Ci sono anime che hanno una precisa vocazione:osare
l’eccellenza.
Sempre.
Antonio Caggiano ne possiede una così.
In tutto ciò che ha fatto e che continua a fare è sempre lì, sulle alte vette del
sublime, a sfidare i pericoli delle asperità.
“Ad astra per aspera”, con il vino.
“Ad astra per aspera”, con la fotografia.
Si,perché prima di diventare un valente produttore vinicolo il
“nostro” ha girato il mondo a caccia di immagini.
Antonio Caggiano è un sognatore. Di quelli che sono soliti abitare
in cielo ma che non stazionano nel mondo “iperuranio” e riescono
miracolosamente a trascinare i sogni dalle “elisie” sfere dello spirito
sulla terraferma.
Basta guardargli le mani.
Mani di un autentico contadino.
Si intuiscono fatica e abnegazione nei segni che le
percorrono trasversalmente, nella muscolatura turgida, e il loro leggiadro
volteggiare ad assecondarne l’eloquio irresistibile(lo ascolteresti per ore!!)
è una danza dolce e lieve che allude a tocchi e carezze che avrà profuso
copiosamente nella sua intensa esistenza.
I nomi dei suoi vini sintetizzano con una parola tutta la sua poetica e la sua storia. Prima
che sgorgasse naturale la richiesta di una spiegazione per appellativi così
gravidi di mistero ecco l’anticipo appassionato del racconto
Bechar, dal nome di una città algerina( fiano d’Avellino in
purezza), evoca il ricordo del deserto del Sahara,visi di cavalieri berberi
segnati dal sole,splendide modelle che sfoggiano le loro smaglianti nudità
appena rivestite di un lieve e frusciante
erotismo.
Quanta anima,quanto desiderio,quanta bellezza in quegli
scatti!
Devon,greco di tufo in purezza,a celebrare un momento topico
dell’esistenza di Antonio Caggiano nell’algida e mitica dimensione del Circolo
Polare Artico. Nella memoria del “nostro” ancora vivide le immagini dello
spettacolo di vita e di morte simboleggiato da una chiazza di sangue
sull’immacolato biancore dei ghiacci e la scena familiare di un’orsa col
proprio cucciolo.
Quei minuti, occhi negli occhi, la belva sazia e indifferente,
il terrore misto all’incanto…sono emozioni indimenticabili!!
Ma Antonio Caggiano è soprattutto il principe di Taurasi.
C’è un che di religioso nel suo approccio alla “madre” terra
e alla vite che dona il frutto-uva. E’ un universo femminile che lo ha sempre
sedotto.
Lui che ama, come pochi altri, l’altra metà del cielo, intende
adorarlo.
Le declinazioni dell’aglianico sono esaustive. Si parte dal
Taurì,un autentico “Taurasi” in miniatura,per giungere al Salae Domini , dalla
vecchia vigna di famiglia. E pervenire a quel vertice sensoriale che risponde
al nome di “Vigna Macchia dei Goti” in un’escalation di qualità assolutamente
inusitata.
Adesso il mondo lo girano le sue bottiglie.
La sua cantina è spettacolare. Un caldo abbraccio di pietre
antiche accoglie visitatori attoniti al
cospetto di atmosfere che richiamano arcane sacralità.
Come in un tempio,si avanza in religioso silenzio,fra
botti,migliaia di bottiglie,vecchi attrezzi contadini.
Tutto concorre a creare una sottile malìa che soggioga. Il
lieve sciabordìo di acque sapientemente introdotte a produrre supplementare stupore,fa
il resto.
L’assaggio dei vini è stato il compimento di una giornata
indimenticabile,il giusto coronamento di un percorso sensoriale che ci ha visti
godere prima con la vista e il tatto,poi con l’olfatto e le papille gustative. Le
“nuance” fruttate del mirabile
Taurì 2008 e le note eleganti e severe del Taurasi Vigna
Macchia dei Goti 2006 hanno impressionato. Come pure il seducente Devon,ricco e
opulento,opera dell’arte enologica del figlio di Antonio Caggiano,Giuseppe,architetto
prestato all’agricoltura,sicuro erede di cotanta paternità.
Come gli apostoli sul Monte Tabor al momento del ritorno, recalcitranti
a simile destino, chiedevano a Gesù di rimanere a pregare e di piantare delle
tende, così anche noi avremmo voluto chiedere a “maestro” Antonio di ospitarci una notte, per poter prolungare un idillio
cominciato al primo sguardo.
Abbiamo capito in un lampo che forse certi luoghi
paradisiaci non sono fuori dal mondo ma sono “il” mondo, vibrante di vera
umanità, e che le città, le civiltà, con le loro nevrosi,la loro alienazione,la
loro inutile fretta ….la vera irrealtà.
Rosario Tiso
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