Ho
sempre amato i piemontesi.
Per
l'idea che lo scrittore Cesare Pavese lo fosse.
O
forse per la struggente bellezza della loro terra.
Anche
per la loro vocazione di facitori di grandissimi vini. Ma soprattutto perchè
hanno fatto della fierezza una bandiera.
Il ritmo di lavoro del contadino racconta
meglio di qualsiasi dissertazione intellettuale questo sentimento così nobile e
discreto, che amo così tanto. Sorseggiando un bicchiere di Barolo ho capito come non mai
che bere un vino è un viaggio.
L'ho
sempre saputo. Sempre ho pensato ai luoghi e alle persone che si nascondono
dietro ad una bottiglia. Ma con questo "campione" di Bartolo Mascarello ho avuto una
visione. Ho visto vecchi vignaioli ricurvi sotto il peso di ceste di vimini
colme d'uva salire su per ripidi e assolati camminamenti, conquistati a pareti
impervie e vertiginosi terrazzamenti, dove la vigna è esigua lingua di terra.
Tutt'intorno
le Langhe maestose.
Lo
stile severo dei vini di un tempo si è evoluto e adesso è molto dolce, pieno,
dotato di maturi aromi fruttati ed un lieve, piacevole, caldo morso alcolico a
farne sostegno.
Lo
so, le note dolci sono le più elementari.
Sono
il primo veicolo di piacere alimentare.
Sono
la prima sede del gusto. Ma i puristi ricercano nel Barolo essenzialmente
l’austerità.
Naturale
nell'evoluzione del gusto ricercare altro. Ma evolversi non vuol dire perdere
il naturale approccio sensoriale alle cose. Le note dolci saranno sempre ben
accette nel repertorio dei piaceri della vita e possono convivere anche con
nuances più complesse, di più alto e ricercato lignaggio.
Con
il Barolo 2003 di
Mascarello il Nebbiolo, vitigno capriccioso famoso tanto per il suo aspetto quanto
per il suo carattere tannico, produce uno dei suoi più fini ed eleganti
“nettari” che si possano incontrare battendo le capezzagne langarole.
Quintessenza
della tradizione, questo immenso vino non va idolatrato ma bevuto.
Dopo
congrua attesa, lambendo pure l'ordine dei decenni, va stappato e colto nel
passaggio fra giovinezza e maturità o nella sua pienezza, prima che
l’ossidazione possa imbrunirne lo splendore.
Nel
luogo d'elezione, il wine-bar Cairoli a Foggia, fucina di
tanti viaggi passati, presenti e di là da venire, ecco dunque salire dal cono
olfattivo del bicchiere la rosa e la violetta. Nette, perentorie.
Ma è il gusto a stregare.
Ma è il gusto a stregare.
Ricco,
pieno, sferico, piacevole, giustamente acido, giustamente tannico: un
capolavoro di levità e armonia.
A
precedere nella beva un simile fuoriclasse un’altra autentica chicca
piemontese: il "Verduno Pelaverga" nella versione del 2008 delle
"Terre del Barolo".
La
Doc Verduno è una delle più piccole d'Italia. Undici ettari scarsi di
superficie per un vino "piccolo" come le sue uve, il Pelaverga, ma
ricco di fascino.
Originale,
fresco, franco, leggero, profumato: questo il suo profilo olfattivo. In bocca
poi è succulento.
Non
crediamo alla sua fama di vino "afrodisiaco"(lo si dice anche del
grignolino! )ma sicuramente la "beva " fluente e piacevolissima
aiuta a rimpolparne la fama.
Una
serata veramente riuscita, una bevuta esemplare per qualità e progressione(dal
Pelaverga al Barolo).
Due
splendide gemme enologiche del Piemonte nella loro tipicità: due moventi
ulteriori per alimentare, ancora di più, la passione per il vino.
Rosario
Tiso
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