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mercoledì 15 aprile 2015

Lo Chardonnay 1999 di Terlano



Ogni  vino all’apertura spalanca immediatamente le cataratte del gusto. Se il campione è povero di estratti e di essenze,il profluvio di odori e sapori che ne conseguirà sarà presto esaurito. Allorquando la materia sarà complessa e variegata ci vorrà del tempo perché tutte le percezioni sfilino attraverso i varchi espressivi dei sensi all’uopo allertati,come di folla ammassata e avanzante a monte e lungo una strettoia. E’ una mera questione spazio-temporale oltre che di interazioni chimico-fisiche di parti del vino fra loro e l’elemento “aria” sopravveniente. Il degustatore  nel frattempo ha bisogno di altrettanti passaggi e riparametrazioni spazio-temporali nonché mentali per accogliere la genìa di stimolazioni gusto-olfattive in arrivo. Il vino quindi si concede sempre tutto e subito. Non è tanto alla metamorfosi del vino che assistiamo durante assaggi reiterati e prolungati del nettare in esame,quanto all’emersione della nostra consapevolezza dal groviglio di sensazioni e di pensieri che promana dalla beva e ci attanaglia nell’atto del discernere,perché solo quello che riusciamo a cogliere e riconosciamo possiamo poi tentare di spiegare e definire buono e bello. Sta alla cultura,alla sensibilità,all’esperienza,alla passione,alla spiritualità e alla pazienza del bevente scoprire tutte le ricchezze emozionali contenute nel liquido che sciaborda nel bevante e quanto è congenitamente capace di esprimere sensorialmente. L’anima del vino è in ultima analisi il riflesso e il prestito dell’anima del degustatore che si accorda allo spartito mirabilmente scritto dalla natura nella terra e nei pomi e dall’uomo nell’arte vinificatoria e dispiegato nella sintesi mirabile del prodotto enoico finale. Nessuna chiusura dunque,nessuna reticenza. Il vino all’apertura rivela tutto della sua realtà organolettica e viene ghermito subito quando è semplice. Se invece è di indicibile complessità e di rara tessitura,foriere di mistero,il degustatore per quanto smaliziato non saprà di primo acchito decifrarlo e contenerlo e resterà folgorato da un’accecante nudità:non potrà che avvicinarsi al corpo odoroso con cautela. Tutto qua. Ed è quello che presumibilmente saremo costretti a fare noi,”Bevitori d’Alta quota” Rosario Tiso e Antonio Lioce,in arte Ros e A.L.,con la bottiglia che ci apprestiamo a stappare nella consueta alcova del  wine-bar Cairoli di Foggia:lo Chardonnay 1999 di Terlano.
E’ un vino predestinato,concepito per esaltare il terroir di Terlano e la sapienza enologica dei suoi facitori. Fa parte del progetto delle “rarità” della cantina di Terlano,campioni che sostano per una decina di anni sulle fecce fini e sono poi immessi sul mercato. Una sorta di produzione spettacolare e quintessenziale  atta a mostrare le massime altezze organolettiche raggiungibili in tutta l’enclave altoatesina e oltre. E’ un vino che sfida i più grandi chardonnay del mondo a singolar tenzone e senza timori reverenziali:uno stuolo di uomini indomiti e lungimiranti hanno da quasi un secolo  lavorato  per questo.
Alla prima valutazione mi pare che alla personalità di questo vino,in altre fasi evolutive forse più intelligibile e netta,non si possano attribuire connotazioni precise,disperse come sono in una prismatica e infinita dissolvenza gustativa. Come accade con i nettari grandissimi e indimenticabili,è un vino che non si riesce a raccontare compiutamente e suggerisce il silenzio. Ma non dobbiamo aver paura della passione naturale,non dobbiamo considerarla una teoria o un’astrazione. E’ il momento di evocarla nella sua realtà e di ridurre lo spazio che solitamente destiniamo all’intelligenza. Senza opporre resistenza,occorre che si lasci sgorgare spontanea la narrazione dei sensi senza temere la sua purezza espressiva. Qui nel bicchiere,nella trama del campione di Terlano,regna un’armonia densa e piena e la verticalità,la salinità,la saporosità non sono cuspidi  gustative miranti a stupire palati dalla  grossolana tessitura e dal superficiale  approccio,ma note integrate in un placido tondo,vibrante ma delicato,piacevole e naturale come il primigenio frutto pur nella concia di un prodotto che ambisce all’eterno. Ogni snasata,ogni sorso rivela tracce olfattive e gustative innumerevoli e ondivaghe. La sensazione di un incalzante  deja vu ci attanaglia:saranno forse la banana,l’ananas e l’albicocca che balenano a tratti o i puri strali di limone emergenti da un letto minerale e salmastro o infine l’eleganza e la finezza che esalano ad ogni respiro di questo nettare celeste a sortire un simile  effetto?Vano il tentativo di decifrare ulteriormente una materia così vasta,complessa,eterea. Meglio astenersi e godere dell’unità.
Anche noi attendavamo trepidanti l’uscita dell’ennesima “rarità” di Terlano. La culla del legno e la lunga permanenza in acciaio sulle fecce fini nella loro duplice funzione protettiva e arricchente hanno prodotto le conseguenze sperate:siamo al cospetto soprattutto di una suadente sinfonia. E il cosiddetto “metodo Stocker”,dal nome dell’ex enologo della cantina,ha consegnato alla collana dei ricordi un’altra imperdibile perla enologica. Non resta che abbandonarsi al piacere!Che sopraggiunga un’estasi di raggiante luminosità e di splendida maturità! Se si è capaci solo in parte di dar voce alle emozioni attraverso le parole poco importa:i dettagli esasperatamente tecnici,le puntuali evocazioni esperienziali sono appannaggio della razza dei degustatori di professione. Noi siamo qualcosa di diverso: semplicemente, unicamente, ”Bevitori d’Alta quota”.
Rosario Tiso  




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