Con diversi
secoli di vita(il 1620 è il presumibile anno di fondazione) sempre condotti sui
crinali dell’eccellenza e dell’estrema qualità,osannato dai grandi del
pianeta(il cardinale Richelieu e il presidente americano Thomas Jefferson sono
stati tra i primi e più titolati appassionati del marchio),lo Chateau Lafite
Rothschild è considerato uno dei vini più buoni e famosi del mondo. Addirittura
nel novero dei primissimi per quotazioni ed esclusività. Un vero mito fra tanti
sedicenti tali. Il vero mito si nutre di una storia univoca ed elitaria. Tra i
prestigiosi possedimenti del Marchese Alexandre de Segur, nel 1868 l’allora
Chateau Lafite(dal guascone “la hite” che significa collinetta) divenne Chateau
Lafite-Rothschild col passaggio della proprietà alla famiglia dei celebri
banchieri. Il primo fu il Barone James de Rothschild . Dal 1974 è nelle mani di
Eric e della genìa dei Rothschild di quinta generazione. Una continuità rara ed
esemplare. Il terroir delle numerose
parcelle che circondano il castello è splendido. Oltre al clima favorevole
mitigato dalla contiguità con l’estuario della Gironda,un terreno calcareo e
ciottoloso,antiche piante allevate con cure maniacali,una selezione rigorosa
delle uve(tale che circa il 40% della
produzione finisce per rimpolpare la seconda etichetta Les
Carruades de Lafite,ovvero il pianoro di Lafite,o addirittura un generico
Pauillac)completano il quadro di una ricetta enologica mirante alla
perfezione,infallibile nella sua semplicità. Manco a dirlo i legni d’elevazione
sono prodotti da una tonnellerie interna e immagazzinati
nelle splendide cantine circolari progettate dall’architetto spagnolo Ricardo
Bofill. Le cronache di degustazione parlano quasi sempre di uno stile tutto
incentrato su una discrezione che predilige l’eleganza alla possanza,senza
rinunciare ad un notevole sostrato di estratti e ad un’esemplare profondità e
complessità. Prodotto con prevalenti uve cabernet sauvignon e variabili apporti
di merlot,cabernet franc e petit verdot a completare l’assemblaggio,il vino di
Lafite non vuole esprimere la potenza di un Latour o di un Mouton ma vuole
distinguersi per equilibrio e raffinatezza,di cui è stato sempre tradizionalmente e
congenitamente dotato. Un’esperienza organolettica indimenticabile nel carnet
emozionale del degustatore privilegiato che subisce la sorte benigna di goderne le infinite piacevolezze. Un lungo
preambolo serve talvolta ad introdurre un evento e una bevuta inconsapevolmente
da sempre attesa. Perché nel Dna dei
Bevitori d’Alta quota è marcato un imperativo a caratteri di fuoco:braccare
incessantemente l’immigliorabile vinicolo. Ed è così che mi ritrovo con l’amico
di tante “tenzoni” enoiche,Antonio Lioce,ad inseguire con lo sguardo tracce del
leggendario cru nel ristretto campo
visivo di una cartina geografica. Ma non è una carta qualsiasi. E’ una mappa
tecnica del comune di Pauillac che riporta i principali vigneti della zona. Ad
osservare silente le operazioni di ricerca,una bottiglia di Chateau
Lafite-Rothschild 2002 prossima allo stappo. Le vigne di proprietà sono a
ridosso del confine col comune di Saint-Estephe. Addirittura una piccola parte
dei terreni vitati è incuneata fra i cru
di Lafon-Rochet e Cos
Labory,rispettivamente un 4eme ed un
5eme cru classè di Saint-Estephe. Il
millesimo 2002 che abbiamo davanti è cerchiato nella guida Hachette Des Vins
2008 come exceptionel . Il campione è
stato conservato sin qui in un luogo deputato a farlo. Stavolta non abbiamo
sbagliato niente. Aleggia solo il sempiterno
dubbio : è opportuno consumarlo
adesso? Ma non importa:saprà parlare la lingua degli angeli, ne siamo certi. Nella
consueta cornice del wine-bar Cairoli,ripiegata la cartina e riposte le
guide,decidiamo di stappare subito la
bottiglia tanto attesa prima di
stabilire con quali bollicine principiare la beva. La scelta cade su di uno
champagne brut di Legras. Sarà che i sensi erano già tutti proiettati sul
campione bordolese,la bottiglia di Legras ci è sembrata senza infamia e senza
lode e ha svolto a malapena il compito di lubrificare le papille gustative.
Ormai la scena è della successiva beva. Versiamo lo Chateau Lafite-Rothschild
nei calici non senza un brivido d’emozione. Inarchiamo al limite l’attenzione.
Il vino sciabordante nel bevante mostra una livrea rubino carico che già
sorprende. Il colore è brillante e saturo,più di quanto facessero presagire le
cronache pregresse. Moderato il grado alcolico(12,5°). All’olfatto è
delicatamente femminile con aromi di fiori e frutti rossi e ricordi di lieve
speziatura. In bocca il tatto è morbido e rotondo. In fase retro-olfattiva la
persistenza è infinita.
Restiamo
totalmente soggiogati. Se fino ad oggi parole quali eleganza,raffinatezza e
armonia ci erano sembrate astratte e oscure,ora è tutto chiaro:eccole a
baloccare e coccolare i nostri sensi. Lo Chateau Lafite-Rothschild è l’essenza
di un première cru bordolese con tutta
la classe che ci si aspetta da un vino leggendario. Quel che giganteggia è infatti l’equilibrio,da
cui tutto discende. In questo bicchiere è supremo. Dov’è il graffiante tannino
così temuto in un campione reputato giovanissimo? Dov’è la spina acida
importante per la verve e la
longevità e così ostile al gusto? Tutto
scompare e si ricompone in unità. E il tocco del vino risulta soave e
felpato,supremamente integro,di inestricabile consistenza e complessità. Subito
abbandoniamo il gioco dei riconoscimenti analogici .Con un vino simile è un divertissement
pleonastico:siamo intenti a varcare i cancelli del paradiso. In balìa del
massimo piacere poco importa quali fiori o frutti,quali spezie o minerali
recano simili effluvi odorosi nel cono olfattivo e sprigionano tale ridda di
sapori sotto la volta palatale. Io non riconosco più nulla ma percepisco il
tutto. Che è quello che accade in prossimità dell’assoluto.
Rosario Tiso
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