C’è un drappello di uomini del vino e fra essi anche qualche celebrità che non
hanno mai dato grande importanza alla Franciacorta. Per questa sparuta
minoranza la zona spumantistica italiana
di maggior successo è un’invenzione che non ha solide radici e profonde
ragioni. Tutti sanno com’è andata e per certi nostalgici di una qualche
“grandeur” non meglio identificata il
fatto di non poter contare su tradizioni ultrasecolari è un difetto
irrimediabile. Questo atteggiamento tradisce un certo e intollerabile snobismo
intellettuale. La storia dell’interazione fra uomo e Natura ha dimostrato
ampiamente che quando c’è passione, competenza e soprattutto l’intento di
insufflare d’anima la traduzione in
progetto dei propri sogni, i risultati sono sorprendenti. La tradizione
contadina e la vocazione vitivinicola di certi territori sono valori assoluti.
Tuttavia l’uomo è capace di compiere il miracolo: è Lui il demiurgo, l’artista,
il facitore. E la Natura sa accogliere e
valorizzare l’estro creativo in essa investito. In Franciacorta è accaduto
proprio questo. Lungi dall’essere la Champagne italiana, perché di Champagne ce
n’è una sola ed è la regione vinicola francese assolutamente non replicabile
altrove, la “mecca” dello spumante classico italiano ha una sua originalissima
e variegata produzione che solletica domini diversi del piacere organolettico. La freschezza e la
franchezza sono le cifre più cospicue del profilo sensoriale degli spumanti
franciacortini. E’ lì che si vince la
sfida con le bollicine di tutto il mondo, persino con quelle di altre aree
spumantistiche nazionali quali l’Oltrepò
Pavese, l’Alta Langa o il Trento classico. Franciacorta è suadente solarità
:qualsiasi imbrunimento quasi ne penalizza l’espressività. Quando si
scimmiottano i francesi non si può che lasciarvi le penne: una qualsiasi “cuvèe
prestige” transalpina è di caratura
inimmaginabile per qualsivoglia campione nostrano. Ma quando si punta ad essere
diretta espressione di vitigno e terroir senza infingimenti, quando si rifugge
dall’omologazione, ecco sorgere un’irripetibile combinazione che non teme
confronti proprio in virtù della sua unicità. “Arcari e Danesi” ha rappresentato proprio questo : esempio paradigmatico della
Franciacorta che ammalia. Così dovrebbe essere la bollicina lombarda che guarda
il lago d’Iseo. A Marzo dell’anno scorso scrivevo quanto segue:
“Siamo in Franciacorta e
la coppia Giovanni Arcari e Nico Danesi da tempo ha sposato la causa della
missione “TerraUomoCielo”
in solido
con il terzo, non esplicitato socio Andrea Arici, dell’azienda
“Colline della Stella”. Il senso del progetto è quello di proteggere
un’agricoltura enoica che sia complementare alla natura e capace di ricavarne
un frutto intonso e puro da ritrovare poi nel bicchiere. Progetto ambizioso e
rischioso, in quanto fare a meno delle
stampelle della tecnica enologica
convenzionale non vuol dire solo affrontare le problematiche della
vinificazione in maniera alternativa ma
ingenerare un gusto sì pulito, sì fresco,sì tipico ma poco riconoscibile
per papille gustative devastate da anni
di iper-sensazioni, da pulizie obitoriali e da strutture mastodontiche. Il Satèn di
Arcari e Danesi rinuncia allo zucchero in fase di tiraggio ,il cosiddetto “metodo
ancestrale”, e affina sui lieviti per tre anni. Dopo un ‘ulteriore sosta in bottiglia
giunge al palato fresco e delicato, come una carezza . L’approccio gustativo
gentile e misurato, i profumi lievi e il
tocco setoso ne fanno davvero una novità e una bella scoperta.” Ma veniamo al presente.
Siamo spettatori di una “prima” assoluta: l’Azienda Agricola SOLOUVA di Erbusco
capitanata dal giovane Andrea Rudelli ed il suo omonimo vino spumante. Tecnicamente il suo
spumante bianco metodo classico da sole uve chardonnay provenienti da un
appezzamento di 1,5 ettari presenta questa particolarità: si fa fermentare il
mosto fino a fargli raggiungere la quantità di zuccheri residui che serviranno
una volta in bottiglia per ottenere le
“atmosfere” e i gradi alcolici voluti. Si blocca quindi la
fermentazione con il freddo in vasca e al tiraggio non si deve aggiungere nulla
se non i lieviti. E’ la stura per una sorta di rifermentazione in bottiglia
diretta. Per il dosaggio si aggiunge solo mosto
preventivamente approntato. SOLOUVA ,di nome e di fatto, predilige
dunque la piena maturità fenolica delle uve con l'ambizione di ottenere un vino
che sia emanazione diretta di quel che la Natura ha generato senza
l’interazione forzata dello zucchero
(generalmente di canna ) che normalmente viene usato per la produzione del
Metodo Classico nel “liquer de tirage” e nel dosaggio finale. Niente zuccheri aggiunti mai, in nessuna fase, con quel
che ne consegue a livello organolettico in termini di immediatezza espressiva.
Ecco dunque la nuova sfida di Andrea
Rudelli. Lo spumante, prodotto in 10000 unità, affina 30 mesi “sur lie” a cui
seguono alcuni altri in bottiglia dopo la sboccatura.
Rosario Tiso
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