Visitare
una zona vinicola non è soltanto trovarvi un agriturismo adeguato e accogliente
o giungere nei paesi che hanno fatto la storia del vino italiano e mondiale.
E'
rintracciare sul territorio i "cru" più famosi, solcarli attraverso
le capezzagne che ne delimitano i confini, seguire sentieri, visitare cantine, degustare
vini.
E'
immergersi in una particolare dimensione mentale e fisica senza lasciare spazio
a nient'altro. E' un'esperienza che richiede concentrazione, silenzio,
solitudine.
Quelle
cose che risulta difficile vivere bene anche in coppia, se non si è ugualmente
e sufficientemente motivati.
Il
gruppo poi scatena ben altre dinamiche. Questo non riguarda solo le scorribande
sulle strade del vino.
Vale
anche per qualsiasi esperienza che accada nel dominio dei sensi o abbia una
valenza artistica.
Provo
a figurarmi il muovermi sulle tracce di Pavese o di Fenoglio, sullo sfondo del
paesaggio langarolo, e cercarle nei luoghi che videro nascere e crescere la
loro poetica.
Le
loro voci sarebbero inudibili, fatalmente coperte dal rumoroso, giocoso, vociante
e distratto incedere del branco. Bisogna stare sulla giusta lunghezza d'onda
per apprezzare certe cose e non avere altro a cui pensare.
E'
avere una passione di cui occuparsi. E' una questione di priorità. Quando si è
in tanti le priorità, evidentemente, possono essere diverse.
Anche
bere il vino è un'esplorazione, un avventurarsi lungo percorsi meno noti. Si
ripropone lo schema del viaggio e della scoperta.
Da
soli è un sogno. Si è giudici e nel contempo messi alla prova. Amanti e amati.
Ricettacoli sia del piacere che del suo oggetto. In compagnia è fondamentale
l'unità.
Ritengo
che nella "coppia" o al massimo in tre o quattro degustatori
risiedano le relazioni ideali per ospitare e condividere un'emozione enoica.
Siamo
perciò in tre al wine-bar Cairoli
di Foggia, Fabio, Antonio, e il sottoscritto, ad accostarci ad una bevuta che promette di
rientrare nel novero dei "memorabilia": Flaccianello della Pieve 2007 di Fontodi e "Substance" sboccatura 2005 di
Jacques Selosse. La storia di Fontodi si intreccia con quella secolare del
Chianti.
La
"Conca d'oro" di Panzano è la sua culla.
La
viticoltura "biologica" è la nuova frontiera per ottenere un frutto
di migliore qualità.
In
questo contesto il "Flaccianello della Pieve" è il prodotto
della selezione delle migliori uve di vitigni che allignano sul classico
"galestro", base ideale per ottenere risultati strabilianti dal
sangiovese.
La
concia di 20 mesi in rovere di Allier e Troncais consegna un capolavoro che è
il fiore all’occhiello di questa superba tenuta.
Capace di importanti affinamenti in bottiglia,
risulta eccellente da subito e sciorina un mirabile equilibrio nonostante il
gravame di un consistente peso e di un'ampia complessità.
Il Selosse "Substance" invece è un "unicum" nel panorama champagnistico mondiale.
Il Selosse "Substance" invece è un "unicum" nel panorama champagnistico mondiale.
Chi
potrebbe osare il rischio di adottare una procedura concepita per i vini
"fortificati" facendo percorrere alla sua "cuvèe" più
atipica le traiettorie gustative disegnate dal metodo "Solera"?
Anselme Selosse lo fa.
Fermentato
in barrique, il "Substance" subisce il metodo di assemblaggio
riservato agli "sherry" ed invecchia poi in bottiglia per almeno sei
anni.
S.a.
di enorme fascino e suggestione, ha dalla sua l'assenza di qualsiasi
ortodossia, se si considera che Anselme non standardizza il gusto evitando
accuratamente di utilizzare lieviti selezionati e preferendo l'uso di fruttosio
puro per il "dosage" . Ne consegue un prodotto che è l'esatta derivazione
della particella di terreno che lo ha generato e dell'uva che ne è stata colta. Si comincia con il
"Substance". Ed è come entrare in un antro magico e segreto. Mai ci
era toccato un nettare così misterico ed esoterico. Mai da un'acidità così iridescente
e piena era scaturita una carezza gustativa così felpata e lieve.
L'eccellenza
della materia prima, il metodo realizzativo, i legni nuovi, la calibrata
ossidazione ci consegnano uno spettro olfattivo maturo e complesso dove pullulano
note di “boulangerie” e “patisserie” ed imperversano profumi terziari.
In
bocca è di una pienezza nervosa e golosa e la persistenza aromatica intensa
sembra distendersi all'infinito.
Perfetto
l'abbinamento gastronomico con la mortadella d'oca lievemente grigliata: la sua
grassezza ha abbassato la febbre dell'acidità e addolcito l'esuberante
sapidità.
Col
Flaccianello della Pieve 2007 si passa da toni sussurrati a registri
monumentali e mastodontici.
La
fittezza degli estratti, l'ampiezza dei profumi, il profluvio delle sensazioni
tattili e la ridda dei sapori fanno del campione toscano una
"portaerei" del gusto. Il portato alcolico non pregiudica
l’equilibrio e l'astringenza del poderoso tannino, promessa di lunga e gloriosa
prospettiva, è bilanciata dalla succulenza ed untuosità di un perfetto
cinghiale in umido.
Il
vino risulta organoletticamente incontenibile.
Ad
ogni sorso dipana una congenita
multidimensionalità. La zattera dei sensi sembra smarrirsi, fallire ogni rotta,
inseguire vanamente il miraggio di un discernimento consapevole posto
al limite estremo dell'orizzonte del gusto.
Ma
"...il naufragar è dolce in questo mare…”.
Rosario
Tiso
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