“Nei filari,
dopo il lungo inverno, fremono le viti. La rugiada avvolge nel silenzio i primi
tralci verdi. S’approssima il prodigio antico,primaverile e sempre nuovo della
fioritura. Nel vento dell’estate
ondeggiano i grappoli ubertosi. Poi,i
colori dell’autunno e della maturità: avremo ancora vino…” Prendendo spunto da
una vecchia canzone che è tanto cara al mio cuore “sacro”, parlo di vino, nell’emozione
della beva. L’etica è quella della tradizione contadina,della parola che vale
quanto l’anima. E fra le tante che qualificano l’alto lignaggio organolettico ne scelgo una : complessità. In una messe inestricabile
di effluvi odorosi e di sapori,un vino “complesso” non deve voler dire
“complicato”. Il “complesso” sfocia nel complicato quando i difetti,ancora ad
uno stadio embrionale,si apprestano ad emergere. Nella loro natura ancora indistinta sono accolti alla stregua di lampi
di qualità e, pur minacciando l’armonia
generale, sanno aggiungere un’alea di
mistero. L’uomo è incline a farsi stregare da queste note. Dai ad un
degustatore professionista,soprattutto della risma dei saccenti e dei
supponenti,qualcosa di intrigante che scateni la sua bramosìa di apparire e si
abbandonerà ad elucubrazioni mentali inenarrabili. Così l’incipiente difetto
potrebbe diventare la “nuance” suppletiva,il valore aggiunto capace di sancire
l’ascesi del vino in questione nell’empìreo dei grandissimi nettari del
pianeta. La potenziale nota stonata assurgerà nell’immaginario gustativo a plusvalore
organolettico. La perfezione stilistica liquidata come banale manierismo, la
strisciante imperfezione è la più idolatrata e ricercata caratteristica dei
grandi vini. Addirittura se ne attende l’avvento per anni. Vini di “Chateau
Margaux” pressochè perfetti già quasi in
botte e nei primi anni in bottiglia, quali i millesimi 1997 e 1998, hanno dovuto
attendere evoluzione e invecchiamento per vedersi riconosciuto un valore
organolettico immenso, già ampiamente palesatosi in abbrivio. Al saccente,al
supponente,al sussiegoso critico di fama più o meno acclarata non basta dunque
il “complesso” . Vuole il “complicato”. Vuole il sostrato dell’interazione fra
alcoli e acidi. Perché da simili spalti organolettici è più facile
pontificare,smarcarsi,brillare di luce indipendente ed esibire un lessico
criptico ed esoterico.
Note
estranee al vino si asserpano al cerchio perfetto e conchiuso
acido-morbido-tannico di un vino compiuto. Dal placido alveo del “complesso” si
sprofonda nell’orrido del “complicato”. E’ il momento dei “soloni”,dei
super-esperti,di coloro che ammirano la bellezza solo quando subisce le
ingiurie degli anni,che barattano la fragranza del nuovo col croccante
dell’ossido. Si entra nel magico antro delle infinite possibilità narratorie
dove bevibilità e pesantezza,perizia,istrionismo e teatralità possono
finalmente andare a braccetto.
Rosario Tiso
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