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giovedì 26 febbraio 2015

Chateau Cheval Blanc



"Chateau Cheval Blanc” è il nome più celebre di Saint-Emilion ed è unico per tanti aspetti. Appartiene alla famiglia Fourcaud-Laussac dal 1832,una continuità che costituisce un punto di forza".Così recitava la "Guida ai vini del mondo 1995/96" di Slow-Food. Adesso non è più così.
L'ultima a cadere è stata proprio la star di St.Emilion. Per 250 miliardi delle vecchie lire,qualche anno addietro, Chateau Cheval Blanc è passato nelle mani della coppia Albert Frere(finanziere,proprietario di celebri ristoranti) e Bernard Arnault(del gruppo LVHM, Louis Vuitton,Hennessy,Moet-et-Chandon).Le vecchie famiglie che possedevano le cantine più prestigiose cedono il passo a frotte di potenti dalle più svariate origini. Pur muovendosi in maniera rispettosa del blasone e dell'impianto tecnico e organizzativo ereditato(non cambiano, di solito, gli "chef de cave"),i nuovi padroni sapranno proteggere le loro creature dal virus che li ha indotti ad appropriarsene, la ricerca spasmodica del business?Loro stessi,col loro impianto culturale e filosofico,costituiscono un potenziale nemico di un mondo di fragilissime eccellenze,dove il proprietario recava in sè l'anima del vino che produceva.
Lo Cheval Blanc è sempre stato nei miei pensieri. Interprete di una coscienza collettiva che tutt'ora lo predilige(basti pensare a film-cult come Sideways o Ratatouille. Nel primo è la bottiglia da stappare in un'occasione importante per il protagonista;nel secondo è il vino scelto dal temutissimo critico gastronomico! ),l'ho provato per la prima volta nel giugno del 2003 all'Ars Bibendi, locale-meteora della stazione Termini a Roma.In quella circostanza avevo deciso di investire 20 euro per assaggiare 2 o 3 vini di pregio. Finii per seguire il cuore e godermi due dita di Chateau Cheval Blanc 1996 spendendo l'intera cifra!Poi, nulla più.
Il costo proibitivo dell'oggetto del desiderio mi ha sempre tenuto a distanza da ogni velleità. Fino all'avvento della "Setta dei bevitori estinti".Fino alla possibilità di condividerne i costi. E,con gli amici di bevute,abbiamo varato l'operazione "Cheval":uno Chateau Cheval Blanc 2004 affiancato dallo Cheval des Andes 2002. Il celebre vino argentino,creatura fortemente voluta da Pierre Lurton, lo storico chef de cave di Chateau Cheval Blanc, in collaborazione con Terrazas de los Andes,m'era del tutto sconosciuto fino a quando non incappai in un'intervista rilasciata da Giorgio Pinchiorri. Alla domanda sui vini che gli avevano procurato più emozione non ebbe tentennamenti:lo Cheval des Andes era nel lotto dei preferiti.
Da allora è partita la caccia che è fatalmente confluita in quella storica,sulle tracce del vino della casa-madre.
Quando il cerchio si è finalmente chiuso ed abbiamo avuto la disponibilità di entrambi i campioni, è iniziata la fase d'attesa. Perchè procurarsi le bottiglie desiderate è solo una parte dell'impresa:scegliere il momento opportuno per berle è altrettanto fondamentale.
Siamo giunti così ai nostri giorni.
Al wine bar Cairoli e a pranzo.
Attorno al tavolo, la "Setta".
Senza troppi convenevoli abbiamo stappato entrambe le bottiglie e bevuto prima il nettare andino per concedere al più famoso bordolese maggiori spazi d'espressione e tempi d'ossigenazione. Forse anche per un inconscio timore reverenziale.
Lo Cheval des Andes è stato splendido. Il Malbec in esso contenuto dà l'esatta cifra dell'esuberanza della viticoltura del nuovo mondo. La fittezza della trama e l'opulenza dei profumi tradiscono un terreno ed un clima di provenienza ideali per la coltivazione della vite.Un esemplare enoico pressochè senza difetti.
Che ne sarà dello Cheval Blanc? Nel confronto, l'allievo supererà il maestro?Con trepidazione ci accostiamo al bicchiere bordolese. Sembra di giocare a nascondino.
Profumi e sensazioni quasi sospese, in attesa di dipanarsi in direzioni ancora tutte da definire. Ma l'impasse è durato solo pochi istanti.
Con un incedere maestoso il cabernet,l'anima dell'uvaggio girondino,ha dispiegato i suoi effluvi:potenza,complessità,voluttà,finezza. Quattro mosse per un imperioso scacco matto al campione argentino e alle nostre perplessità. Fino all'ultima goccia grondante il bicchiere ormai vuoto,lo Cheval Blanc ci ha parlato e ha dissipato i nostri dubbi sulle sorti del mito.
Anche in mani certamente meno amorevoli sembra essere assicurata l'assoluta qualità. Che è poi quel che più ci interessa. Da certi vini, sempre e ovunque, non si chiede niente di meno che l'emozione assoluta.

Rosario Tiso





                                 





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