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giovedì 5 marzo 2015

Foradori & Montesecondo




Confesso di avere un debole per i vini  che sono  lo specchio, il più possibile autentico  e genuino,  del territorio che li ha generati. Se si presta un po’ d’attenzione “organolettica”  a quel che si beve , si capisce che i vini costruiti, dove l’interventismo umano marchia il prodotto e ne determina pesantemente il profilo sensoriale, quantunque ricchi, seducenti, corretti fino ai prodromi della perfezione, tendono tutti  immancabilmente  ad assomigliarsi tra loro: l’aroma e il gusto recati dallo “schema”  enologico di produzione adottato , in genere mutuato dal  sistema più in voga e di maggior successo del momento,  prevalgono allora su tutti gli altri aromi e gusti contenuti “naturaliter” nel frutto-uva. Le realizzazioni che ne conseguono si uniformano in una composita, lattiginosa ,nobile quanto si vuole, raffinata quanto si vuole, fascinosa quanto si vuole, consorteria in cui ciascun vino ha perso  frattanto la propria individualità. I vini cosiddetti ”veri” , dall’espressività poco o nulla   artefatta, al contrario sono caratteristici. Ciascuno ci balza incontro nettamente diverso dall’altro, con sfrontatezza. Può anche darsi che alberghi in ognuno di loro qualcosa che li renda simili: ma è la franchezza del nettare, non altro. A tal proposito  l’ennesima serata dedicata ,nel ristorante-vineria “Bacco e Perbacco” di  Lucera , a produttori della scuderia di “Les Caves de Pyrene” , Foradori e Montesecondo nella fattispecie,  è l’occasione per fare un’ulteriore esperienza gratificante e chiarificatrice. I vini di Elisabetta Foradori mi sembra di conoscerli da sempre. Agli inizi degli anni novanta mi deliziavo con il “Granato”, il Teroldego dei vigneti Morei e Sgarzon, i vini da uve alloctone quali la Syrah dell’Ailanpa  e il Cabernet del Karanar. Poi ho mancato colpevolmente ( anche perché si ha un bisogno incessante di cambiare!) l’intera fase di transizione aziendale ed eccomi adesso,  dopo ormai 15 anni di conduzione biodinamica , a dialogare con nettari completamente diversi dai “convenzionali” di una volta. La cosa incredibile è che Elisabetta mi ha conquistato ancora. Mi era successo solo con un mostro sacro del vino  italiano, Josko Gravner, di cui ho amato gli stupefacenti Chardonnay del secolo scorso e di cui adoro l'odierna  Ribolla in Anfora. Oggi Elisabetta nei suoi vini sciorina una grande piacevolezza associata ad un esemplare rigore realizzativo. Nessun infingimento; nessun trucco. Quel che la Natura sottopone al suo vaglio viene semplicemente scortato verso conseguimenti organolettici altamente qualitativi senza quasi interferire. Sappiamo che l’ultimo stadio del naturale processo di trasformazione del vino è l’aceto. Sappiamo di stuoli di muffe e  batteri pronti a congiurare  per rovinare le fragranze di una materia prima uvosa ricca e intonsa. Tuttavia la grande sensibilità e la grande tecnica di una donna del vino così valente e competente come Elisabetta Foradori compiono  il miracolo: un liquido  luminoso, laccato di solarità, ricco, profumato, al massimo dell’integrità ottenibile  naturalmente, ci attende nel bevante. Chissà quanto lavoro c’è dietro simili splendide creazioni! Chissà da quanti  successi e poi errori e poi ancora una volta successi è andato tappezzandosi  il suo percorso umano e professionale! Solo Lei e  Dio lo sanno. Noi sappiamo quel che ci racconta il bicchiere ed è un gran bel sentire. Se si considerano gli esiti sensoriali in fatto di eleganza, raffinatezza, sostanza, complessità, siamo al cospetto di una favola a lieto fine che ci  riempie  il cuore di gioia.  
Più recente, più giovane, ma  non per questo meno intrigante, la parabola produttiva di “Montesecondo”, azienda chiantigiana che vuole riscrivere la storia vinicola del suo celeberrimo territorio.  Si estende su una superficie di 20 ettari, di cui solo una parte vitata. L’intento principale del suo  titolare , Silvio Messana,  è quello di esaltare la  tipicità delle sue uve attraverso una conduzione agronomica biodinamica.
Ma vediamoli questi nettari in degustazione. Si comincia con l’ Incrocio Manzoni Fontanasanta 2013 di  Foradori . L’incrocio è fra Riesling Renano  e Pinot bianco  e la vigna è quella di “Fontanasanta”.
Il mosto fermenta a contatto con le bucce per una settimana
in vasche di cemento. Poi il tutto affina in grandi botti di acacia per 12 mesi. Che dire: è un vino profumato, fresco, equilibrato. Dove sono le tare consuete dei vini biodinamici, le asperità, i vuoti, le disarmonie? Non c’è traccia di tutto ciò, dei difetti che sovente sono lo scotto di tanta naturalità. Elisabetta Foradori  dimostra che si possono  coniugare l’anima e il sogno con la sostanza e l’estetica. Riscaldandosi il nettare esplode in un tripudio di mineralità. Lo si direbbe un Pouilly-Fumè o un Sancerre tale è il sentore di pietra focaia. Basterebbe questo vino a giustificare il viaggio. Si passa, già scossi emozionalmente, al Rosso Toscano 2013  di  Montesecondo. Sangiovese e Canaiolo vengono assemblati in vigna al momento della vendemmia.
La fermentazione si dispiega spontanea in vasche d’acciaio con
macerazione di un mese, segue l’affinamento per 12
mesi sempre in acciaio. L’acciaio permette di conservare inalterate le espressioni più genuine del frutto.
Naso e bocca di frutti rossi e note floreali anch’esse copiose ad ingentilire l’insieme sono i tratti più evidenti  di questo vino. Fresco, fragrante, godurioso, dalla beva furente. Col “Tin” 2011 di Montesecondo si cambia registro. Siamo nel Comune di San Casciano Val di Pesa con il Sangiovese al 100%. Ma non è qui il punto. La differenza la fa non solo un’agricoltura biodinamica ma la coltivazione ad alberello, una resa per ettaro di soli 35 quintali di uve e la fermentazione alcolica  in anfore di terracotta. Si, la terracotta. Il vaso vinario più ancestrale che esista, che vede lavorare i lieviti indigeni a diretto contatto con gli umori della madre terra. Anche l’affinamento si svolge in anfora. E al gusto tutto questo ritorna in afrori materici che rivestono il  frutto. Il finale è affidato allo   Sgarzon”  2012 di Foradori. “Sgarzo” significa tralcio nel Campo Rotaliano. Il vigneto “Sgarzon” è uno dei “cru” storici dell’azienda Foradori dove alligna il Teroldego . Il carattere del Teroldego è segnato dagli otto mesi passati in anfora (“tinaja” di Villarobledo, Spagna). Grande corpo e grande sapidità imperversano nel bicchiere . L’argilla reca i suoi doni organolettici e l’acidità è importante, garanzia di notevoli possibilità evolutive. A supporto di cotanta beva lo “chef” Domenico ci ha deliziati con le seguenti preparazioni culinarie: “Fiore di zucca al prosciutto crudo con battuto di pomodoro”, “Risotto mantecato alle cime di rapa con spuma di parmigiano e tartufo nero”, “Costina di maiale cotta a bassa temperatura con insalatina calda di carciofi e asparagi” e “Terrina di melanzane in crosta di pane con scaglie di pecorino e salsa balsamica”. Da “Bacco & Perbacco” , anche in cucina, non si abbandonano mai crinali sensoriali d’Alta Quota.
Rosario Tiso







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