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domenica 18 gennaio 2015

Bollicine d'Alta quota



Bere champagne, specie se dello champagne si mira alle sue massime espressioni qualitative, è come ipotecare  un’emozione. Da sempre compendio dell’arte della seduzione enoica, le “cuvée de prestige” costituiscono il vertice di piacevolezza della tipologia ed un approdo naturale per chi vuole bere solo il meglio in fatto di bollicine. Anche questa volta il consueto vagabondaggio d’Alta quota ci ha condotti , in solido col “degustatore indipendente” Antonio Lioce,  al cospetto di un autentico  “parterre de roi” : “Annamaria Clementi”  2005 di Cà del Bosco, “La Grande Dame” 2004  della maison  Veuve Cliquot Ponsardin e  “Les Crayeres” 2008 di Marguet. Il  pensiero non può che tributare  un doveroso omaggio alla madre di Maurizio Zanella scomparsa da pochi mesi. L’Annamaria Clementi, destinata ad aprire le danze, è uno dei pochi spumanti italiani in grado di non sfigurare di fronte ai prodotti d’oltralpe. Nato per stupire, da sempre nettare di grande spessore, è un blend di chardonnay al 50% ed un saldo di pinot bianco e pinot nero, le uve tipiche della Franciacorta.  Nella versione 2005 presenta un didattico colore giallo paglierino, carico fino ai prodromi dell’intenso. Il profumo è sia conciato che floreale e fruttato, come si addice ad un millesimo di recente sboccatura che ha sostato a lungo sui lieviti, ed è tutto innervato di crema pasticciera . Il gusto  sciorina  acidità, sapidità, mineralità. Ottimo incipit; beva fluente. Anche se va doverosamente  osservata una punta di grossolanità dell’insieme ed una leggera e non del tutto gradevole deriva amarognola. Poi si va ad Ambonnay, nel cuore della Champagne. “Les Crayeres” deriva da 1,8 ettari del vigneto grand cru omonimo. Le piante, chardonnay al 70 % e Pinot noir al 30%, hanno una vita media di 40 anni. La particolarità sta soprattutto nel terreno ricco di calcare( les crayeres). Benoit Marguet ha guidato l'azienda verso l'agricoltura biologica ed ha trovato il “Santo Graal”. Alla beva, elegante florealità al naso con lieviti e note biscottate in evidenza. In bocca è fresco, secco e  agrumato. Richiami alla torta di mele. Trama  del tutto armonica. Qui vanno decisamente stigmatizzati  il velluto del tocco, la seta calda e avvolgente del sorso, l’eleganza della progressione gustativa.  Infine “La Grande Dame” 2004. Tutto inizia quando Philippe Clicquot, uomo d’affari e proprietario terriero, nel 1772 fonda “un négoce de vin à l’enseigne Clicquot”, una piccola realtà che ha l’ambizione di espandersi oltreconfine. Con la nuora del fondatore, Barbe Nicole Ponsardin, , il sogno si realizza. Solo ventisettenne le muore il marito e da allora  la “Veuve Cliquot”  diventa una delle prime grandi imprenditrici della storia dello champagne. Il primo Champagne millesimato, quello del 1810 e  il perfezionamento del “remuage”, sono i più grandi raggiungimenti tecnici della maison sotto la sua guida. Da sempre lo champagne che porta il suo nome , “La Grande Dame”,  è prodotta solo da alcuni specifici vigneti di proprietà siti ad Ambonnay, Aÿ, Bouzy, Verzy e Verzenay per il Pinot Noir e ad Avize, Le-Mesnil e Oger per lo Chardonnay. Gran parte di questi vigneti furono  acquisizioni dalla stessa M.me Clicquot. La Grande Dame fu lanciata nel 1972 con l’annata 1962 per celebrare il bicentenario della maison. Il Pinot noir è sempre maggioritario nell’assemblaggio (circa 2/3)  e la restante parte è Chardonnay. Il millesimo 2004 ha un approccio olfattivo sufficiente, tra lieviti, mineralità  e fruttato agrumato. La materia sciabordante nel bevante pare densa, concentrata. In  bocca si ritrovano intensità e freschezza, frutto e acidità perfettamente integrati. La “verve”  è assicurata dalla spina acida sempre presente. Ma forse le aspettative erano talmente elevate da lasciarci un po’ indifferenti. Da troppo tempo le   cuvée de prestige”  si limitano a svolgere il compitino di una corretta esecuzione enologica e i valentissimi “chef du cave” preposti alla loro realizzazione sono più preoccupati di perpetuare lo stile della “maison” che di far trapelare l’emozione insita nell’atto creativo che si congiunge con  la Natura da cui è emerso. Emozione, vedi Marguet, che alligna felicemente altrove.
Rosario Tiso

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