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martedì 10 marzo 2015

Clos Apalta 1999


E ci risiamo!
E’ l’ennesimo appuntamento della “Setta dei bevitori estinti” con una bottiglia di vino desiderata,cercata: Clos Apalta 1999,fascinoso blend di carmenere, merlot, cabernet e malbec di Casa Lapostolle (Non saremo mai abbastanza grati alla viticoltura cilena per il salvataggio del carmenere, pregiatissimo vitigno dell’ “enclave” bordolese,abbandonato per la scarsa resa dovuta al fenomeno della “colatura”,poi riscoperto e rivalutato anche in Italia).
Adesso è con noi,circondata di cure amorevoli:ce la passiamo di mano in mano, come di trofeo appena vinto!Verifica empirica della temperatura di servizio(al semplice tatto),luci sapienti,assenza di odori disturbanti,tranquillità,atmosfera:è ancora il wine-bar Cairoli di Foggia ad ospitarci,a rispondere alle nostre esigenze ed in particolare il suo “privè”,l’impropriamente designata “saletta aperitivi”,vero covo per iniziati. Noi della “setta” amiamo rifugiarci là,dove solo chi ha varcato la soglia del bere consapevole è ammesso,non per divieto, ma per naturale selezione.
Stappiamo la bottiglia con religiosità e un senso di trepidante attesa ci pervade:tante le aspettative riposte nel Clos Apalta 1999!Versiamo nei calici con le consuete,esasperanti lentezza e cautela.
Certo non sarà l’annata 2005, targata Michel Rolland, che si presume,dato il successo planetario e l’incoronamento come Top Wine mondiale da parte della rivista americana “Wine Spectator”,vincerebbe sotto ogni profilo. Ma di fronte ad un campione lucente,profumatissimo e saporoso,per nulla fiaccato dalla decade trascorsa dalla vendemmia,non si può che restare ammirati.
Quel che più colpisce è il carattere esotico del bouquet. Sentori che si fatica ad attribuire analogicamente a fragranze già note. Ricorriamo all’archivio della memoria per evocare scenari olfattivi da affiancare al fuoriclasse cileno. Sembra un vino del sud della Francia(Linguadoca),uno di quei vini dove umori minerali e vegetali,bruniti dall’invecchiamento,costituiscono un’insieme inestricabile e la solarità è sottesa ad ogni elemento.
La beva si fa più rilassata e fatalmente scivoliamo nella dimensione trasognata dell’immaginazione.
Ancora una volta non ci può essere “piacere” senza l’abbandono del piano della razionalità per accedere alla sfera dei desideri. L’espressione del volto si trasfigura nell’incanto e le connessioni cerebrali cessano di ripercorrere i sentieri della logica per avventurarsi nel dominio del vagheggiamento e dell’astrazione.
Il vino diventa “memorabile” se la sua essenza si sposa con l’anima di chi lo degusta.
Non c’è tripudio dei sensi senza la loro sublimazione,senza una loro temporanea elevazione, un fugace passaggio,nell’elisie sfere dello spirito. Chi gode del vino non lo sta semplicemente bevendo:lo ha posto al centro della sua attenzione e attende che gli parli.
Basta essere pronti.
Attraverso le incipienti nebbie alcoliche e l’intermittente dono dell’oblio si predispone l’ascolto più vero,al riparo da esasperati tatticismi e tecnicismi.
Quel che ci ha raccontato il campione in questione è una storia d’amore che ha un linguaggio universale:la passione dell’uomo”creatore”per la sua terra e il frutto della vite e la ricerca della felicità.
E’ stata una festa!
E la festa richiama lo stappare col botto!
Secondo il credo di Delphine Veissiere (champagne 365 giorni l’anno!),un qualsiasi prodotto della scuderia “La Flute” può impreziosire un evento.
La scelta è caduta su una bottiglia di Janisson-Baradon non dosè. Messo duramente alla prova da un livello di soddisfazione già compiuto,ha retto e supportato il profluvio di sensazioni già incamerate consentendone,attraverso l’aereo viatico delle bollicine,un loro armonioso diradamento in riverberi sensoriali sempre più venati di nostalgia.
Che nutre la speranza di un ritorno.
Che è già il seme della bevuta a venire.

Rosario Tiso

 

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