Era il
lontano 1994 quando una famosa rivista
enogastonomica lanciò una sfida a enotecari,ristoratori,giornalisti,sommelier
sotto forma di quesito:”Se doveste salvare da un’inondazione dieci bottiglie di
vino italiano della vostra cantina,quali scegliereste?”. Quella querelle intitolata “Dieci vini
sull’Arca di Noè” si risolse con la seguente classifica di gradimento:1°
Sassicaia del Marchese Incisa della Rocchetta con 39 preferenze - 2° Le Pergole
Torte di Montevertine con 25 - 3° Vintage Tunina di Jermann con 23 - 4°
Trebbiano d’Abruzzo di Valentini con 22 – 5° Barolo Monfortino Ris.Giacomo
Conterno con 21 – 6° Collio Chardonnay di Josko Gravner con 17 – 7° Barbaresco
Sorì Tildin di Angelo Gaja con 16 – 8°Chianti Classico Rancia Riserva della
Fattoria di Felsina con 15 – 9°
Tignanello di Antinori con 14 – 10° Barolo Bric del Fiasc di Paolo Scavino con
13. Dal momento della sua pubblicazione,questa lista divenne l’oggetto del
desiderio e delle mie esplorazioni di degustatore rampante. Presto o tardi son
riuscito a berli tutti quei vini .Alcuni anche più volte . Qualcuno nel tempo
ha perso parte del suo “charme” e della sua notorietà. C’è chi non esiste più
(Chardonnay di Gravner…). Ma quello che sin dall’inizio calamitò la mia
attenzione di bevitore in fieri fu il Trebbiano d’Abruzzo di Valentini. Prima
di tutto perché fatto dal Trebbiano,solitamente considerata un’uva discreta e sine nobilitate. Poi perché in quanto
bianco si favoleggiava circa la sua attitudine a invecchiare bene,prerogativa
solo dei grandissimi. Infine per la particolarità della forma in cui era
allevata,a tendone,coltivazione solitamente funzionale alla quantità e non alla
qualità. Il Trebbiano di Valentini si mostrava perciò atipico e assolutamente
imparagonabile con quanto veniva prodotto di similare lungo tutta la penisola.Per giustificare il gap col resto del mondo dei
Trebbiani,ora come allora,si invoca la selezione di un clone particolare di
Trebbiano e si fantastica sulle instintuali doti rabdomantiche dei Valentini
nella conduzione agronomica e nelle scelte vendemmiali. Quando alfine l’ho
bevuto, ho riscontrato esiti organolettici addirittura leggendari. Il mio primo
Trebbiano Valentini, il 1996, aveva un colore caldo,tra il giallo vivo e il
dorato,con una densità oleosa;profumi penetranti,complessi,con richiami al
frutto che si associavano ad evidenti caratteri terziari e minerali,con note
tostate in bella mostra. Al primo sorso il vino sciorinava una struttura quasi
da rosso. Poi,l’appagamento,in una lunghissima scia retro-olfattiva. Di fronte
allo straordinario,all’inedito,si cerca di ricondurre le sensazioni inconsuete
a qualcosa di già conosciuto. Francamente in Italia non trovo nulla da
accostargli. Ci sono certamente altri grandi vini bianchi in odore di mito ma
diversissimi dal nostro. Forse non servirebbe neppure guardare i nettari d’oltralpe anche se si trattasse di un Montrachet.
Rosario Tiso
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