Si è
appena spenta l’eco della degustazione della
galassia enoica di “Gaja distribuzione” , svoltasi al ristorante “Al Primo
Piano” di Foggia alla presenza di Rossana Gaja, e mi ritrovo nella silente
alcova del mio studio a srotolare il gomitolo dei ricordi,a ripercorrere la
carrellata di immagini impresse nella memoria di un evento nato nobile per il
lignaggio di una parola,di un contenuto,di una realtà intessuta di leggenda: Gaja.
Sommelier e
“opinion leader”, così mi ha presentato lo chef Nicola Russo all’atto dei
convenevoli di rito. Il primo appellativo corrisponde a verità. Il secondo è
una formula per dare un nome alla mia “poetica” inclinazione a parlare e scrivere di vino. Ma
quel che non ha potuto sintetizzare in una parola e che neppure un reiterato
contatto può servire a raccontare è il mio amore per il marchio e per la figura
di Angelo Gaja. Non si può esprimere
compiutamente quanto contasse per
me essere al cospetto del mito enologico per eccellenza dell’italica vigna.
Gaja è stato il sogno e il vagheggiamento enoico più ricorrente degli esordi. E che esordi. Con i miei sodali
di bevute(di volta in volta identificati con i nomi di fantasia che il mio
estro quasi “letterario” mi suggeriva,dalla “Setta dei Bevitori estinti” ai
Bevitori prima “Randagi” e poi “d’Alta quota”…) si cercava assiduamente
l’eccellenza e si formulavano ipotesi sull’immigliorabile vinicolo. E Gaja era
sempre in testa. Ogni investimento spirituale e materiale pareva anelare e concretizzarsi in una sua
bottiglia. Il “Barbaresco” lo bevemmo più volte. Facevamo persino collette e
rompevamo salvadanai pur di permetterci
l’ambita beva. Poi fu la volta dello “Sperss”. Quindi l’emozione del “Darmagi”.
Quando ottenni una promozione sul lavoro fu la scusa per concedermi un “Gaja e
Rey”. Al mio 40° compleanno brindai col Brunello Rennina in una delle sue prima
versioni. E via dicendo. Fino all’incontro assoluto : Sorì Tildin 1993.
Questo,il passato. Tornando alla recente degustazione posso dire che la formula adottata(probabilmente l’unica
possibile per ragioni pratiche) non trova la mia personale approvazione. Troppi
vini in rapida successione,una sorta di orgia enoica! In principio ho
apprezzato tantissimo il vermouth bianco ambrato di Mancino. Complimenti per il
fiuto “sensoriale” che ha permesso di
snidarlo nella ridda infinita di possibilità che offre il mercato. Poi la
sequela dei bianchi. Apprezzabili il
gewurztraminer di Yarden per il suo portato esotico e il rosato di Guigal per
la sua sapidità. Un discorso a parte per il vino dedicato a Rossana Gaja, il Rossj- bass: mi piacerebbe
che evitasse del tutto i legni per coglierlo con la freschezza e con
l’immediatezza che ci si attende da un prodotto più giovane e più pronto .
Amerei percepire intonse le sue fragranze. Per lo Chardonnay di casa lascerei
al “Gaja e Rey” il compito di esprimersi
su livelli più consoni al gusto internazionale
e l’onere di sfidare gli anni. Per i rossi c’è stato il voluto
“crescendo”. Il Barbaresco me lo ricordavo così, denso, carico di gusti e
d’aromi, profondo e misterioso che si può bere solo a piccolissimi sorsi,senza
le ombre di una viscosità e di
astringenze invalidanti. Ma il
Barbaresco di Gaja è refrattario alla brutalità del consumismo: va bevuto con
religiosa attenzione. Molto espressivo poi il Brunello. Ancora e fatalmente
tannico,data la breve età,il Barolo. Dal Dagromis,dall’approccio ancora
scomposto e ridente della gioventù,parevano però effondersi presagi di grandeur di là da venire ed ancora
profumati di fresco. L’ultima riflessione la faccio su Rossana Gaja. In maniera
un pò provocatoria ho chiesto di getto
se le era mai passato nella mente di fare qualcos’altro nella vita. Dopo averla
vista all’opera posso dire che ha fatto centro. A volte si hanno ali forti e
instancabili ma non si conoscono i rudimenti del volo. Quando poi li si
apprende si è un po’ più vecchi e le forze non tengono più dietro al sogno. Il caso
di “Rossj” è invece quello in cui queste valenze si sono coniugate in sinergia
e rendono capaci di padroneggiare l’Alta quota con maestria. Il futuro
l’attende.
Rosario Tiso
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