Credo che
dovrei cominciare a parlare,ora che inizio a vederci chiaro. Ho 53 anni,ed è come se non sapessi nulla di vino.
Ricapitolando:sono un sommelier,ho una trentennale esperienza di bevute,ho
studiato,confrontato,analizzato,detto. Ho voluto,con saperi ambigui,dimostrare
false tesi. E ho verseggiato,tanto,usando strumentalmente il vino. Ma con le
esternazioni tecnico-poetiche si fa ben poca strada se si ha l’urgenza e
l’inciampo di dispensarle troppo presto. Bisognerebbe aspettare e raccogliere
dati,sensi,intuizioni,umori per tutta una vita,possibilmente lunga,per poi
proferire parole che fossero di una qualche validità. Poiché le parole
discendono dai sentimenti e dal vissuto. Per una sola giusta intuizione si devono bere molti vini,conoscere vitigni e
uve,sapere di uomini e delle azioni con
cui provvedono all’allevamento della vite e alla vinificazione dei suoi frutti.
Si deve poter ripensare a sentieri e capezzagne percorse in regioni
sconosciute,a incontri inaspettati,a magiche congiunture astrali,a quando ci
porgevano una verità e non la capivamo,a quando la capivamo e stentavamo a
ritrovarla. A giorni e giorni passati in camere silenziose con un bicchiere in
mano davanti ad un’etichetta. E non basterebbe. Si deve aver bevuto tanti
pessimi vini da averne introiettato l’allure. E anche aver ricordi non basta.
Si deve poterli dimenticare ed avere la
pazienza di attenderne il ritorno. Poiché i ricordi di per se stessi ancora non
“sono”. Solo quando si fanno sangue,sguardo e gesto inconsapevole,entità non
più scindibili da noi,possono alimentare il verbo che conta. Si sa,a volte la
Natura distoglie l’attenzione degli uomini dalle cose essenziali,dai suoi
segreti più profondi. Elabora dei paraventi dietro cui si agitano i moventi
fondamentali. Ogni tanto ci si accorge di cavità misteriose e misconosciute che
rimbombano sotto la superficie delle cose. E’ possibile che tanto di reale e di
importante non sia stato ancora svelato? E’ possibile che secoli di menti
operanti a guardare,riflettere,annotare,non abbiano prodotto un racconto
esaustivo? Si,è possibile. Poiché la materia vino è infinita ed è refrattaria
ad una rigida operazione di codifica. E a nulla è valso ricoprirla con un
tessuto incredibilmente noioso e volto a fabbricare una dogmatica di
riferimento. L’intera storia vinicola universale è piena di giganteschi
fraintendimenti. Ci si ostina a snocciolare categorie e a dire che certi vini
sono naturali e altri convenzionali,alcuni meritano di invecchiare e altri son
da bere prontamente,tanti sono facili e pochi quelli austeri fino a definirli
fruttati o complicati,senza il sospetto che da lungo tempo queste parole non
hanno più alcun plurale,ma solo innumerevoli singolari. Basta con gli
steccati,le schematizzazioni fisiche e intellettuali:andiamo incontro al
nettare di turno con empatia ed esso ci parlerà la sua lingua unica ed
irripetibile.
Da “Bacco e
Perbacco” a Lucera vanno in scena i vini in “anfora” di Cirelli. Nella tradizione caucasica,per
trasmettere appieno il loro afflato materico, i vasi vinari devono essere
interrati. Ma infinite sono le declinazioni del gusto,del sapere e dell’umano
sentire. Francesco Cirelli ha voluto in Abruzzo,nella sua individualità,nel suo
insindacabile estro,nella sua libera professione di fede,provare una versione
atipica e personale dell’uso della creta. Starà al bicchiere emettere l’ardua
sentenza. Ma vediamo di cosa consta la
variante “Cirelli”. Innanzitutto va detto che la vigna è di soli 2,5 h.
e vi sono allevate le varietà tipiche dell’enologia abruzzese:Trebbiano e
Montepulciano. Normalmente e fino a prima del 2011 il vino veniva affinato solo
ed esclusivamente in acciaio e cemento per esaltare le peculiarità dei vitigni
senza sovrastrutture organolettiche di sorta. A tale scopo anche la conduzione
agronomica era ed è finalizzata al
rispetto dei cicli naturali per ottenere quella freschezza e franchezza di beva
che solo un frutto intonso e puro possono assicurare. Nell’alveo di questa
visione del mondo si è inserita ad un certo punto l’avventura delle “anfore”.
Per la prima volta si è voluto dare importanza ad una tecnica di cantina che
richiamasse metodi ancestrali. Quella di Cirelli è
l’unica cantina abruzzese a
fermentare il vino in anfore di terracotta . La capienza è di 800 litri. Ed è a
questo punto che si palesa
l’originalità,la diversità,la voce fuori dal coro dei maceratori di Cirelli. I suoi vasi
vinari,prodotti ad Impruneta in Toscana,non vengono né interrati né coibentati.
Nessuna cera d’api dunque,nessuno scavo ma solo una cantina fresca e
accogliente e il contatto diretto della creta con il frutto-uva. I suoi vini in
anfora risultano perciò miracolosamente scevri
da qualsiasi imbrunimento e ossidazione
e con una tannicità contenuta. La scelta di non prolungare il contatto della
parte liquida del mosto con le bucce oltre le tre settimane per il rosso e il
cerasuolo e per soli quatto giorni per il bianco,l’assenza di qualsivoglia
intento interventista durante la fermentazione e il rapporto macerativo a parte
qualche canonico rimontaggio e l’encomiabile
pulizia esecutiva sciorinata in ogni fase della vinificazione ci
consegnano dei vini di grande leggerezza,sapidità e digeribilità .Rispetto alle versioni
normali hanno il plusvalore di un maggior portato in complessità,fascino,eleganza.
Ma nulla,nessuna nota che possa far rimpiangerne la fruttuosità del frutto
primigenio. La versione in anfora rispetto a quella normale ha dunque una
marcia in più in tutti e tre i casi,anche se il Montepulciano in acciaio ci è sembrato
più pronto considerando che la versione “Anfora” ha trovato la vitrea
prigione da un paio di settimane appena.
Breve descrizione dei tre campioni che hanno visto la creta.
Trebbiano:molto fitto e pulito;per niente evoluto questo vino
ricco e potente. La freschezza è ancora viva e presente e il tono fruttato non
potrà che evolvere verso esotici lidi,obliando
progressivamente lo splendore degli esordi. Agrumato,minerale e persistente.
Cerasuolo :non si finirebbe mai di goderlo in profumo e sapore questo
rosato. Non ci concediamo una sosta:è certamente il campione più esile e
beverino di tutti. Ciliega sugli scudi.
Montepulciano:Il suo portato in estratti è crema di grande fittezza. Questa
varietà in passato incontrata e ammirata a livelli di estrema concentrazione
rivela in questo campione un olfatto balsamico e speziato di grande equilibrio.
Una conca di frutti rossi in confettura.
Calore,polpa,morbidezza,sapore:non manca nulla per adagiarvisi sensorialmente. Ma
tutto è “in nuce”. La beva sarà più succulenta
e procederà lesta fra qualche tempo.
Oltre al vino,l’azienda si dedica all'allevamento delle oche che
svolgono la funzione di spazzine in tutto il vigneto aziendale,crescendo nella
massima libertà e muovendosi a loro
piacimento per tutto il pascolo aziendale. Durante l'anno vengono
periodicamente portate a razzolare in Vigna e nell'uliveto con lo scopo di
tenere “pulite” queste aree grazie alla loro azione di “diserbo” naturale.
Concludendo: Francesco Cirelli ha
ancora una volta dimostrato come
l’arte,in questo caso vinificatoria, sia consustanziale alla Natura.
Rosario Tiso
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