premio

In classifica

giovedì 30 aprile 2015

Benoit Marguet, Thevenet Delouvin, Jean Milan



Dalle note agrumate e sapide dello Champagne  Cuvée Réserve Grand Cru  Brut di Marguet,alle brezze iodate dell’Insolite Meunier di Thevenet Delouvin fino alle conchiglie oceaniche del  GRANDE RESERVE 1864 di Jean Milan,è stato tutto un brivido emozionale. Ancora uno volta lo Champagne ha scatenato il piacere dei sensi. L’azienda Marguet è la terza versione di quella che fu in origine BONNERAVE FRERES,poi MARGUET-BONNERAVE,infine Benoit MARGUET. 8ha ad Ambonnay nella Montagne de Reims,cavalli in vigna per dissodare il terreno,vinificazione in barrique,conduzione sostanzialmente biologica condivisa con gli amici LAVAL,LECLAPART,LAHAYE. Lo Champagne  “Cuvée Réserve Grand Cru Brut” , 63% Pinot noir e 37 % Chardonnay,viene vinificato in legno per il 60%. Il 70 % del vino  è del 2009 e il 30 % di riserve che vanno  dall’annata 2004 all’annata 2008 . Fresco,complesso e lungo,chiude con un piacevole finale sapido. Dosaggio di 4 gr/lt., per un campione potente ed elegante . C’è poi Thevenet Delouvin. Siamo nella Vallée de la Marne a Passy-Grigny. Isabelle e Xavier  coltivano, con approccio che guarda da presso la biodinamica, soprattutto Pinot Meunier . Il  loro  “Insolite Meunier” sulle prime risulta timido. Poi riscaldandosi sciorina una bocca equilibrata,guidata da freschezza e intriganti note minerali . L’esperienza dimostra che al di là dell’intento codificatorio di quanti vorrebbero fruire correttamente dell’universo-vino,ogni nettare è un individuo che dà il meglio di sé in condizioni tutte sue e uno dei parametri dove meglio si esprime la singolarità è proprio la temperatura di servizio (soprattutto per lo  champagne ! ). Sta alla sensibilità del degustatore,più che a regole preconcette, individuarne la giusta modulazione. Infine Jean Milan,ovvero 6 ha di proprietà nel territorio Grand Cru di Oger,nella Cote des Blancs. Produzione diversificata con diverse punte qualitative. Una di queste è senz’altro la GRANDE RESERVE 1864,100% chardonnay,vinificata in legno. 'Grande Riserva 1864' è un blend di Chardonnay 100% dalle annate 2003 e 2004. Quel che i sensi avvertono all’unanimità è il mare,con venature salmastre e torbate. L’abbinamento con il salmone affumicato può dirsi quasi compenetrazione. Mai bevuto un simile Champagne!
Rosario Tiso




mercoledì 29 aprile 2015

Categorie di “bevitori”



Il poeta Teognide scriveva : ”gli esperti riconoscono l’oro e l’argento grazie al fuoco,ma l’animo dell’uomo lo rivela il vino”.  E’ indubbio che il vino ha segnato nella Storia tutti gli aspetti della vita sociale, culturale e spirituale dell’uomo. Dall’esperto, dall’appassionato, dal divulgatore, è lecito attendersi una marcia in più,una conoscenza in più,un afflato più poetico e una tecnica più sopraffina. Grande è la mia sorpresa nel rintracciare proprio fra gli addetti ai lavori o sedicenti tali carenza di passione ed ignoranza. Quando muovevo i primi passi nell’approccio al vino ed ero già motivatissimo,mi colpì una definizione riportata su “Wine Spectator”, celeberrima rivista americana del settore,  soprattutto perché proveniente da uno dei “guru” della divulgazione enologica mondiale. La locuzione incriminata recitava pressappoco così: il vino è da annoverarsi fra le gioie “blande” della vita. Gioia “blanda” ?Detto così è un perfetto “ossimoro”. Da quando in qua una gioia è “blanda”? Una gioia è per sua definizione briosa,coinvolgente,esplosiva. Dalla bocca di  chi del vino ha fatto il suo lavoro una simile definizione risulta quasi blasfema. E denuncia la mancanza di vera passione. Quella che ti fa essere tutto e intero  in ogni istante  dedicato al suo oggetto. Ancora peggio è l’ignoranza. O meglio,chi fa dell’ignoranza la sua personalissima formula di poesia. Chi non vuol capire o che ritiene pleonastico il cercare di farlo rende il vino e tutto quello che ci gira intorno una questione grottesca. Il conoscere viene archiviato come sterile nozionismo;l’approfondire considerato una roba da maniaci e da “noiosi” parolai e perfezionisti. La verità è un’altra. Chi ama il vino non ritiene superfluo esplorare le pieghe enoiche di una regione (quantunque l’indimenticato e indimenticabile Mario Soldati  considerasse marchi d’infamia le “doc” e le “docg”! ),perché sa che dietro la scoperta di quei luoghi si dispiega tutto il mistero e la magìa del vino. E  conosce tutti i nomi, così come un professore di storia sa chi sono stati  tutti i Re di Roma e considera questo un punto di partenza. Che un appassionato di fotografia disquisisca sugli “obiettivi” di una macchina fotografica, di “otturatori”  e “tempi di esposizione”  non è strano, né disdicevole. Parimenti verrebbe naturale pensare che un degustatore di vini,professionista o meno,si  interessi di tecniche di vinificazione e colturali,di pratiche di cantina e di conservazione,senza ingenerare negli astanti stupore o tedio. La noia, il pressappochismo, una certa impazienza denunciano mancanza di passione e una certa inadeguatezza. Il vero enofilo ha nel vino un oggetto del desiderio sotto tutti i punti di vista.Negli anni ho individuato diverse categorie di bevitori. Provo a descriverle. La schiera più numerosa è quella dei collezionisti. Hanno  l’impulso irrefrenabile a conservare bottiglie e soprattutto istantanee dei loro momenti enoici ( con l’avvento di facebook poi si rasenta la malattia!). Come ragazzini  che attaccano figurine sui loro album, snocciolano il rosario di bevute fatte,presunte e di là da venire con l’intento di sembrare onnicomprensivi e onnipresenti. Raramente capiscono quel che fanno e bevono tutto per non bere niente,come accade in quelle Kermesse  vinicole dove si stappa l’impossibile e non si parla in fondo di nulla. Poi ci sono i “rigattieri” del gusto. La Necrofilia enologica  è la loro passione. Rossi senza più tracce di frutto,bianchi ossidati,champagne che hanno perso da tempo le bollicine sono le  loro specialità. Per questa categoria di palati il meglio deve sempre arrivare,i tannini devono sempre ammorbidirsi,la terziarizzazione ancora compiersi . Responsabili dello scempio di bottiglie perfette condotte allo stremo della loro resistenza organolettica,i necrofili del vino credono ai  miti trasmessi da una critica enologica che incensa se stessa e non c’è scienza che possa scuoterli dal loro torpore intellettuale. Per loro si parlerà ancora di brunelli centenari,di bordolesi del secolo scorso,di fantasmagoriche  bottiglie trovate in ogni dove(per mari,per laghi,in fondo a cavità di ogni genere,sepolte,murate…) e ancora miracolosamente performanti. Tanto chi può smentirli questi “Templari” del gusto? I “salutisti” sono i meno simpatici. Perché mettono le briglie al piacere,unico vero motore dell’esistenza. Sorseggiano il vino come una medicina e questo è francamente molto triste e scoraggiante. Da loro solo conteggi(un bicchiere al giorno,mezzo bicchiere a pasto…) e poche emozioni.
Dirò ogni bene invece degli edonisti e dei poeti. Sono loro fra i bevitori gli unici veri benefattori. Sanno regalare la gioia e il sogno,tutto quanto occorre per lenire le sofferenze dell’umano transito in questa valle di lacrime. E sarò indulgente con i tecnicisti di ogni sorta. Godono nello spaccare sempiternamente il capello della cultura enoica,prodigandosi meritoriamente. Fanno cultura. Poco male se spesso sfiancano un uditorio  non altrettanto motivato:il problema è di quest’ultimi,non loro.
Concludendo? Ognuno innalzi il calice a modo suo,con le sue modalità. Ma nessuno si sogni di pontificare su alcunchè: il vino ci ha preceduti e ci sopravviverà, è materia universale e infinita e sarà sempre e soprattutto dispensatore cosmico di oblio.
Rosario Tiso


martedì 28 aprile 2015

La “Cuvée Louise” incontra il “Cœur de Roy” di Dugat-Py



Forse non tutti sanno che lo champagne era in origine una bevanda tendenzialmente dolce. Poi ci pensò una delle “vedove” che hanno fatto la storia dello champagne a ideare una versione  secca, leggera ed elegante, ed iniziò a produrre quel che noi oggi definiamo  il tipo  Brut, con un residuo zuccherino nettamente inferiore rispetto a quello che normalmente veniva espresso dalle Maison attraverso la "liqueur d’expedition". Era il 1874 quando Jeanne Alexandrine Louise Mélin, passata alla storia col cognome acquisito come Louise Pommery e trovatasi a capo della Maison Pommery nel 1858 a soli 39 anni, suggerì allo chef de cave della Maison Victor Lambert la variazione di stile con le seguenti, immortali parole: “…desidero uno champagne il più secco possibile, ma privo di asprezza… che sia morbido, vellutato e armonico… desidero che se ne curi innanzitutto la finezza”. Nacque così il “Pommery Nature” e la rivoluzione ebbe inizio. Per rendere omaggio a questa donna eccezionale, nel 1979 la Maison ha creato la Cuvée Louise, facendone la sua “Cuvée Prestige”,  presentandola  al pubblico nel 1986 per celebrare la sua memoria e rappresentarne lo stile. Con simili presupposti  e all’ombra di così grande importanza e lignaggio , avere a disposizione le annate 1999 e 2002 avrebbe dovuto rappresentare per i “Bevitori d’Alta quota” qualità sufficiente per organizzare una serata e rendere memorabile una degustazione. Ma per  noi , bevitori inveterati e spregiudicati, non deve mai mancare un ulteriore “coup de theatre”. E quale bottiglia potrebbe costituirlo meglio di un  Gevrey-Chambertin Cuvée  Cœur de Roy di Dugat-Py? Bernard Dugat, poi anche Py, è un produttore notissimo agli appassionati dei vini di  Borgogna dalla seconda metà degli anni ’90, per aver fatto sobbalzare chiunque assaggiasse i suoi vini tratti dal comune di Gevrey Chambertin, a causa della inaudita concentrazione di profumi, di colore e di sensazioni mai vista e sentita prima in un vino borgognone. Era il 1994 quando il Domaine Dugat divenne Dugat-Py , aggiungendo il nome da nubile di Jocelyne, moglie di Bernard Dugat. Dal 1999 si cominciò a intraprendere la strada verso una conduzione biologica delle vigne di proprietà,percorso da ritenersi completato nel 2003. Ma nel domaine si va oltre: in diversi appezzamenti si stabilisce l’aratura con i cavalli e l’uso sistematico di preparati biodinamici per nutrire il terreno. Lo stile Dugat-Py non può che risentirne sotto l’aspetto di una più generale levità organolettica. Ma veniamo al nostro    Cœur de Roy. Pinot nero al 100% con età media delle viti che oscilla tra i 50 e i 100 anni e anche più, visto che il vigneto vide la luce nel 1910, dà vita ad una produzione  bassissima : solo poco più di 4000 bottiglie l’anno. Dal 1999 la conduzione agronomica è pressoché biodinamica. La vinificazione è tradizionale (lieviti indigeni etc,etc), l’invecchiamento in botti nuove di rovere è tra i 16 e 18 mesi , nessuna filtrazione o stabilizzazione di sorta. Il prodotto che ne consegue è suscettibile di lungo invecchiamento ma può essere apprezzato anche giovane, cosa che ci apprestiamo a fare stasera. Abbiamo infatti per le mani l’annata 2009, considerata molto promettente. Sicuramente andava conservata e anche tanto, ma la voglia è ormai tracimata dall’alveo dell’intento dell’attesa. A noi piace la sfrontatezza e l’esuberanza della gioventù almeno quanto la misurata eleganza e la maggiore complessità recata dall’invecchiamento! E poi, come diceva Pascal , “Le cœur a ses raisons que la raison ne connaît point, ovvero   Il cuore ha ragioni che esulano dal raziocinio”.  Bando alle ormai  inutili parole, dunque , si passi alla beva! Prima lo champagne, poi il vino rosso di borgogna!!  La Cuvée pensata in onore di Louise Pommery nasce da tre Gran Cru di prestigio nella Champagne: Avize e Cramant per lo Chardonnay, Ay per il Pinot Noir. Lo Chef de Cave della Maison Thierry Gasco, dopo l’assemblaggio ed un lungo affinamento di 8 anni e oltre nelle Cave (cantine) di gesso della Maison, ci presenta questo 1999: lieviti e sentori agrumati si alternano a note di frutta caramellata ; l’acidità è  notevole e ne fa uno Champagne ancora da invecchiare ma subito da godere. Non bisogna aspettarsi molto altro dallevoluzione di uno champagne e non va mai dimenticata la sua intima vocazione volta alla  freschezza, alla solarità, alla fragranza. La  struttura del 1999 è da spendere ovunque. Parlare di questi campioni sembra la fiera della banalità, ma  tenterò di inanellare qualche altra perifrasi  per provare a restituire le sensazioni destateci  dall’annata 2002 (memorabile e ricordata tra le più grandi in assoluto in Champagne, sintesi di perfetta maturazione del frutto e di acidità calibrata). Cuvée composta per il 65% da Chardonnay e per il 35% da Pinot Noir provenienti dai soliti  3 Grands Crus della Cote de  Blancs e della Vallée de la Marne, il 2002 è affinato sui lieviti qualcosa come dieci anni. Il primo sorso restituisce una mirabile sintesi: freschezza e intensità, levità di tocco e carezza suadente sembrano fuse in un unico afflato. Non chiedetemi richiami analogici a fiori o frutti: dirò della canonica crosta di pane presente ad ogni ofazione, della mobidezza in deglutizione e di un generale caldo abbraccio che ci fa provare brividi di piacere. E soprattutto le note gessose e minerali  in entrata e la delicatezza all’assaggio : da annoverare fra i migliori “incipit” organolettici da champagne degli ultimi tempi . Altro non so e non voglio dire: inizia la deriva emozionale, voglio solo bere! Cosa vogliamo di più ? Ci apprestiamo  ad incontrare il nettare della  Borgogna, chiedendoci quali  altri incanti potrebbe riservarci  la serata.  La novità storica costituita  da Dugat – Py all’esordio si manifesta già all’occhio con un colore  quasi impenetrabile  e  un intenso naso  di frutti rossi. L’assaggio è sorprendente: che esuberanza, quali mirabili fuochi d’artificio! Tutto sembra prendere d’assalto i recettori sensoriali . E’ la personalissima interpretazione della Borgogna che ha reso celebre Dugat-Py !!. Ma poi sentiamo una fonda mineralità, quasi torbata, strali di humus, afrore di sottobosco, funghi, tartufo. Il gusto è pieno. Non è una pienezza grossolana, ma una ricchezza dovuta al saturante concorso di copiosi estratti che mai debordano dagli argini  di una compiuta armonia. Questo vino è seta. Questo vino  è velluto . Con le cuspidi consuete della gioventù : acidità e tannini. E noi, ancora più su, attraverso i crinali d’Alta quota che caratterizzano le nostre peregrinazioni, non possiamo che goderne. L’oblio ci attende, alla fine della corsa, e ci rende ormai silenti. Fra le prelibatezze gastronomiche della serata, di cui non parlo quasi mai, non posso evitare la citazione di  un piatto strepitoso : “Pappardelle con tartufo nero di Norcia e alici del mar cantabrico”. Da sole avrebbero meritato il viaggio! La chiusa è stata poi pirotecnica. Ad un incredibile panettone ai pistacchi di Bronte del produttore siculo Fiasconaro  chiamato “Oro Verde”, la cui particolarità è quella di essere accompagnato da una crema ai pistacchi da spalmare sulle fette con l’apposito “spalmino”, abbiamo associato la versione natalizia della birra artigianale foggiana EBERS, la “WINTERS”. E’ stata il nostro caffè e la nostra cioccolata.

Rosario Tiso

 

 

 

 

 

 

 

lunedì 27 aprile 2015

Sui "soloni" della critica enologica



“Nei filari, dopo il lungo inverno, fremono le viti. La rugiada avvolge nel silenzio i primi tralci verdi. S’approssima il prodigio antico,primaverile e sempre nuovo della fioritura. Nel  vento dell’estate ondeggiano  i grappoli ubertosi. Poi,i colori dell’autunno e della maturità: avremo ancora vino…” Prendendo spunto da una vecchia canzone che è tanto cara al mio cuore “sacro”, parlo di vino, nell’emozione della beva. L’etica è quella della tradizione contadina,della parola che vale quanto l’anima. E fra le tante che qualificano l’alto lignaggio organolettico  ne scelgo una : complessità. In una messe inestricabile di effluvi odorosi e di sapori,un vino “complesso” non deve voler dire “complicato”. Il “complesso” sfocia nel complicato quando i difetti,ancora ad uno stadio embrionale,si apprestano ad emergere. Nella loro natura ancora  indistinta sono accolti alla stregua di lampi di qualità e, pur  minacciando l’armonia generale, sanno aggiungere un’alea  di mistero. L’uomo è incline a farsi stregare da queste note. Dai ad un degustatore professionista,soprattutto della risma dei saccenti e dei supponenti,qualcosa di intrigante che scateni la sua bramosìa di apparire e si abbandonerà ad elucubrazioni mentali inenarrabili. Così l’incipiente difetto potrebbe diventare la “nuance” suppletiva,il valore aggiunto capace di sancire l’ascesi del vino in questione nell’empìreo dei grandissimi nettari del pianeta. La potenziale nota stonata assurgerà nell’immaginario gustativo a plusvalore organolettico. La perfezione stilistica liquidata come banale manierismo, la strisciante imperfezione è la più idolatrata e ricercata caratteristica dei grandi vini. Addirittura se ne attende l’avvento per anni. Vini di “Chateau Margaux”  pressochè perfetti già quasi in botte e nei primi anni in bottiglia, quali i millesimi 1997 e 1998, hanno dovuto attendere evoluzione  e invecchiamento  per vedersi riconosciuto un valore organolettico immenso, già ampiamente palesatosi in abbrivio. Al saccente,al supponente,al sussiegoso critico di fama più o meno acclarata non basta dunque il “complesso” . Vuole il “complicato”. Vuole il sostrato dell’interazione fra alcoli e acidi. Perché da simili spalti organolettici è più facile pontificare,smarcarsi,brillare di luce indipendente ed esibire un lessico criptico ed esoterico.
Note estranee al vino si asserpano al cerchio perfetto e conchiuso acido-morbido-tannico di un vino compiuto. Dal placido alveo del “complesso” si sprofonda nell’orrido del “complicato”. E’ il momento dei “soloni”,dei super-esperti,di coloro che ammirano la bellezza solo quando subisce le ingiurie degli anni,che barattano la fragranza del nuovo col croccante dell’ossido. Si entra nel magico antro delle infinite possibilità narratorie dove bevibilità e pesantezza,perizia,istrionismo e teatralità possono finalmente andare a braccetto.
Rosario Tiso