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mercoledì 29 aprile 2015

Categorie di “bevitori”



Il poeta Teognide scriveva : ”gli esperti riconoscono l’oro e l’argento grazie al fuoco,ma l’animo dell’uomo lo rivela il vino”.  E’ indubbio che il vino ha segnato nella Storia tutti gli aspetti della vita sociale, culturale e spirituale dell’uomo. Dall’esperto, dall’appassionato, dal divulgatore, è lecito attendersi una marcia in più,una conoscenza in più,un afflato più poetico e una tecnica più sopraffina. Grande è la mia sorpresa nel rintracciare proprio fra gli addetti ai lavori o sedicenti tali carenza di passione ed ignoranza. Quando muovevo i primi passi nell’approccio al vino ed ero già motivatissimo,mi colpì una definizione riportata su “Wine Spectator”, celeberrima rivista americana del settore,  soprattutto perché proveniente da uno dei “guru” della divulgazione enologica mondiale. La locuzione incriminata recitava pressappoco così: il vino è da annoverarsi fra le gioie “blande” della vita. Gioia “blanda” ?Detto così è un perfetto “ossimoro”. Da quando in qua una gioia è “blanda”? Una gioia è per sua definizione briosa,coinvolgente,esplosiva. Dalla bocca di  chi del vino ha fatto il suo lavoro una simile definizione risulta quasi blasfema. E denuncia la mancanza di vera passione. Quella che ti fa essere tutto e intero  in ogni istante  dedicato al suo oggetto. Ancora peggio è l’ignoranza. O meglio,chi fa dell’ignoranza la sua personalissima formula di poesia. Chi non vuol capire o che ritiene pleonastico il cercare di farlo rende il vino e tutto quello che ci gira intorno una questione grottesca. Il conoscere viene archiviato come sterile nozionismo;l’approfondire considerato una roba da maniaci e da “noiosi” parolai e perfezionisti. La verità è un’altra. Chi ama il vino non ritiene superfluo esplorare le pieghe enoiche di una regione (quantunque l’indimenticato e indimenticabile Mario Soldati  considerasse marchi d’infamia le “doc” e le “docg”! ),perché sa che dietro la scoperta di quei luoghi si dispiega tutto il mistero e la magìa del vino. E  conosce tutti i nomi, così come un professore di storia sa chi sono stati  tutti i Re di Roma e considera questo un punto di partenza. Che un appassionato di fotografia disquisisca sugli “obiettivi” di una macchina fotografica, di “otturatori”  e “tempi di esposizione”  non è strano, né disdicevole. Parimenti verrebbe naturale pensare che un degustatore di vini,professionista o meno,si  interessi di tecniche di vinificazione e colturali,di pratiche di cantina e di conservazione,senza ingenerare negli astanti stupore o tedio. La noia, il pressappochismo, una certa impazienza denunciano mancanza di passione e una certa inadeguatezza. Il vero enofilo ha nel vino un oggetto del desiderio sotto tutti i punti di vista.Negli anni ho individuato diverse categorie di bevitori. Provo a descriverle. La schiera più numerosa è quella dei collezionisti. Hanno  l’impulso irrefrenabile a conservare bottiglie e soprattutto istantanee dei loro momenti enoici ( con l’avvento di facebook poi si rasenta la malattia!). Come ragazzini  che attaccano figurine sui loro album, snocciolano il rosario di bevute fatte,presunte e di là da venire con l’intento di sembrare onnicomprensivi e onnipresenti. Raramente capiscono quel che fanno e bevono tutto per non bere niente,come accade in quelle Kermesse  vinicole dove si stappa l’impossibile e non si parla in fondo di nulla. Poi ci sono i “rigattieri” del gusto. La Necrofilia enologica  è la loro passione. Rossi senza più tracce di frutto,bianchi ossidati,champagne che hanno perso da tempo le bollicine sono le  loro specialità. Per questa categoria di palati il meglio deve sempre arrivare,i tannini devono sempre ammorbidirsi,la terziarizzazione ancora compiersi . Responsabili dello scempio di bottiglie perfette condotte allo stremo della loro resistenza organolettica,i necrofili del vino credono ai  miti trasmessi da una critica enologica che incensa se stessa e non c’è scienza che possa scuoterli dal loro torpore intellettuale. Per loro si parlerà ancora di brunelli centenari,di bordolesi del secolo scorso,di fantasmagoriche  bottiglie trovate in ogni dove(per mari,per laghi,in fondo a cavità di ogni genere,sepolte,murate…) e ancora miracolosamente performanti. Tanto chi può smentirli questi “Templari” del gusto? I “salutisti” sono i meno simpatici. Perché mettono le briglie al piacere,unico vero motore dell’esistenza. Sorseggiano il vino come una medicina e questo è francamente molto triste e scoraggiante. Da loro solo conteggi(un bicchiere al giorno,mezzo bicchiere a pasto…) e poche emozioni.
Dirò ogni bene invece degli edonisti e dei poeti. Sono loro fra i bevitori gli unici veri benefattori. Sanno regalare la gioia e il sogno,tutto quanto occorre per lenire le sofferenze dell’umano transito in questa valle di lacrime. E sarò indulgente con i tecnicisti di ogni sorta. Godono nello spaccare sempiternamente il capello della cultura enoica,prodigandosi meritoriamente. Fanno cultura. Poco male se spesso sfiancano un uditorio  non altrettanto motivato:il problema è di quest’ultimi,non loro.
Concludendo? Ognuno innalzi il calice a modo suo,con le sue modalità. Ma nessuno si sogni di pontificare su alcunchè: il vino ci ha preceduti e ci sopravviverà, è materia universale e infinita e sarà sempre e soprattutto dispensatore cosmico di oblio.
Rosario Tiso


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