premio

In classifica

venerdì 20 marzo 2015

Il Trebbiano d’Abruzzo di Valentini



Era il lontano  1994 quando una famosa rivista enogastonomica lanciò una sfida a enotecari,ristoratori,giornalisti,sommelier sotto forma di quesito:”Se doveste salvare da un’inondazione dieci bottiglie di vino italiano della vostra cantina,quali scegliereste?”. Quella querelle intitolata “Dieci vini sull’Arca di Noè” si risolse con la seguente classifica di gradimento:1° Sassicaia del Marchese Incisa della Rocchetta con 39 preferenze - 2° Le Pergole Torte di Montevertine con 25 - 3° Vintage Tunina di Jermann con 23 - 4° Trebbiano d’Abruzzo di Valentini con 22 – 5° Barolo Monfortino Ris.Giacomo Conterno con 21 – 6° Collio Chardonnay di Josko Gravner con 17 – 7° Barbaresco Sorì Tildin di Angelo Gaja con 16 – 8°Chianti Classico Rancia Riserva della Fattoria di Felsina  con 15 – 9° Tignanello di Antinori con 14 – 10° Barolo Bric del Fiasc di Paolo Scavino con 13. Dal momento della sua pubblicazione,questa lista divenne l’oggetto del desiderio e delle mie esplorazioni di degustatore rampante. Presto o tardi son riuscito a berli tutti quei vini .Alcuni anche più volte . Qualcuno nel tempo ha perso parte del suo “charme” e della sua notorietà. C’è chi non esiste più (Chardonnay di Gravner…). Ma quello che sin dall’inizio calamitò la mia attenzione di bevitore in fieri fu il Trebbiano d’Abruzzo di Valentini. Prima di tutto perché fatto dal Trebbiano,solitamente considerata un’uva discreta e sine nobilitate. Poi perché in quanto bianco si favoleggiava circa la sua attitudine a invecchiare bene,prerogativa solo dei grandissimi. Infine per la particolarità della forma in cui era allevata,a tendone,coltivazione solitamente funzionale alla quantità e non alla qualità. Il Trebbiano di Valentini si mostrava perciò atipico e assolutamente imparagonabile con quanto veniva prodotto di similare lungo tutta la penisola.Per giustificare il gap col resto del mondo dei Trebbiani,ora come allora,si invoca la selezione di un clone particolare di Trebbiano e si fantastica sulle instintuali doti rabdomantiche dei Valentini nella conduzione agronomica e nelle scelte vendemmiali. Quando alfine l’ho bevuto, ho riscontrato esiti organolettici addirittura leggendari. Il mio primo Trebbiano Valentini, il 1996, aveva un colore caldo,tra il giallo vivo e il dorato,con una densità oleosa;profumi penetranti,complessi,con richiami al frutto che si associavano ad evidenti caratteri terziari e minerali,con note tostate in bella mostra. Al primo sorso il vino sciorinava una struttura quasi da rosso. Poi,l’appagamento,in una lunghissima scia retro-olfattiva. Di fronte allo straordinario,all’inedito,si cerca di ricondurre le sensazioni inconsuete a qualcosa di già conosciuto. Francamente in Italia non trovo nulla da accostargli. Ci sono certamente altri grandi vini bianchi in odore di mito ma diversissimi dal nostro. Forse non servirebbe neppure guardare i nettari  d’oltralpe anche se si trattasse di un  Montrachet.
Rosario Tiso


Nessun commento:

Posta un commento