Un grande vino è capace di unire spessore, intensità ,
franchezza degli aromi, a una piacevolezza di beva. Con il
mastodontico estratto spesso si sballa, si sfocia nello stucchevole e nel
grottesco. Con la spiccata acidità può accadere che la beva è sì golosa, ma
monocorde. Molto peggio accade col tannino. A volte i naturali fluidi salivari rimangono intrappolati nelle spire
delle idrovore polifenoliche e tanniche e
in quei casi non c’è stimolazione che possa far fluire il nettare. Ogni
piacevolezza si ammutolisce. Ma quando da una base corale e polifonica una
componente del delicato e complesso insieme di addendi che danno vita al vino
svetta al punto da dipingere l’insieme del suo colore , seguita poi da altre
note che fanno altrettanto, una più
alta piacevolezza si dispiega. E’ quello
che mi è capitato fragorosamente,clamorosamente , in questo fine settimana ai
suoi vini dedicato, con i nettari di Jean Francois Ganevat
da Rotalier, Jura. Quella denominata “Côtes du Jura” è una
regione della Francia tra la Borgogna e
la Svizzera che per me fino a ieri era
il paradiso del “Vin
Jaune”. Questo vino è
caratterizzato da un invecchiamento che
ne determina l'evaporazione. Si forma così una sacca d'aria nel vaso vinario che
favorisce l’ossidazione, a causa soprattutto della formazione di uno strato di
lievito simile al “flor” che produce lo Sherry. Ma il clima della “Côtes du Jura” è quello della Borgogna, un po
'più freddo. Sin dal Medioevo uve Chardonnay e Pinot Nero sono state portate
nella zona e hanno trovato un habitat ideale. In questo ambiente va
contestualizzato l’operato di Ganevat.
Jean Francois ha operato nell’azienda vinicola di famiglia dal 1982 fino al
1989 , quando , in cerca di nuove esperienze , è andato a lavorare in Borgogna presso il Domaine di
Jean-Marc Morey. Vi ha lavorato per 9
anni ed ha avuto modo di imparare un nuovo approccio al vino e al terroir. In
quegli anni incontrò ed assaggiò per la prima volta i vini di Philippe Pacalet
, Dominique Derain e Prieure Roch. Le sue papille gustative e la sua mente
erano pronte alla sfida: tornare a casa e provare a fare dello Jura un compendio
del suo sogno enoico. Una volta alla guida, una “rivoluzione” ha stravolto l’azienda paterna a partire da
una parcellizzazione maniacale delle vigne . Qui i dati si fanno controversi.
Se la superficie vitata “utile” ammonterebbe a circa 8 ettari, quante sono le
etichette prodotte ? Incredibile a dirsi, non meno di 20, con punte di oltre
trenta . Si, perché Jean Francois intende leggere il suo territorio palmo a
palmo e trarne tutte le melodie organolettiche possibili. Il risultato? Una
fantastica carrellata di vini, uno più buono, succoso, intrigante dell’altro. Ma
veniamo a ciò che li accomuna. A quanto pare il “nostro” coltiva in regime agronomico biodinamico dal 1999, le rese sono esiziali, e
dal 2006 ha completamente eliminato l’uso di solforosa, eccetto piccole
quantità per le “cuvèe” di chardonnay “Florine”
e “Grusse en Billat”.
Anche i suoi mosti sono fermentati spontaneamente in tini troncoconici da 500 litri rigorosamente non nuovi (eccezion fatta per le barrique da 228 litri, di cui il 20% nuove, riservate al pinot nero). Il vino non è filtrato né chiarificato. Ma il vero “must” sono le micro-vinificazioni, quelle che ti fanno pensare che spesso è difficile distinguere la sottile linea che divide genio da pazzia. Jean-François Ganevat è uno dei più grandi “terroirista” del mondo se da una manciata di ettari vitati produce quasi trenta cuvée arrivando a vinificare anche 60 litri di prodotto!! Ma quel che più strabilia è la convivenza di ricchezza, acidità e sapidità. Spesso nei vini c’è molto dell’una e poco delle altre. O viceversa. Con Ganevat, sfiorando l’estremo e ricorrendo al manto di una leggera, vibratile e pregevolissima ossidazione, si centra un supremo equilibrio, a registri inusitati e aulici. Cos’è stato, venendo alla beva, il Savagnin “Les Chalasses Marnes Bleues” del 2011? Scopro, leggendo qua e là, che persino Robert Parker ne è rimasto ammaliato. Questo dimostra che l’eccellenza mette le ali ai sensi e ti fa scordare gusti,particolarismi, amenità intellettualistiche. La scossa emozionale di questo Savagnin è indimenticabile. Impossibile enumerare i rimandi analogici al mondo dei fiori, dei frutti, dei vegetali, delle spezie. Raro trovare vini così misuratamente piccanti, fumosi, sapidi, minerali. Com’è stata poi la coppia di Pinot Noir “Cuvèe Julien” 2011-2012 ? Inebriante!! Gli intensi profumi che richiamano i frutti rossi sembravano galleggiare su di un substrato magmatico di sottobosco, con svolazzi aromatici di macchia mediterranea, toni affumicati, persino pietra focaia, persino torba. Afrori sensuali che, per certi versi e pur nella diversità, hanno richiamato alla memoria un vino di andate emozioni: il “Point d’Interrogation” di Castelmaure . Anche qui sud della Francia; anche qui ancestrali armonie. Animale, vegetale e minerale si rincorrono e in bocca, dopo l’opulento bacio del frutto, la persistenza è sorretta dall’acidità con note di cuoio, caffè e “millanta altre”, come direbbe Veronelli. Fra i due, difficile preferire un millesimo. Prevedo per Ganevat un futuro ancora più radioso. Poche le personalità, nel mondo del vino, di tale fatta, di tale statura. Tutto sta ad incontrare i suoi vini : poi, non si finirebbe mai di desiderarli.
Anche i suoi mosti sono fermentati spontaneamente in tini troncoconici da 500 litri rigorosamente non nuovi (eccezion fatta per le barrique da 228 litri, di cui il 20% nuove, riservate al pinot nero). Il vino non è filtrato né chiarificato. Ma il vero “must” sono le micro-vinificazioni, quelle che ti fanno pensare che spesso è difficile distinguere la sottile linea che divide genio da pazzia. Jean-François Ganevat è uno dei più grandi “terroirista” del mondo se da una manciata di ettari vitati produce quasi trenta cuvée arrivando a vinificare anche 60 litri di prodotto!! Ma quel che più strabilia è la convivenza di ricchezza, acidità e sapidità. Spesso nei vini c’è molto dell’una e poco delle altre. O viceversa. Con Ganevat, sfiorando l’estremo e ricorrendo al manto di una leggera, vibratile e pregevolissima ossidazione, si centra un supremo equilibrio, a registri inusitati e aulici. Cos’è stato, venendo alla beva, il Savagnin “Les Chalasses Marnes Bleues” del 2011? Scopro, leggendo qua e là, che persino Robert Parker ne è rimasto ammaliato. Questo dimostra che l’eccellenza mette le ali ai sensi e ti fa scordare gusti,particolarismi, amenità intellettualistiche. La scossa emozionale di questo Savagnin è indimenticabile. Impossibile enumerare i rimandi analogici al mondo dei fiori, dei frutti, dei vegetali, delle spezie. Raro trovare vini così misuratamente piccanti, fumosi, sapidi, minerali. Com’è stata poi la coppia di Pinot Noir “Cuvèe Julien” 2011-2012 ? Inebriante!! Gli intensi profumi che richiamano i frutti rossi sembravano galleggiare su di un substrato magmatico di sottobosco, con svolazzi aromatici di macchia mediterranea, toni affumicati, persino pietra focaia, persino torba. Afrori sensuali che, per certi versi e pur nella diversità, hanno richiamato alla memoria un vino di andate emozioni: il “Point d’Interrogation” di Castelmaure . Anche qui sud della Francia; anche qui ancestrali armonie. Animale, vegetale e minerale si rincorrono e in bocca, dopo l’opulento bacio del frutto, la persistenza è sorretta dall’acidità con note di cuoio, caffè e “millanta altre”, come direbbe Veronelli. Fra i due, difficile preferire un millesimo. Prevedo per Ganevat un futuro ancora più radioso. Poche le personalità, nel mondo del vino, di tale fatta, di tale statura. Tutto sta ad incontrare i suoi vini : poi, non si finirebbe mai di desiderarli.
Rosario Tiso
Nessun commento:
Posta un commento