C’è qualcosa
di assoluto che si agita in me e che
rende la percezione di tutto quanto di relativo e transeunte è intessuta la
quotidianeità una fatica e talvolta un peso insopportabile. La vista si fa
debole,le ossa dolenti, i muscoli stanchi. Tutto sembra suggerire la
sopravveniente impossibilità e l’inutilità del viaggio,quell’attraversare la
vita con lo sguardo non più,o solo a tratti, curioso e innocente del bambino
per poi tornare alla casa della propria poetica,sempre quella,impolverata e
ferma. Il destino,eterno divenire,contrasta col cuore dove non c’è
cambiamento;se il tempo scorre io non passo,fisso nell’ultima istantanea vitale
donatami dalla benigna prodigalità di un Dio forse troppo avaro di gioie per
essere veramente giusto o per farsi veramente amare. Salvo poi cancellare tutta
l’amarezza in un momento di inattesa
felicità,prontamente registrato dallo spirito inaridito come acqua
vivificatrice e narrato nell’ennesima diversa declinazione dal mio “essere”, sempiternamente
burattinaio di parole. Il viandante
cerca l’amore o se ne sottrae,l’errante non sa cosa cercare,il pellegrino
ripercorre sentieri già battuti. Cosa sono io nel momento presente a Foggia? Un
gaudente in cerca di oblio. L’intento è rimasto prodigiosamente antico e puro.
Qui la natura è veramente e sostanzialmente incontaminata. In luoghi silenziosi
e isolati dell’anima il pensiero vira
verso esistenze selvagge e
raminghe,anche di umani in fuga dal mondo. E in questa regione interiore,meravigliosa e
arcana,incredibilmente c’è sempre una finestra
aperta sul mondo. Con amici e “Bevitori d’Alta quota” ,con i viventi adoratori
di Ercole Bibace,ci dirigiamo verso il luogo convenuto, il wine-bar Cairoli a
Foggia, in preda alle ultime impressioni
della recente calura estiva. Ma la pietra conserva il riverbero degli inverni freddi,lenti
e silenti e sembra rilasciarne gli umori in quella tenue frescura che ci
abbraccia. Il silenzio e la lentezza fanno parte della bellezza della vita. Nel suo diadema più prezioso è
incastonata una gemma:la solidarietà
umana,la condivisione. Simili pensieri sono come lampi che attraversano la mente
mentre varchiamo l’ingresso del locale che ospiterà il simposio. Siamo una
squadra: Christian Bucci, cantore di Les Caves de Pyrene,il sottoscritto e
i consueti sodali di bevute. Quando
Christian si muove reca con sé puntualmente fantastiche batterie di perle
enologiche. Anche stasera sono pressochè innumerabili ma proverò a tracciare
l’impronta del passaggio delle più memorabili. Come antefatto si procede allo
stappo,o per meglio dire alla sboccatura,di una falanghina spumantizzata col
metodo classico in un luogo remoto e silvano. Lo “champagne” si chiama “Breccioloso”;il luogo è il Bosco di
S.Cristoforo,sul limitare della provincia di Foggia che occhieggia al Molise. E’
praticamente un esordiente e non è di Les Caves. Lo si trova coralmente
intrigante:bella sapidità,bella acidità,per nulla banale. Vale la pena perciò
spendere due parole. L’azienda produttrice si chiama “Agricola Biologica
Belvedere” ed è una creatura di Giuseppe di Iorio, assicuratore prestato
all’agricoltura dalla sua immensa passione per il vino, come la “Locanda Bosco
San Cristoforo” che la ospita. Tre i vini prodotti: il ROSSO MALVONE ,aglianico
in purezza ottenuto senza diraspare,il FRACCATO,rosato da uvaggio in vigna di uve bianche e rosse come vuole la
tradizione e impreziosito da un’arcaica pigiatura con i piedi e infine il
BRECCIOLOSO ,falanghina spumantizzata secondo i dettami del metodo classico ma
senza sboccatura. Proprio l’esigenza di liberarsi delle fecce suggerisce una
procedura artigianale di degorgement : ad uno strato di cubetti
di ghiaccio di qualche centimetro posto in un contenitore qualsiasi si aggiunge
del sale grosso che funge da moltiplicatore dell’azione di raffreddamento del
ghiaccio. La bottiglia si inserisce “di collo” nel ghiaccio e dopo mezz’ora di freezer ecco palesarsi un cilindretto di
ghiaccio sotto il tappo a corona privo di bidule.
L’apertura della bottiglia e la spinta dell’anidride carbonica liberano il
cilindretto che imprigiona i lieviti morti e restituiscono un prodotto limpido
e pronto alla beva. Dopo il “Breccioloso” parte il festival di “Les Caves de Pyrene”. L’abbrivio è affidato
alla bollicina franciacortina di Arcari e Danesi :il Saten 2008. Abituati a prodotti suadenti e addomesticati in questa
tipologia restiamo basiti:che verve,
che dinamismo,che succulenta verticalità. L’adesione all’utopia trinitaria
dell’uomo che sotto questo cielo dialoga con la terra senza infingimenti ha
pagato. A seguire numerosi rossi rimpolpano la beva. Voglio citarne solo uno,il
più grande:il Valferana 2004 di Nervi. Siamo a Gattinara,enclave enologica di primaria importanza e ai più sconosciuta. Il
produttore è di quelli che hanno fatto la storia della denominazione. La
bottiglia, “vestita” di nero con un grosso punto interrogativo,ha scatenato una
ridda di ipotesi. Sembrava a tutti un pinot nero borgognone. Poi un “aiutino”
di Christian ci ha fatto realizzare che si trattava di un campione italico. Qualcuno
ha ipotizzato che fosse un nettare delle Langhe. Invece ecco venir fuori,in un
vagheggiamento collettivo,lo splendido ventaglio dei nebbioli di Piemonte:Gattinara,Ghemme,Boca. In
quella ancor più nordica landa per il vitigno si adotta una diversa
nomenclatura,l’uva “spanna”,per rimarcare un’identità radicata nel territorio e
nell’idioma locale ed un lignaggio che non deve mutuare nulla da nessuno e da qualsivoglia
dove. Non mi soffermo sui “baroli” di
Cavallotto e sulla restante genìa di campioni presenti e passo al vino dolce
della serata:”Le Champ Boucault” di Mosse. Quando la morbidezza incontra
l’acidità,quando nelle pieghe di un
sontuoso drappeggio glicerico si annida una sapida mineralità,il piacere
assurge a vette elevate e inusitate. Da veri “Bevitori d’Alta quota”. Con
Christian,in ore notturne sempre più fonde,ci salutiamo beati:ancora una volta
è stato ambasciatore di qualità e
dispensatore di piacevolezze. Non possiamo che ringraziare e sperare di
rivederci ancora.
Rosario Tiso
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