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mercoledì 4 febbraio 2015

Christian Bucci a Foggia



C’è qualcosa di assoluto che si agita in me  e che rende la percezione di tutto quanto di relativo e transeunte è intessuta la quotidianeità una fatica e talvolta un peso insopportabile. La vista si fa debole,le ossa dolenti, i muscoli stanchi. Tutto sembra suggerire la sopravveniente impossibilità e l’inutilità del viaggio,quell’attraversare la vita con lo sguardo non più,o solo a tratti, curioso e innocente del bambino per poi tornare alla casa della propria poetica,sempre quella,impolverata e ferma. Il destino,eterno divenire,contrasta col cuore dove non c’è cambiamento;se il tempo scorre io non passo,fisso nell’ultima istantanea vitale donatami dalla benigna prodigalità di un Dio forse troppo avaro di gioie per essere veramente giusto o per farsi veramente amare. Salvo poi cancellare tutta l’amarezza  in un momento di inattesa felicità,prontamente registrato dallo spirito inaridito come acqua vivificatrice e narrato nell’ennesima diversa declinazione dal mio “essere”, sempiternamente burattinaio di  parole. Il viandante cerca l’amore o se ne sottrae,l’errante non sa cosa cercare,il pellegrino ripercorre sentieri già battuti. Cosa sono io nel momento presente a Foggia? Un gaudente in cerca di oblio. L’intento è rimasto prodigiosamente antico e puro. Qui la natura è veramente e sostanzialmente incontaminata. In luoghi silenziosi e isolati dell’anima il pensiero vira  verso  esistenze selvagge e raminghe,anche di umani in fuga dal mondo.  E in questa regione interiore,meravigliosa e arcana,incredibilmente c’è sempre una  finestra aperta sul mondo. Con amici e “Bevitori d’Alta quota” ,con i viventi adoratori di Ercole Bibace,ci dirigiamo verso il luogo convenuto, il wine-bar Cairoli a Foggia,  in preda alle ultime impressioni della recente calura estiva. Ma la pietra conserva il riverbero degli inverni freddi,lenti e silenti e sembra rilasciarne gli umori in quella tenue frescura che ci abbraccia. Il silenzio e la lentezza fanno parte della bellezza  della vita. Nel suo diadema più prezioso è incastonata  una gemma:la solidarietà umana,la condivisione. Simili pensieri sono come lampi che attraversano la mente mentre varchiamo l’ingresso del locale che ospiterà il simposio. Siamo una squadra: Christian Bucci, cantore di Les Caves de Pyrene,il sottoscritto e i  consueti sodali di bevute. Quando Christian si muove reca con sé puntualmente fantastiche batterie di perle enologiche. Anche stasera sono pressochè innumerabili ma proverò a tracciare l’impronta del passaggio delle più memorabili. Come antefatto si procede allo stappo,o per meglio dire alla sboccatura,di una falanghina spumantizzata col metodo classico in un luogo remoto e silvano. Lo “champagne” si chiama “Breccioloso”;il luogo è il Bosco di S.Cristoforo,sul limitare della provincia di Foggia che occhieggia al Molise. E’ praticamente un esordiente e non è di Les Caves. Lo si trova coralmente intrigante:bella sapidità,bella acidità,per nulla banale. Vale la pena perciò spendere due parole. L’azienda produttrice si chiama “Agricola Biologica Belvedere” ed è una creatura di Giuseppe di Iorio, assicuratore prestato all’agricoltura dalla sua immensa passione per il vino, come la “Locanda Bosco San Cristoforo” che la ospita. Tre i vini prodotti: il ROSSO MALVONE ,aglianico in purezza ottenuto senza diraspare,il FRACCATO,rosato da uvaggio in vigna di uve bianche e rosse come vuole la tradizione e impreziosito da un’arcaica pigiatura con i piedi e infine il BRECCIOLOSO ,falanghina spumantizzata secondo i dettami del metodo classico ma senza sboccatura. Proprio l’esigenza di liberarsi delle fecce suggerisce una procedura artigianale di  degorgement : ad uno strato di cubetti di ghiaccio di qualche centimetro posto in un contenitore qualsiasi si aggiunge del sale grosso che funge da moltiplicatore dell’azione di raffreddamento del ghiaccio. La bottiglia si inserisce “di collo” nel ghiaccio e dopo mezz’ora di freezer ecco palesarsi un cilindretto di ghiaccio sotto il tappo a corona privo di bidule. L’apertura della bottiglia e la spinta dell’anidride carbonica liberano il cilindretto che imprigiona i lieviti morti e restituiscono un prodotto limpido e pronto alla beva. Dopo il “Breccioloso” parte il festival di  “Les Caves de Pyrene”. L’abbrivio è affidato alla bollicina franciacortina di Arcari e Danesi :il Saten 2008. Abituati a prodotti suadenti e addomesticati in questa tipologia restiamo basiti:che verve, che dinamismo,che succulenta verticalità. L’adesione all’utopia trinitaria dell’uomo che sotto questo cielo dialoga con la terra senza infingimenti ha pagato. A seguire numerosi rossi rimpolpano la beva. Voglio citarne solo uno,il più grande:il Valferana 2004 di Nervi. Siamo a Gattinara,enclave enologica di primaria importanza e ai più sconosciuta. Il produttore è di quelli che hanno fatto la storia della denominazione. La bottiglia, “vestita” di nero con un grosso punto interrogativo,ha scatenato una ridda di ipotesi. Sembrava a tutti un pinot nero borgognone. Poi un “aiutino” di Christian ci ha fatto realizzare che si trattava di un campione italico. Qualcuno ha ipotizzato che fosse un nettare delle Langhe. Invece ecco venir fuori,in un vagheggiamento collettivo,lo splendido ventaglio dei  nebbioli di Piemonte:Gattinara,Ghemme,Boca. In quella ancor più nordica landa per il vitigno si adotta una diversa nomenclatura,l’uva “spanna”,per rimarcare un’identità radicata nel territorio e nell’idioma locale ed un lignaggio che non deve mutuare nulla da nessuno e da qualsivoglia dove. Non mi soffermo sui “baroli”  di Cavallotto e sulla restante genìa di campioni presenti e passo al vino dolce della serata:”Le Champ Boucault” di Mosse. Quando la morbidezza incontra l’acidità,quando nelle pieghe di un  sontuoso drappeggio glicerico si annida una sapida mineralità,il piacere assurge a vette elevate e inusitate. Da veri “Bevitori d’Alta quota”. Con Christian,in ore notturne sempre più fonde,ci salutiamo beati:ancora una volta è stato ambasciatore di qualità e  dispensatore di piacevolezze. Non possiamo che ringraziare e sperare di rivederci ancora.
Rosario Tiso


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