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mercoledì 18 marzo 2015

Antonio Caggiano



Ci sono anime che hanno una precisa vocazione:osare l’eccellenza.
Sempre.
Antonio Caggiano ne possiede una così.
In tutto ciò che ha fatto e che continua  a fare è sempre lì, sulle alte vette del sublime, a sfidare i pericoli delle asperità.
“Ad astra per aspera”, con il vino.
“Ad astra per aspera”, con la fotografia.
Si,perché prima di diventare un valente produttore vinicolo il “nostro” ha girato il mondo a caccia di immagini.
Antonio Caggiano è un sognatore. Di quelli che sono soliti abitare in cielo ma che non stazionano nel mondo “iperuranio” e riescono miracolosamente a  trascinare  i sogni dalle “elisie” sfere dello spirito sulla terraferma.
Basta guardargli le mani.
Mani di un autentico contadino.
Si intuiscono fatica e abnegazione nei segni che le percorrono trasversalmente, nella muscolatura turgida, e il loro leggiadro volteggiare ad assecondarne l’eloquio irresistibile(lo ascolteresti per ore!!) è una danza dolce e lieve che allude a tocchi e carezze che avrà profuso copiosamente nella sua intensa esistenza.
I nomi dei suoi vini sintetizzano con una parola  tutta la sua poetica e la sua storia. Prima che sgorgasse naturale la richiesta di una spiegazione per appellativi così gravidi di mistero ecco l’anticipo appassionato del racconto
Bechar, dal nome di una città algerina( fiano d’Avellino in purezza), evoca il ricordo del deserto del Sahara,visi di cavalieri berberi segnati dal sole,splendide modelle che sfoggiano le loro smaglianti nudità appena rivestite di un lieve e frusciante  erotismo.
Quanta anima,quanto desiderio,quanta bellezza in quegli scatti!
Devon,greco di tufo in purezza,a celebrare un momento topico dell’esistenza di Antonio Caggiano nell’algida e mitica dimensione del Circolo Polare Artico. Nella memoria del “nostro” ancora vivide le immagini dello spettacolo di vita e di morte simboleggiato da una chiazza di sangue sull’immacolato biancore dei ghiacci e la scena familiare di un’orsa col proprio cucciolo.
Quei minuti, occhi negli occhi, la belva sazia e indifferente, il terrore misto all’incanto…sono emozioni indimenticabili!!
Ma Antonio Caggiano è soprattutto il principe di Taurasi.
C’è un che di religioso nel suo approccio alla “madre” terra e alla vite che dona il frutto-uva. E’ un universo femminile che lo ha sempre sedotto.
Lui che ama, come pochi altri, l’altra metà del cielo, intende adorarlo.
Le declinazioni dell’aglianico sono esaustive. Si parte dal Taurì,un autentico “Taurasi” in miniatura,per giungere al Salae Domini , dalla vecchia vigna di famiglia. E pervenire a quel vertice sensoriale che risponde al nome di “Vigna  Macchia dei Goti”  in un’escalation di qualità assolutamente inusitata.
Adesso il mondo lo girano le sue bottiglie.
La sua cantina è spettacolare. Un caldo abbraccio di pietre antiche accoglie  visitatori attoniti al cospetto di atmosfere che richiamano arcane sacralità.
Come in un tempio,si avanza in religioso silenzio,fra botti,migliaia di bottiglie,vecchi attrezzi contadini.
Tutto concorre a creare una sottile malìa che soggioga. Il lieve sciabordìo di acque sapientemente introdotte a produrre supplementare stupore,fa il resto.
L’assaggio dei vini è stato il compimento di una giornata indimenticabile,il giusto coronamento di un percorso sensoriale che ci ha visti godere prima con la vista e il tatto,poi con l’olfatto e le papille gustative. Le “nuance” fruttate del mirabile 
Taurì 2008 e le note eleganti e severe del Taurasi Vigna Macchia dei Goti 2006 hanno impressionato. Come pure il seducente Devon,ricco e opulento,opera dell’arte enologica del figlio di Antonio Caggiano,Giuseppe,architetto prestato all’agricoltura,sicuro erede di cotanta paternità.
Come gli apostoli sul Monte Tabor al momento del ritorno, recalcitranti a simile destino, chiedevano a Gesù di rimanere a pregare e di piantare delle tende, così anche noi avremmo voluto chiedere a “maestro” Antonio di ospitarci  una notte, per poter prolungare un idillio cominciato al primo sguardo.
Abbiamo capito in un lampo che forse certi luoghi paradisiaci non sono fuori dal mondo ma sono “il” mondo, vibrante di vera umanità, e che le città, le civiltà, con le loro nevrosi,la loro alienazione,la loro inutile fretta ….la vera irrealtà.
Rosario Tiso



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