzima mediante nuovi farmaci”.
http://www.dionidream.com/mangia-biologico-i-pesticidi-aumentano-rischio-parkinson/

I Lupini sono ricchissimi di Proteine e di molte proprietà

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Il lupino è un legume antichissimo le cui proprietà nutrizionali sono talmente tante che spinge a pensare sia una vera e propria panacea, un alimento per la vita che cura molto di più di quanto nutra da un punto di vista meramente energetico.
Ne sono stati rinvenuti perfino nelle piramidi degli egizi e dei maya e pare venisserocoltivati già 4000 anni fa nell’area del Mediterraneo e del sud America come alimento energetico. I lupini, in questo scenario, si colloca in un ruolo perfetto avendo un enorme carico proteico (36 grammi per 100 grammi di prodotto, più di tutti gli altri legumi come ceci, soia, lenticchie), quantità trascurabili di grassi che sono tra le altre cose del tipo buono e scevro, in quanto vegetale, da colesterolo, e avente un buon apporto di fibre e carboidrati.
A parità di energia, questo legume, ha l’apporto proteico più alto, una quantità di grassi modesta e un equilibrio in termini di carboidrati. E’ come se ci fossero 3 categorie distinte:
  • Soia: Pochi carboidrati, tanti grassi e tante proteine, quasi quante nei lupini
  • Lupini: Bilanciamento tra proteine e carboidrati con apporto massimo e valori medio-bassi di grassi
  • Tutti gli altri: Pochissimi grassi, tanti carboidrati e una modesta quantità di proteine, meno della metà della grammatura dei carboidrati
Ora che abbiamo il campione naturale, il lupino, mettiamolo in relazione con il nostro scellerato coscio di pollo.
Per questa analisi facciamo riferimento al lupino ammollato e deamarizzato che si trova in commercio. Prendiamo 100Kcal di lupini e di coscio di pollo e analizziamo la composizione.
Lupini deamarizzati:Quantità : 90gr
Proteine totali : 14,76gr
Lipidi totali : 2.16gr
Colesterolo : 0.00mcg
Glucidi disponibili : 6.48gr
Fibra alimentare : 4.32gr
Ferro : 4.95mg
Calcio : 40.50mg (5.06%)
Potassio : 315.90mg (10.19%)
Fosforo : 90.00mg (11.25%)
Zinco : 1.44mg (14.40%)
Vitamina C : 1.8mg (3.00%)
Vitamina D : 0.00mcg (0.00%)
Coscio di pollo:Quantità : 80g
Proteine totali : 14.32gr
Lipidi totali : 5.20gr
Colesterolo : 70.40mg
Glucidi disponibili : 0.00gr
Fibra alimentare : 0.00gr
Ferro : 1.60mg
Calcio : 14.40mg (1.80%)
Potassio : 240.00mg (7.74%)
Fosforo : 153.60mg (19.20%)
Zinco : 1.12mg (11.20%)
Vitamina C : 2.40mg (4.00%)
Vitamina D : 0.40mcg (4.00%)

3 volte il ferro presente nel pollo quello presente nei lupini così come il calcio ricordando che il ferro vegetale deve essere abbinato ad una fonte di vitamina C. Anche potassio e zinco sono maggiori mentre per il fosforo e la vitamina D vince il pennuto.
Se i punti di forza della carne dovevano essere : proteine e ferro.. il povero pollo ne esce con le ossa rotte!
Proprietà
minerali presenti: calcio, fosforo, potassio, zinco, manganese, rame, sodio, selenio, magnesio e ferro.
Sul fronte delle vitamine sono presenti le vitamine A, B1, B2, B3, B5, B6 e C.
Gli aminoacidi sono l’acido glutammico e l’acido aspartico, arginina, alanina, cistina, glicina, fenilananina, leucina, lisina, isoleucina, metionina, prolina, treonina, tirosina, valina, triptofano, istidina e serina.
Oltre ad avere buone proprietà nutrizionali i lupini risultano avere un’ottima digeribilitàed un apporto praticamente pari a zero per quanto riguarda il colesterolo; recenti studi hanno confermato le proprietà benefiche dei lupini nei confronti del cuore. Il consumo abituale di lupini previene l’ipertensione e riduce i livelli di colesterolo nell’organismo; inoltre, grazie alle proprietà di una sostanza chiamata tocoferolo sono stati registratibenefici nella prevenzione del tumore al colon.
Tra i benefici apportati dai lupini dobbiamo ricordare anche il buon apporto di fibra e la presenza degli acidi grassi essenziali Omega 3 e Omega 6, indispensabili per la nostra salute e non sintetizzabili dal nostro organismo. Il lupino ricopre un ruolo interessante anche nell’alimentazione dei celiaci in quanto questo legume non contiene glutine e può quindi essere utilizzato da chi ha problemi di intolleranza; attualmente la farina prodotta con i lupini viene già utilizzata per produrre pane, biscotti e pasta, mentre, in tempi antichi il lupino veniva impiegato dalla medicina per curare la scabbia e l’eczema.
Ma a consacrarlo come potenziale alleato nella cura del diabete di tipo 2 è uno studio dell’Istituto scientifico universitario San Raffaele di Milano, che ha scoperto gli effetti “insulino-mimetici” di una proteina vegetale presente in abbondanza nei lupini.
In conclusione, i lupini costano poco, fanno bene ai nostri muscoli, sono ricchi di nutrienti ‘vivi’ e… sono buoni! 
Ecco una ricetta: Frittata Vegan
Ingredienti
Preparazione
Tagliate il pomodoro a tocchetti, e tritate la cipolla
Unite il latte e la farina di lupini, mescolando con una frusta per evitare la formazione di grumi. Aggiungete la cipolla, il pomodoro e l’origano, mescolando bene.
Ungete una padella (meglio se antiaderente), scaldatela e versateci il composto.
Cuocete a fuoco lento per 30-40 minuti, con il coperchio.
Non dimenticate di girare la frittata a metà cottura.
Buon appetito!
http://www.dionidream.com/lupini-sono-ricchissimi-di-proteine-e-di-molte-proprieta/