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venerdì 29 maggio 2015

Trasgressioni di Kikì Dimulà

Mi espando e vivo
illegalmente
in aree che gli altri
non riconoscono reali.
Là mi fermo ed espongo
il mio mondo perseguitato,
là lo riproduco
con amarezza ribelle,
là lo affido
a un sole
senza forma, senza luce,
immobile,
personale.
Là accado.

A volte però
tutto questo s'arresta.
E mi restringo,
a forza rientro
(rassicurante)
nell'area ammessa
e legale,
nell'amarezza terrena.

E mi smentisco.
Kikì Dimulà - L'adolescenza dell'oblio

Domenica 31 andiamo a votare! Finalmente abbiamo la possibilità di cambiare


Domenica 31 andiamo a votare!
Finalmente abbiamo la possibilità di cambiare e si chiama TOTI.
C'è una Liguria da rifare e servono persone serie e competenti. Per questo indico agli amici della provincia della Spezia di scrivere Gianluigi Troiano e barrare il simbolo Area Popolare. Questo voto va alla coalizione di Toti Presidente.
Per tutti gli amici delle altre province, se non avete particolari preferenze, fate una croce sul simbolo arancione: Giovanni Toti Liguria. Cambiare si può!

martedì 26 maggio 2015

A Foggia promettono posti di lavoro prima delle elezioni.

Promettere posti di lavoro per il nuovo centro commerciale dell'Incoronata e' vergognoso. Chi sta mettendo in atto questa ennesima presa in giro confidando sulla disperazione della povera gente deve essere denunciato!

Qualcuno di voi ha avuto queste promesse?
fonte Libera Italia

sabato 23 maggio 2015

Quanto aspettare una bottiglia di “La Tache” 2009?



Da giovanissimo conoscevo del vino soltanto oscure dicerie. Il sapere accademico le alimentava e sosteneva, producendo nel tempo una sequela ininterrotta di “profeti” preoccupati quasi esclusivamente di rimpolpare e predicare il pensiero unico, una sorta di religione del vino. La leggenda più arcana,il mito supremo da ossequiare è sempre stato quello relativo all’attitudine del vino a migliorare invecchiando. Sull’argomento ho sentito e letto l’impossibile. Cose strabilianti che si fanno un baffo delle leggi della chimica e della fisica e, quel che è ancora più stupefacente,della stessa natura. Non si contano,ad esempio,i palati valenti o sedicenti tali che hanno trovato eccezionali campioni dall’esistenza pluridecennale fino a lambire e a volte superare il secolo.  Per questo da sempre ogni appassionato ha dovuto vestire il saio dell’umiltà e della fede per accostarsi all’universo delle vetustà enologiche. L’ho fatto anch’io. E mi sono fatte alcune idee sul fenomeno. Innanzitutto non si tengono nel dovuto conto due postulati che sottendono all’apertura,a volte sofferta e rischiosa,di una chicca enologica “d’antan”. Il vino è un prodotto che ha una vita e come tutte le realtà vive è destinato a marcire,previo un più o meno lungo decadimento. Poi è assolutamente riconosciuto che non tutti i vini invecchiano allo stesso modo e non tutti(direi pochissimi)meritano di farlo. La mia esperienza trentennale di assaggi conferma questi assiomi. Se lungamente attese, otto bottiglie su dieci risultano appena potabili o nel migliore dei casi  reggono dignitosamente un impianto organolettico piacevole. Ma “reggere” nel tempo sarebbe una qualità fine a se stessa se non ci fosse il guadagno di  un plus-valore sensoriale. Le troppe variabili,le troppe aspettative associate allo stappo di un presunto gioiello vinicolo, finiscono per sfiancare ogni gradevolezza. Ma si sa, le religioni non si discutono. Hanno papi,cardinali e vescovi,oltre ad una genìa pretesca e pretenziosa,pronti all’unisono a difendere il “verbo”. I miti non si toccano, piuttosto si ingenera negli astanti un senso di inadeguatezza e si suggerisce più o meno subliminalmente di modificare i propri target organolettici per allinearli al pensiero dominante. Si definisce quello che è buono e quello che non lo è. Le facoltà gustative dei più e soprattutto quelle dei degustatori che contano, i guru della critica enologica mondiale, sembrano tutte sbilanciate verso l’ossido,il rancido,l’aspro,il marcescente. Le note dolci e suadenti sembrano ai più valenti di loro rappresentare uno stadio infantile del gusto. Così accade che tante “puzzette” vengano assimilate ai profumi piacevoli in nome del dio “complessità”, tanti spigoli e asperità  associate  alla deità del dinamismo e della verticalità. E mentre sull’altare dell’intensità si dispiegano  astringenza e torbidità,si spera di centrare miracolosamente una qualsivoglia,chimerica armonia. Spesso la bocca affascina e ammalia più per l’idea di quello che il vino avrebbe potuto essere che per l’effettiva qualità. Non ci si meravigli pertanto di leggere che nei grandi vini degli anni ’70 c’è chi sente ancora del frutto freschissimo. Nessuno si sogna di dire che è una evidente corbelleria. E che un grandissimo vino in uscita andrebbe aspettato 25-30 anni. Chi offre di più? A questo punto io ipotizzerei di arrivare a 40 o di lambire il mezzo secolo. Non costa nulla spararla grossa. Anzi. Si passa per essere uno ancora più bravo,ancora più competente,ancora più visionario. Qualche grandissimo vino l’ho bevuto anch’io. E, udite udite, ho fatto qualche scoperta. Tutti gli appassionati sanno quanto bello,buono e carezzevole ai sensi sia il vino dei sogni, del vagheggiamento estatico, dei desideri. Ma con l’approssimarsi della realtà,del momento concreto e fatidico della beva,bisogna pur lasciar parlare il vino,senza incappare nella fittissima rete dei nostri preconcetti,dei nostri pregiudizi. Il vino,come la musica,deve imporsi da sé. Senza ricorrere a sofismi.  Alla fine ho capito che un vino memorabile dimostra un’immediata bevibilità,è seducente anche e nonostante la sua estrema giovinezza,pullula di presagi di eleganza e raffinatezza e soprattutto può sciorinare da subito un superbo equilibrio. Altro che tannini da smussare,alcoli da integrare nella trama “et similia”  . Certe problematiche evidenziano limiti congeniti e difficilmente mondabili del campione degustato. Nella mitologia dell’attesa si favoleggia addirittura di equilibri persi,guadagnati e poi ripersi e riguadagnati nelle varie fasi evolutive del vino. Un assurdo rompicapo che rende la scelta del momento adatto allo stappo un autentico terno al lotto. Le fantasmagorie dei vecchi millesimi sono fantasie di certi ricchi,inclusi gli arroganti-supponenti-pieni di sé  (Ah, l’equilibrio dello Cheval Blanc del 1936! Oh,la potenza dello Chateau Latour del 1945!Uhm,l’appagante e sontuosa bevibilità dello Chateau d’Yquem del 1911!). E certi ricchi,si sa ,spesso pagano su altri piani le loro fortune di carattere economico e professionale . Sono ristretta e poco qualificata cerchia per rappresentare un universo che li ha preceduti e li sopravviverà. Solo ai “poveri” in spirito è concessa la comprensione vera della realtà. Anche in campo vinicolo.
Rosario Tiso

Giovanni Falcone, la lettera inedita: «Non abbandono per paura»

Giovanni Falcone, la lettera inedita: «Non abbandono per paura»
Il suo passaggio dalla procura di Palermo al ministero di Grazia e Giustizia spiegato a un docente che lo invitava a restare in una missiva pubblicata oggi da “L’Ora”
di Felice Cavallaro - Per Giovanni Falcone non fu un abbandono il passaggio dalla procura di Palermo all’ufficio affari penali del ministero di Grazia e Giustizia, come allora si chiamava. Lo fece capire più volte nel 1991 il giudice considerato con Paolo Borsellino dai boss di Cosa nostra il nemico da abbattere. Lo disse anche durante una famosa trasmissione condotta contemporaneamente a Roma e Palermo da Maurizio Costanzo e Michele Santoro, presenti tanti sedicenti futuri “amici di Giovanni” pronti a criticare la scelta dell’incarico perché offerto da un socialista, il ministro del tempo, Claudio Martelli. Una storia e una posizione adesso confermata da una breve lettera inedita di Falcone. Un ringraziamento ad un docente che lo invitata a restare a Palermo. Poche righe riproposte nell’edizione domenicale da un giornale appena tornato in edicola, “L’Ora”.
Scelta obbligata
Al professore Vincenzo Musacchio che ha poi insegnato Diritto penale presso l’Alta scuola di formazione della presidenza del consiglio a Roma, presidente dell’Istituto nazionale di studi sulla corruzione e direttore scientifico della Scuola della legalità “Don Peppe Diana”, Giovanni Falcone replica dopo averlo ringraziato per la bella lettera ricevuta nel dicembre 1991: «Anche io come lei sono convinto che il mio posto sia a Palermo, ma ci sono momenti in cui occorre fare delle scelte e impiegare tutte le energie possibili per la lotta alla mafia. Mi creda il mio non è un abbandono. Continui a credere nelle giustizia, c’è tanto bisogno di giovani con nobili ideali».
Un ingegnere a palazzo
Non un abbandono quindi, ma la volontà, come Falcone spiegò in una delle ultime interviste a tre cronisti siciliani, di ampliare il raggio della lotta alla mafia: «Finora è come se avessi fatto il muratore in una stanza che abbiamo provato a liberare dalla mafia. Adesso occorre provare a fare l’ingegnere per ristrutturare l’intero palazzo». Metafora del Paese dove un impasto di mafia ed interessi occulti bloccò i progetti di Falcone e Borsellino.
Testata contesa
E’ questa la materia di due pagine riproposte dal quotidiano che affonda le radici nella storica testata istituita nel 1900, chiusa dopo alterne vicende e adesso al centro di astiose polemiche. Il giornale in edicola è realizzato infatti da una associazione che fa capo ad alcuni ex de “L’Ora”. Ma altri ex giornalisti fino al 1992 attivi nel giornale poi chiuso, come Sandra Rizza, Vittorio Corradino e Giuseppe Lo Bianco, avevano recentemente provato a lanciare con la stessa testata un sito Internet a sua volta già in disarmo dopo altre polemiche interne. Adesso, arrivano i primi numeri del quotidiano. Con il biglietto di Giovanni Falcone trovato e pubblicato a firma di Ismaele La Vardera, un giovane del pianeta antimafia schierato contro i potenti del suo paese a due passi da Palermo, Villabate, e per questo protagonista di alcuni servizi denuncia trasmessi da “Le Iene”.

L'anima è piena di stelle cadenti. Victor Hugo

L'anima è piena di stelle cadenti.
Victor Hugo

Il fisco non cambia verso

Il 70% delle tasse statali arriva da lavoro dipendente e consumi, mettendo in crisi il principio costituzionale di progressività. E la delega fiscale che dà mandato al Governo di intervenire in materia per realizzare "un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita" -scaduta a fine marzo, e prorogata fino al 26 giugno 2015- non pare affrontare il tema
di Luca Martinelli - Altreconomia
Nel 2014 ho maturato 101 euro di interessi sul mio libretto di risparmio presso la cooperativa Chico Mendes, quella che promuove il commercio equo e solidale a Milano. Di questi, 26,38 se li è presi lo Stato, sotto forma di “ritenuta fiscale”. Ho pagato un’aliquota del 26 per cento, per effetto di una norma in vigore dal 1° luglio 2014, che si applica in modo indistinto agli interessi maturati sul risparmio, senza considerare in alcun modo la natura del soggetto che l’ha raccolto. La finalità “solidale” dei libretti accesi presso la Chico Mendes, le cui risorse contribuiscono a prefinanziare i produttori del commercio equo, non merita -secondo il governo- alcune detrazione, riduzione o esenzione dalla “ritenuta”. Nemmeno se -come in questo caso- gli interessi restano sempre sul libretto. Si possono fare due conti, così: se avessi pagato una ritenuta calcolata sull’aliquota dello scorso anno, che era fissata al 20%, essa sarebbe stata di poco superiore ai 20 euro; ciò significa che lo Stato ha dragato sei euro che avrebbero potuto restare depositati in cooperativa. Dato che lo stesso è successo a ognuno degli altri 438 soci risparmiatori della cooperativa Chico Mendes, il “regalino del governo”, come definisce Luca Munari, dell’Ufficio soci, l’innalzamento della ritenuta dal 20 al 26%, è costato quasi 3.900 euro. Se invece ci fosse una esenzione totale, la cooperativa avrebbe a disposizione -ogni anno- quasi 17mila euro in più.
Secondo la relazione tecnica del governo, allegata alla norma dell’aprile scorso che ha modificato l’aliquota della ritenuta fiscale, questa “manovra” comporterà complessivamente un aumento di gettito stimato di 755 milioni di euro. Presi a una platea indistinta di cittadini italiani, perché -come spiega Alessandro Volpi, docente di Storia contemporanea e di Geografia politica ed economica della Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Pisa-, il “sistema fiscale si costruisce sempre sui grandi numeri, su una miriade di contribuenti che si ha la certezza di poter colpire”. Così, il governo Renzi, che “pure evita di affrontare il tema di ‘una patrimoniale’, cioè di una tassazione dei patrimoni, l’ha confezionata nella pratica, non tenendo conto in maniera specifica delle singolarità dei soggetti, e usando le aliquote per appesantire il peso del prelievo fiscale” afferma Volpi.
Ciò che manca, suggerisce il docente dell’Università di Pisa che al tema di un fisco più equo ha dedicato già nel novembre 2011 il saggio pubblicato da Altreconomia edizioni “Sommersi dal debito”, è l’idea di una vera riforma fiscale.
Che dovrebbe partire da un dato di fatto, rappresentato nella prima tabella: quasi il 70% delle entrate tributarie incassate nel nostro Paese (pari a circa 340 miliardi di euro nei primi undici mesi del 2014) arrivano dall’IRPEF e dall’IVA, colpendo lavoro dipendente e consumi. Ciò rende quanto meno necessario affrontare il “nodo” dell’articolo 53 della Costituzione, secondo il quale “il sistema tributario è informato a criteri di progressività”. Secondo Volpi, questo principio di progressività s’è perso, anche perché ormai il carico fiscale complessivo è la somma di una serie di prelievi disomogenei, disorganici e caotici (perché cambiano ogni anno)”.
Il 26 marzo 2015 scade, formalmente, la “delega fiscale”, cioè il provvedimento con cui il governo Renzi si era preso un anno di tempo per approvare norme e decreti per favorire “un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita”. Al 16 febbraio, risultano approvati solo 3 decreti legislativi sui 22 necessari -www.parlamento.it/parlam/leggi/deleghe/14023ld.htm- e l’esecutivo pare orientato a chiedere di prorogare di 6 mesi la “data di scadenza” del provvedimento. Ma anche se con uno sprint Matteo Renzi arrivasse ad approvare tutti i decreti attuativi, secondo Volpi il contenuto sarebbe lo stesso insufficiente, perché i temi toccati sono tutti “periferici” se uno guarda all’esigenza di modificare l’impianto del sistema fiscale italiano.
Pensate, ad esempio, al dibattito sorto intorno alla possibilità di introdurre una soglia (accettabile?, fisiologica?) del 3% di evasione sull’imponibile. “Insistere su singole questioni specifiche, permette di non affrontare i grandi temi”, quelli su cui -secondo Volpi- varrebbe davvero la pena intervenire. Sarebbe fondamentale, ad esempio, ripartire dalla struttura portante del sistema fiscale italiano, che oggi si articola su almeno tre livelli, costituiti dallo Stato, dalle Regioni e dagli enti locali, e da troppo tempo è preda di normative spesso schizofreniche, “dettate da singole contingenze, la prima delle quali è quella di inseguire gli equilibri dei bilanci pubblici e di contribuire al famigerato rapporto tra deficit e prodotto interno lordo” spiega Volpi.
In particolare, secondo il docente dell’Università di Pisa, che è dal 2013 anche sindaco del Comune di Massa, dopo aver ricoperto per cinque anni l’incarico di assessore al Bilancio dello stesso ente, “non sembra esistere più alcuna relazione tra i tre livelli di governo, e pare perduta in molti casi la certezza del diritto sia per il contribuente ma, paradossalmente in virtù del sovrapporsi disorganico di normative, anche dell’ente titolare del tributo. In quest’ottica, il primo elemento di incertezza è costituito proprio dall’entità complessiva del carico fiscale, che finisce per articolarsi in più voci di complessa lettura, destinate quasi inevitabilmente ad appesantire il prelievo”.
Ad attingere ai nostri redditi, ad esempio, sono più soggetti: c’è lo Stato con l’IRPEF, e poi ci sono le addizionali, con differenti aliquote territoriali. Addizionali che rappresentano, inoltre, due delle quattro entrate tributarie ancora in capo agli enti territoriali, con l’IRAP e l’IMU (l’Imposta municipale unica che dovrebbe essere sostituita a breve da un’ancora indefinita local tax).
A proposito di IMU, la stessa mancanza di omogeneità che si può riscontrare nella tassazione sui redditi riguarda anche gli immobili, dove -spiega Volpi- “tutti i fabbricati produttivi, quelli classificati come ‘B’, non sono di competenza degli enti locali, che invece prendono il resto del prelievo sugli immobili”.
Secondo Volpi, sarebbe fondamentale una “definizione chiara ed organica dei ‘titolari’ dei diversi prelievi, perché solo questo consentirebbe una importante semplificazione: è difficilmente comprensibile un sistema in cui le imposte sul reddito e quelle sugli immobili sono distribuite in capo a più amministrazioni pubbliche, generando forti disomogeneità fra i diversi territori e impedendo, di fatto, a ciascuna amministrazione una vera autonomia finanziaria”.
A proposito di immobili, uno degli articoli della delega fiscale è relativo alla riforma del catasto. Il decreto legislativo che ne definisce i contorni dovrebbe essere stato approvato entro fine febbraio, e prevede che nei prossimi cinque anni venga ricalcolato il valore di ogni immobile, che verrà classificato non più sulla base del “numero dei vani” ma dei “metri quadrati” di superficie, tenendo conto della collocazione e delle caratteristiche edilizie.
Un processo che dovrebbe riconoscere quei confini marcati che esistono tra il valore di un’immobile costruito in centro e in periferia.
Abbiamo chiesto ad Alessandro Santoro, professore di Scienza delle Finanza all’Università di Milano Bicocca e consigliere economico (a titolo gratuito) del premier Matteo Renzi, se la riforma del catasto è in qualche modo legata -nelle intenzioni del governo- a una revisione delle modalità di riscossione delle imposte locali sulle proprietà immobiliari, e se pensa che possa contribuire a realizzare politiche re-distributive. “Personalmente -ha spiegato Santoro- credo che sui due piani si debba procedere in parallelo. L’allineamento delle rendite ai valori di mercato apre notevoli spazi di manovra, sia nel senso di aumentare l’equità del prelievo sia nel senso di fornire gettito aggiuntivo per finanziare la riduzione della tassazione del lavoro. Queste possibilità potranno essere implementate con il varo definitivo della local tax”.
A dimostrare l’assenza di un disegno omogeneo di riforma fiscale, intanto, la legge di Stabilità 2015 è intervenuta su uno dei centri nevralgici del sistema tributario italiano, cioè l’IVA, introducendo dei meccanismi (tecnicamente definite reverse charge e split payment per le forniture alla pubblica amministrazione e ravvedimento operoso rafforzato) che -spiega Santoro- prevedono di recuperare 3 miliardi di euro all’anno. L’Agenzia delle Entrate ha recentemente diffuso analisi secondo cui la base imponibile IVA “evasa” tra il 2007 e il 2010 è stato di 231 miliardi di euro. L’intervento sull’IVA, per il momento, non andrà a favorire una riduzione del carico fiscale sui cittadini, e in particolare sui lavoratori dipendenti: “Non credo che possano esistere degli automatismi -ha risposto Santoro-: la volontà politica è di andare in quella direzione, ma bisognerà attendere i risultati definitivi e l’evoluzione del quadro della finanza pubblica”.
Intanto, secondo le più recenti statistiche dell’Istat sulla “distribuzione del carico fiscale e contributivo tra i lavoratori e le famiglie”, diffuse il 9 febbraio 2015 e relative ai redditi 2012, la retribuzione netta di un dipendente è pari al 53,3% del suo “costo”. Il cosiddetto “cuneo fiscale e contributivo” è pari, in media, al 46,7%, suddivisi tra contributi sociali dei datori di lavoro, pari al 25,6%, e imposte e contributi diretti a carico dei lavoratori, pari al 21,1% (nel 2009, il “cuneo fiscale” era del 46,1%). I più pagano, insomma. E intanto, in assenza di un intervento adeguato sul sistema fiscale italiano, secondo Alessandro Volpi, viene meno anche “la possibilità di dare corpo a una efficace azione di perequazione, capace di ridurre almeno in parte le distanze fra aree povere e aree ricche del Paese, all’interno di un patto di solidarietà nazionale. Una simile condizione non è raggiungibile con la costituzione di più o meno credibili ‘fondi di solidarietà comunale’ da inserire nei bilanci degli enti locali o da altri meccanismi analoghi. Per la ripresa del Paese è assolutamente indispensabile che il fisco torni ad essere un motore di democrazia e di distribuzione della ricchezza perché il pericolo connesso con la episodicità e con la disorganicità dei provvedimenti è quello di accentuare ulteriormente la già troppo forte polarizzazione dei redditi e dei patrimoni italiani”.
A proposito di patrimoni e di ricchezze cumulate facendo trading finanziario, proviamo a suggerire al governo l’approvazione di un provvedimento (pur) “episodico”: è la tassa sulle transazioni finanziarie. Assumendo un’imposta dello 0,1%, su ogni compravendita di strumenti finanziari, le stime della campagna ZeroZeroCinque -basate su dati della Commissione europea e del Deutsches Institut für Wirtschaftsforschung- attestano per l’Italia entrate fra i 5 e i 6 miliardi di euro all’anno. Pari a quanto incassato nei primi 11 mesi del 2014 da lotto e lotterie, una tassa indiretta sui sogni di ricchezza di milioni di italiani poveri. ---

Terra dei Fuochi, il generale Costa (Comandante Corpo Forestale): «Con la nuova legge quasi impossibile arrestare chi inquina»

Terra dei Fuochi, il generale Costa (Comandante Corpo Forestale):
«Con la nuova legge quasi impossibile arrestare chi inquina»
STRALCIO INTERVISTA Corriere del Mezzogiorno
(....)
A proposito delle indagini, l’articolo sull’inquinamento ambientale richiede che la compromissione dell’ambiente sia «significativa» e «misurabile». Ci spiega come farà ad accusare qualcuno sulla scorta di quella norma?
«Guardi, ci sono alcuni articoli della legge fatti bene, e penso innanzitutto al disastro ambientale, al ravvedimento operoso, all’impedimento del controllo. Altri sono scritti sufficientemente bene, come quello sulle prescrizioni...».
Non mi sta rispondendo, generale...
«Ci stavo arrivando. Altri articoli ancora, invece, sono arricchiti di tecnicismi scientifici prestati alla materia giuridica che lasciano un po’ perplessi. Significativo è concetto che si presta a diverse interpretazioni. E, quanto alla misurabilità, cosa accade se nello stesso terreno si verificano due reati ad opera di soggetti diversi? Come si misura il danno provocato dal primo e quello arrecato dal secondo? Dubbi che, verosimilmente, saranno risolti dalla Cassazione penale quando arriveranno lì i ricorsi relativi ai dibattimenti».
Prima quei processi vanno celebrati. Oggi potrebbe arrestare chi interra un fusto?
«Sinceramente?».
Sinceramente.
«Dovrei prima stabilire che il danno sia significativo, magari in base a ciò che quel fusto contiene. Poi dovrei misurare il danno, accertando quanto quel fusto abbia contribuito ad avvelenare un sito magari già inquinato. Diciamo che si tratta di un’operazione molto complicata, ai limiti dell’impossibile. Il tutto senza tralasciare la circostanza che gli imputati potranno contare su consulenti scientifici molto accorsati. Alla fine, però, sarà il libero convincimento del giudice a fare giurisprudenza. E, dunque, la capacità dell’investigatore nell’esporre la situazione».
Quel convincimento arriverà dopo la valutazione degli atti. Onestamente, se da un lato c’è la sua indagine e dall’altra una perizia di tre super-esperti, a chi darà ragione il tribunale?
«Ragionevolmente accoglierà le loro tesi, purtroppo. (...)》

Palmira, l’inazione del mondo e il senso di colpa delle Nazioni Unite

Il mondo assiste inerte all’Isis che occupa le rovine della maestosa Palmira, già Zenobia, lasciando che siano solo i soldati siriani a combattere per difenderla. E dire che difenderla sarebbe stato possibile, se solo lo si fosse voluto. Stranamente però nessuno domanda come mai la comunità internazionale non collabori con Damasco per la difesa di Palmira in quanto bene culturale unico al mondo e ricchezza per l’intera umanità.
Tribuno del Popolo - Per chi si accanisce contro le vestigia del passato non dovrebbe esserci alcuna pietà, al contrario invece la comunità internazionale assiste passivamente ai miliziani del Califfo che penetrano tra le rovine della vecchia Palmira, la splendida Zenobia, città patrimonio Unesco e unica al mondo per la sua straordinaria bellezza. Incredibilmente però i raid della coalizione anti-Isis non hanno nemmeno tentato di proteggere un sito importante come Palmira dalla furia del Califfo, lasciando solo all’esercito siriano, stremato peraltro da quattro anni di guerra civile, l’incarico di respingere i tagliagole jihadisti. Non solo, paesi come la Turchia e come l’Arabia Saudita continuano ad aiutare i ribelli siriani con mezzi e armi, e ormai è abbastanza risaputo che tali aiuti finiscono inesorabilmente nelle mani dello Stato Islamico. Andare contro l’Isis ma non aiutare Damasco, in sostanza, significa unicamente permettere allo Stato Islamico di rafforzarsi, e anche le titubanze dell’esercito in Iraq aprono parecchi interrogativi con le armi pesanti americane che sono misteriosamente state abbandonate, ancora una volta, e lasciate nelle mani del Califfo. Da qui la domanda, come mai nessuno chiede un intervento internazionale a difesa di ‪#‎Palmira‬? Come mai nessuno invoca una missione umanitaria in aiuto del governo siriano che, regime o no, è l’unica realtà organizzata e laica che cerca di opporsi all’avanzata del Califfo. Se lo Stato Islamico dovesse mettere le mani su Damasco infatti, il rischio che la guerra si sposti progressivamente verso il Mediterraneo diventerà reale. Non solo, aiutando l’esercito siriano la comunità internazionale riuscirebbe ad avere ragione dell’Isis in pochi mesi dal momento che i miliziani del Califfo non riuscirebbero mai a resistere ad attacchi via terra e aria congiunti. Se agli Stati Uniti stanno così a cuore le sorti della “democrazia” in Siria, potrebbero sempre fare pressioni su Assad subito dopo la sconfitta del Califfo, magari forzandolo alle dimissioni, eppure qualcuno preferisce giocare al massacro e lasciare che Assad e l’Isis si scornino tra di loro, anche se a morire sono soprattutto civili o ragazzi che ormai prendono le armi per difendere la propria casa dalla furia dell’Isis e non certo per ideologia o per sostenere una dittatura. Come mai nessuno si indigna per la presa di Palmira? Sembra tutto così grottesco, viviamo nel XXI secolo dove droni teleguidati possono colpire un topolino nella giungla, eppure gli Stati Uniti, la Nato, Israele e la comunità internazionale non sono in grado nemmeno di concordare con Damasco un intervento aereo volto a difendere le rovine di Zenobia dalla furia iconoclasta. Palmira non appartiene ad Assad o alla Siria ma alla storia del mondo, di conseguenza tutti dovrebbero tendere le mani in aiuto di coloro che oggi stanno morendo per salvare le rovine di Palmira e non vengono celebrati dai media solo perchè non vi è un interesse mediatico nel mitizzare l’eroismo di chi combatte per quelli che il mainstream propaganda come i cattivi, ovvero i soldati siriani.

venerdì 22 maggio 2015

Una serata con “Les Caves de Pyrene”



Il mondo del vino a volte è una Babele,popolata da estremismi di ogni sorta. Ognuno fa a chi grida più forte;ognuno sembra perso nelle pieghe di un insindacabile fortilizio di punti di vista e smarrito nelle labirintiche spire del proprio gusto. Non si è ancora capito che avere opinioni “certe”  è un limite e si rischia di fallire il punto:il conseguimento della piena conoscenza. Chi possiede e coltiva da tempo la passione per il nettare di Bacco sa che non troverà  pace fino a quando non avrà stanato  la verità  organolettica. E a pensarci bene non può albergare all’interno di qualche steccato: non può che essere un ambito vastissimo ,forse conchiuso ma onnicomprensivo. Così quando ci sembra di vagare senza un approdo nel mare sconfinato delle possibilità enoiche,ecco spirare una brezza nuova che prefigura una rotta inaspettata verso terre da esplorare ed acquistare alla propria esperienza. Affinità elettive allora si asserpano a quelle che si ritenevano  ispirazioni domestiche e poetiche incomplete e si fanno incontri,si aprono porte della mente e dei sensi di cui si ignorava l’esistenza. Questo mi accade ogni qualvolta bevo un vino,specie se per la prima volta. Per amorose suggestioni iniziano ad intrecciarsi parole e sensazioni recate dall’esperienza con le emozioni assicurate dalla presenza emotiva della curiosità,dote spirituale e caratteriale il cui valore è troppo spesso sottovalutato. Senza curiosità non c’è vita. E’ quella scheggia di follia che dà respiro e colore a qualsiasi mozione che viene da dentro,dal sottosuolo dell’interiorità.  E’ la curiosità a dare una chance a qualsiasi prodotto che aspiri ad una qualche valenza gustativa. Il vino è sempre interessante e foriero di riflessioni  anche nelle espressioni meno felici. Poi,se proprio non dovesse parlarci,si può passare la mano.
Le mie corde adesso vibrano per i vini che cercano l’eldorado nella buccia,ove si annida il meglio,e mutuano da essa una marcia in più nei profumi e nei sapori,nel conseguimento di una più alta e qualificata complessità,nel sempre gradito e ricercato potenziale di longevità. Nella mia attuale stagione evolutiva sono rimasti al palo i vini bianco-carta,i rosati dal colore “buccia di cipolla di Tropea” e i rossi figli del legno ,delle sovraestrazioni, per intenderci  i “vinoni”. Ho da qualche tempo inaugurato lo splendido filone dei vini imperfettamente perfetti,umorali e viscerali prima che complessi,e soprattutto non necessariamente rispondenti a quelle menate preistoriche  sulla quantità e riconoscibilità delle nuances che un grande vino “dovrebbe” esprimere. Non m’importa di quanti e quanto riconoscibili sentori o sapori debba essere dotato o poterne indovinare vitigno e giacitura o stigmatizzarne lo stato evolutivo. C’è qualcosa di più grande: il godimento fisico e spirituale che se ne ricava. E chi ritiene che debba esserci qualcosa da imparare sappia che non c’è lezione più importante di questa.
Stasera,in occasione dell’evento organizzato da Massimo Lanini nel suo ristorante “Le Giare” di Bari e che vede protagonisti Christian Bucci nell’insolita veste di chef(fantastiche la pizza,le animelle con carciofi maritati, il coulis di cachi, gelato al pistacchio, marron glacèe, meringa…) e “Les Caves de Pyrene”, ho  voglia di uscire allo scoperto. Il vino fruga dentro ai ricordi e di laggiù tira fuori esperienze,immagini,fatti di cui non era rimasta apparente traccia. Quando si giace sovraccarichi di memorie enoiche e ci si accosta ad un vino,l’arte della maieutica la svolge lui,il nettare che si ha davanti! E’ lui che rimette in ordine una valigia traboccante  di nozioni e sensazioni che per neutralizzarla e contenerla non basterebbe neppure il tentativo di adagiarvisi sopra. Fatta chiarezza con la forza della realtà organolettica,si può cominciare ad elaborare il racconto enoico. E’ il Piemonte stasera a “miracol mostrare”. Quattro gli interpreti fra i più valenti  dell’intero panorama vitivinicolo italiano:  Fabrizio Iuli di Cascina Iuli  con la Barbera “Umberta” 2012 e il Pinot Nero “Nino”  2011,Nicoletta Bocca di San Fereolo con un Langhe bianco 2009 e il Dolcetto 2009,Paolo Veglio di Cascina Roccalini con il Barbaresco 2010 ed Ezio Cerruti con il Moscato passito “Sol”. Partiamo da Iuli. Mai da vini riconducibili al territorio di Montaldo e della Val  Cerrina ,fra le montagne del Monferrato,erano scaturite simili emozioni . Nessuno aveva osato tanto: recuperare delle vecchie vigne abbandonate e abbarbicate  su declivi dalle pendenze severe ed  elevarle al rango dei migliori cru piemontesi. Fabrizio Iuli lo ha fatto,con l’estro di chi ha intessuto di sogni  la sua poetica. Tanti i suoi gioielli. Dalla bevibilità e dal carattere della Barbera si passa all’eleganza del Pinot Nero,al suo  charme fruttato e alla sua grandezza raffinata,nonché corposa e precoce . E se Biodinamica significa tra le tante cose vivere la propria terra e coglierne le caratteristiche diverse e uniche,la creazione di un Pinot Nero in purezza in una zona d’Italia così remota e misconosciuta è stato un capolavoro di attenzione,partecipazione, interazione  con la Natura ed il “genius loci” di cui va riconosciuto il merito solo ed esclusivo al vigneron. Grande Fabrizio e grazie Fabrizio! Hai saputo far cantare la terra con lo spartito del tuo cuore e della tua mente. Nel contempo,nello splendido scenario di lune e falò di pavesiana memoria del magico territorio di Dogliani, affini idealità hanno portato l’azienda San Fereolo a valorizzare la tradizione con il medesimo approccio di stampo biodinamico attraverso lo sviluppo di produzioni monovarietali e non da vitigni autoctoni e non : riesling+gewurztraminer, nebbiolo e su tutti l’ineffabile Dolcetto. Proprio quest’ultimo vinificato in purezza,il San Fereolo 2006, ha costituito uno dei vertici gustativi della serata e uno dei vini più emozionanti del lotto. Con questa enologia che non utilizza stabilizzanti di sorta,che non modifica il valore primigenio dei componenti di origine fermentativa ai fini di un miglioramento organolettico,che vira decisamente verso una scelta biodinamica radicale,Nicoletta Bocca ha prodotto le bottiglie che oggi ci hanno stregato. E questo perché,al di là del riscontro sensoriale,ha saputo riversare nei suoi vini qualcosa di più e di meglio della mera trasmissione di una tradizione di valori condivisi:ha saputo arricchirli e completarli  insufflandovi la sua personalità e permeandoli della sua voglia bifronte,d’avventura e di pace. “Coup de couer” di assoluto valore resta sempre il Barbaresco di Paolo Veglio. Di lui e delle sue radici ho potuto osservarne lampi e coglierne significati durante una breve visita nella sua bellissima Azienda,dominante il nastro lucente e argenteo del Tanaro. Quel che posso dire è che Paolo Veglio è uno di quei vigneron che ti conquistano per la sua cristallina empatia  e che costituiscono una speranza vivente per il mondo. Il suo vino non può che mutuarne franchezza,splendore,genuinità. E senza abbandonare il crinale della verità suggerita dai sensi e confermata dalle emozioni che dire del “Sol”  e del suo facitore Ezio Cerruti? Mi conquistò a Cerea la sua antica cortesia e la delicatezza del tocco . Oggi lo riscopro umanamente ancor più complesso e più completo mi pare anche il suo vino quasi per imitazione e contiguità. Adesso potrei parlare a proposito di ciascuno dei nettari degustati di vigneti come giardini e materia prima intonsa e perfetta ,di più o meno lunghe macerazioni sulle bucce,di fermentazione in acciaio e in legno,di frutti rossi e bianchi,fiori,pepe e pietra focaia,di freschezza e mineralità,di equilibrio ed eleganza ma stavolta il naufragar nella piacevolezza mi è dolce ed esaustivo in una deriva marcata da un senso di indistinzione. Stasera non voglio cedere alla tentazione del tecnicismo e del colorito iper-descrittivismo. Senza fingermi in altri pensieri voglio solo godere . Dei vini e della compagnia di uomini e donne fuori dal comune,che sanno essere pietre ancora più preziose dei frutti della vite che tracimano        copiosi          dalle   loro    mani.     Dell’abbraccio caldo,consistente,equilibrato,integro del più sublime dei liquidi odorosi. Ad altri cronisti più valenti  lascio quel che troppo spesso risulta essere uno stucchevole snocciolamento delle caratteristiche organolettiche dei campioni bevuti,a volte freddo,a tratti magniloquente in funzione della misura dell’Ego del narrante. Mi riservo,invece e tutto, il privilegio di annunciarvi l’estasi testè provata: il miracolo del vino come dispensatore del sommo piacere ed elemento corale e gregario insuperato ed insuperabile,si è ancora una volta compiuto.
Rosario Tiso


martedì 19 maggio 2015

Fitto storia di un traditore,di Nicola Mendolicchio





25 febbraio 2005, l'allora governatore della puglia Raffaele Fitto,promulga una legge regionale pubblicata sul BURP n 33 del 1 marzo 2005,sulle norme per la costituzione e il funzionamento delle commissioni provinciali e regionale per l'artigianato e l'istituzione dell'albo provinciale delle imprese artigiane.
Detta legge di fatto azzera A.C.A.I l'acai ASSOCIAZIONE CRISTIANA ARTIGIANI ITALIANI,
di fatto escludendo detta organizzazione dalle commissioni provinciali e regionale per l'artigianato,costringendo circa 60000 SESSANTAMILA imprese cristiane ad emigrare in altre organizzazioni di categoria o a chiudere
con quest'azione ha di fatto perso  il probabile appoggio alle imminenti elezioni consegnando a VENDOLA la Puglia per 10 anni.
A distanza di 10 anni spaccando di fatto il CENTRODESTRA e FORZA ITALIA in Puglia consegnerà la regione ad Emiliano.
SE COME ARTIGIANO NON ERI PRESENTE ALL'INTERNO DI ORGANIZZAZIONI RAPPRESENTATE NEL C.N.E.L,(ORGANISMO ORA DICHIARATO ENTE INUTILE)
NON POTEVI ACCEDERE NE ALL'ARTIGIANCASSA NE A FONDI EUROPEI NE A SGRAVI CONTRIBUTIVI   
NICOLA MENDOLICCHIO
FONTE    http://madeinfoggia.blogspot.it/
foto di Silvano Contini.

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foto di Silvano Contini.

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