Ho trascorso la Pasquetta alla Locanda Bosco San Cristoforo
di Giuseppe Di Iorio, nella selva che si dipana nell’entroterra tra Motta
Montecorvino e San Marco La Catola in provincia di Foggia, e sono ancora
pervaso dalle forti impressioni della
giornata. Al punto che ho voglia di raccontarne i dettagli, sia pure fortemente
combattuto sull’opportunità di farlo. La ragione è molto semplice: quando ti
capita di trovare luoghi siffatti, esprimenti qualità e consistenza, bellezza e
poesia, forse è meglio tenerli celati alla consapevolezza della massa.
L’esperienza insegna che quantità e lunghezza nuocciono all’intensità. Ma è
tracimante il portato emozionale del ricordo e fatalmente non può che tradursi in
parole. A distanza di un anno
dall’ultima “entusiastica” visita alla
“Locanda” nulla è mutato. Come è inconsueto tutto ciò. In un’epoca che fa del
cambiamento rapido quasi una religione, trovare persone e luoghi da cui
promanano le medesime idealità e fragranze del recente passato è una rarità. Il
contesto ambientale è di indubitabile fascino. Il passaggio occasionale dei
gitanti sembra non intaccare i silenzi e
la profondissima quiete del maestoso schieramento arboreo che fa da corolla
alla struttura della Locanda. Poi ci si mette un clima che d’inverno si fa
rigidissimo ( la neve spesso a far da bordura a strade e sentieri…) a
respingere gli svogliati viandanti, adusi ormai a più comodi divertimenti e a
non reggere qualsivoglia ostilità, sia pure ambientale. Tutto concorre a
selezionare gli astanti anche a fronte di numerose presenze, come nel caso
della Pasquetta. L’accoglienza è stata
subito fraterna. Giuseppe Di Iorio, anima e motore di tutte le attività della
Locanda, è un eroe dei nostri giorni. Imperterrito e dall’allure senza tempo, produce
i vini “alla beva” nel locale e si
procaccia le materie prime (quasi tutte a Km. zero; erbe, funghi e tartufi ,
spesso a pochi metri dal desco!!) servite in svariate e tipiche preparazioni
gastronomiche. Qui parlare di prodotto genuino non è un eufemismo, né una
“boutade”: è la pura verità. La “N’noglia”, ad esempio. Il cosiddetto “salame
pezzente”, perché ricavato dall’utilizzo delle parti meno nobili del maiale, è
presente in svariate e prelibate versioni, sia secca che fresca, da cuocere
alla brace. Salume tipico per Campania, Puglia e Molise, alla Locanda trova il
suo “santuario” . Ha nobilitato gli antipasti e il “secondo”. Giuseppe poi
produce di suo una sorta di “soppressata”, ricavata presumibilmente dal filetto
del maiale, da urlo! Poche fettine rappresentano un’apoteosi del gusto!! ( Se
ne avessi nella mia dispensa credo che la condividerei con pochi selezionati
“altri”). Il tutto irrorato dai vini dell’ Agricola Biologica Belvedere, il
marchio enoico della "Locanda". Si parte con la bollicina “Brecciolosa”, “blend” di Falanghina e Greco spumantizzato col metodo
“ancestrale” e sboccato all’atto di servirlo ai tavoli. Pochi calici, e i
convitati chiedono a gran voce il “Rosso Malvone”. Così è chiamato il rosso di
corpo, di colore impenetrabile, che gli abitanti del posto sono soliti
consumare con i pasti; nome ispirato dalla pianta selvatica “malvone” con i
suoi grandi fiori rossi selvatici. Giuseppe lo fa col Montepulciano. La tradizione, che di solito
ignora il monovitigno, nella fattispecie
lo sposa. L’altro vino aziendale, il “Fraccato”, è un rosato ricavato da
svariate uve coltivate in un’unica vigna. E’ il vino che si ha il privilegio di
pigiare con i propri piedi durante la festa della vendemmia e poi di acquistare
in pochi, numerati esemplari. Alle varie etichette si è aggiunta anche una riserva di Aglianico, nomata “A” , comparsa sui tavoli a suggellare l’amicizia
tra i convenuti; un’amicizia che percepisci vera dagli sguardi, dalle parole,
dagli affetti. Poi il “Tre Canali”, assemblaggio di Aglianico, Montepulciano e
Uva di Troia, da portare a casa e gustare in ricordo dell’evento. Giuseppe si è
pure dotato di un vino da meditazione,
l’Elisir della Locanda: è una sorta di
“Ratafià” da Rosso Malvone e amarene locali.
Ha accompagnato la frutta e i dolci ,
anch’essi deliziosi. E ritrovando nella memoria il riverbero del montante oblio alcolico, ripenso quasi con
compassione a quei tanti, in città come in periferia, vicini e lontani, che si
dividono tra “fast” e “slow”, si barcamenano tra pseudo-tipicità e
pseudo-tradizione, incespicano tra gerundi e imperativi. False battaglie per
falsi o ingenui comprimari. Che inutile dispersione umana e professionale! Mentre
qui alla “Locanda”, lungo sentieri poco o nulla battuti, si rinnova l’incanto di un mondo che altrove è
scomparso ed è appannaggio di spiriti puri e liberi, appassionati e franchi,
diffusori quasi inconsapevoli di luce e bellezza, portatori della verità…
ultima, residua speranza dell’umanità.
Rosario Tiso
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