La
definizione di “vino naturale” non è subordinata all’espressione di determinati
requisiti organolettici e non scaturisce solo dall’inutilizzo di prodotti
chimici . La questione è molto più ampia e complessa. Quel che si gioca
nell’adoperare il termine “naturale” è una partita culturale, filosofica e
spirituale che attiene all’interazione fra uomo e Natura. Quando l’uomo
abbandona la supponenza e l’arroganza della scientificità e la scienza si
spoglia della sua rigida armatura dogmatica e diventa ascolto, osservazione e
attesa, si sviluppa un’osmosi fra le tensioni naturali del creato e le
dinamiche esperienziali delle creature e la terra e i suoi frutti iniziano a
parlarci e a raccontarci storie. Anche quando si tratta semplicemente di fare
“vino”. Pertanto elemento fondante di qualsivoglia rinascimento enoico non può
che essere la figura del “vigneron”. Termine pressoché intraducibile ma che
amerei veder utilizzato nel senso di “contadino illuminato”, è il demiurgo che
plasma la materia vivente insufflandola del suo spirito, partecipando così
dello spirito del mondo. E la Natura risponde da par suo. Da viti ubertose, allevate
in vigneti profumati e colorati come giardini, si dipartono radici tortuose che
attraversano il terreno solcandolo strato per strato, fino a lambire la roccia
madre e a suggere i minerali più reconditi. Ne scaturiscono vini dalla
vibratile energia, umorali e dinamici fino ai prodromi della scompostezza, ma
succosi, golosi, stimolanti. Nell’ambiente colto e raffinato, come pure caldo e
informale, del ristorante-vineria “L’Isola” a Foggia, abbiamo incontrato uno
dei protagonisti di quest’eroica e antica rivoluzione: Raffaello Annichiarico.
Stiamo parlando dell’azienda vinicola “Podere Veneri Vecchio” di
Castelevenere,il comune più vitato d’Italia,in provincia di Benevento.
Raffaello, che di mestiere fa l'agronomo, è diventato produttore quasi per
contiguità e necessità interiore. Dopo aver comprato casa senza un vero
progetto ,ha cominciato a relazionarsi con le vigne vetuste d’intorno e presto
è scoppiata la scintilla:la voglia di farne scaturire vini “veri”.
Innanzitutto non ha modificato le tradizionali vigne miste, che erano
consuete in un’arcaica forma di viticoltura prudente e quali-quantitativa.
Tutti i suoi vini infatti, pur essendo dei blend, vengono da un unico vigneto.
Ma poi si è fatto irretire da una sfida: recuperare lo Sciascinoso. Da qui il
“Frammenti di Terra” ,uno dei vertici gustativi della sua produzione. Tutto
questo sotto l’egida del vero trionfatore e padrone della scena: il Tempo. Sì, Raffaello
ha fatto del “tempo” il vero protagonista di ogni sua azione. Ha scelto
infatti di “stare in attesa” accordandosi ai ritmi e al modus operandi della
Natura senza la propensione ad intervenire, aggiustare, correggere, coartare, sicuro
di ottenere risposte agli innumerevoli interrogativi
incontrati lungo il cammino…e non solo squisitamente agronomici…che si
allineassero al personale e primigenio sogno organolettico. Il vino è
diventato così percorso subliminale, strumento di crescita e d’avventura.
Accompagnati da valenti preparazioni gastronomiche realizzate dallo chef del
ristorante-vineria “L’Isola”, abbiamo assaggiato diversi vini del “Podere
Veneri Vecchio” .Per cominciare il “Tempo dopo Tempo” 2012 da uve” grieco”
( imparentate col trebbiano) e
cerreto(una sorta di Malvasia di Candia). E’ il vino che meglio racconta la
poetica di Raffaello. Fresco, tagliente ,immediato. Carico degli umori
macerativi dell’uva. Schietto come di gioventù baciato. Goloso e digeribile. Il
paradigma di quello che vuol produrre “Podere Veneri Vecchio”. In una
progressione proustiana si è passati al Bianco Tempo
2011(grieco/cerreto) che è risultato diverso dal primo campione, un
po’ più composto e maturo. Il “Rutilum” 2011 ha segnato l’accesso ai rossi.
Sangiovese e Barbera del Sannio(vitigno autoctono campano) per un blend
insolito e a tratti spigoloso. C’è nerbo selvaggio e la beva pullula di aritmie
gustative. Va atteso al centro della bocca per una placida ricomposizione.
Con il “Perdersi e Ritrovarsi” 2010,uvaggio di aglianico e piedirosso, si è
cambiato registro. Legni autoctoni e qualche rotondità rassicurante. Botto
finale con il dolce accompagnato dal “Rutilum” 2000. Non sapevamo cosa
attenderci. Nel bicchiere un’ambrosia densa eppure lieve,calda per quanto
austera,ci ha sorpresi. Il “Rutilum” è frutto evolutivo puro. Un tannino
sottile e presente ancora lo sostiene. E in quel di bocca appaga. Chapeau.
Rosario
Tiso
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