Per Robert Fisk “in Medio Oriente a volte si ha la sensazione che non arrivi mai il momento per dire ‘adesso basta’”. L’ultima tragedia in Iraq ne è un esempio. Una storia che non insegna, che Osservatorio Iraq e UPP raccontano in un istant-book.
“Vieni di là, subito. C’è qualcuno con cui dobbiamo parlare assolutamente”.
Eravamo all'inizio di agosto, una giornata caldissima in Italia, dannatamente più calda in Iraq. Sui monti del Sinjar, nel nord-ovest del paese, l’aria era irrespirabile, l’atmosfera invivibile.
Il decisivo attacco sferrato dallo Stato Islamico (IS) contro la città di Sinjar aveva costretto almeno 300mila persone, principalmente appartenenti alla minoranza yazida, alla fuga verso il governatorato curdo di Dohuk e il vicino confine con la Siria.
In mezzo un groviglio di montagne aride e rocciose, privo di sentieri tracciati e con mille insidie dietro l’angolo. I mezzi per comunicare con l’esterno erano ridotti al minimo. Solo chi aveva la fortuna di possedere vecchi cellulari con batterie a lunga durata poteva mettersi in contatto con amici e parenti.
I peshmerga avevano enormi difficoltà a raggiungere le persone in fuga con gli elicotteri, almeno per lanciare acqua, viveri, un minimo di ristoro: il rischio di essere colpiti dai razzi dell’IS era troppo alto. Dopo giorni di disperazione, alla fine intervenne l’aviazione statunitense che, bombardando le postazioni jihadiste, permise ai peshmerga di lanciare gli aiuti.
Durante quei giorni una piccola associazione, la Yazidi Solidarity and Fraternity League (YSFL), cercava in ogni modo di mettersi in contatto con le persone intrappolate sulle montagne.
Ad Erbil, dove c’è l’ufficio di Un ponte per…, che porta avanti progetti di solidarietà con l’Iraq da anni, si cercava di fare qualcosa, ma qualsiasi soluzione venisse proposta risultava impraticabile.
Almeno, però, le storie che venivano raccontate a singhiozzi via telefono, in diretto contatto con Sinjar, andavano riprese e rilanciate.
Husam e Husam, due attivisti dell’YSFL, vogliono parlare con qualcuno fuori dall’Iraq. Lo fanno da tanto tempo, presso istituzioni, governi, grandi organizzazioni. Invano.
Da Roma colleghiamo i capi. Iniziano i loro racconti. Le webcam sono accese, si ha l’illusione di guardarsi in faccia. Di tanto in tanto ci si ferma perché arrivano chiamate da Sinjar. L’impotenza sembra essere l’unico carattere dominante di una lunga conversazione, che termina con l’auspicio che quella tragedia finisca in fretta.
Anche qui si sente la necessità di fare qualcosa di più. Da giugno, quando la situazione irachena ha iniziato ad aggravarsi giorno dopo giorno, Un ponte per… si è attivata sostituendo le sue attività culturali con distribuzioni quotidiane di beni di prima necessità in favore delle minoranze in fuga.
Nel frattempo l’Iraq era tornato sulla bocca di tutti. “Le solite guerre, il solito sangue, lì non c’è mai pace”.
La redazione di Osservatorio Iraq intanto - che 10 anni fa vedeva la luce proprio per l’esigenza di fare informazione su un paese che veniva travolto da “una guerra stupida” (parola di Barack Obama) che solo i governi avevano voluto - prendeva appunti, raccoglieva idee, si rendeva conto che dire qualcosa di diverso in quei giorni era certamente importante.
Ma che forse valeva a pena attendere, fermarsi un attimo, riflettere. E così abbiamo fatto.
Con la consapevolezza che la prima vittima della guerra è la verità, abbiamo cercato di riprendere quei fatti, termini e concetti che nell’estate 2014 erano ormai parte del linguaggio comune senza un adeguato approfondimento.
Lo abbiamo fatto a partire da chi sostiene da sempre la popolazione irachena, tutelandone i diritti e costruendo ponti di solidarietà. Insieme, abbiamo raccolto intorno a noi autori che con le loro competenze ed esperienze ci hanno permesso di analizzare i tanti aspetti di questa crisi.
Ma soprattutto, in linea con il nostro lavoro quotidiano, abbiamo cercato di raccontare l'altro Iraq.
Quello della società civile inascoltata dai governi, dei tanti giovani che non hanno mai smesso di lottare per poter vivere dignitosamente costruendo la democrazia; quello dei suoi protagonisti, che giorno dopo giorno resistono in un paese che la guerra ha ridotto in macerie. Quello insomma che scompare dalle cronache, ma che ha più diritto di essere ascoltato.
Da questo piccolo ma intenso lavoro è nato un libro: La crisi irachena. Cause ed effetti di una storia che non insegna, appena andato in stampa con la casa editrice “Edizioni dell’Asino”, pronto ormai per essere pubblicato con il contributo di Fondation Assistance Internationale nell'ambito del progetto di sostegno all'Iraqi Civil Society Solidarity Initiative (ICSS).
“Crisi” perché è ciò di cui si parla sempre più comunemente quando ci si riferisce al Medio Oriente, ma di cui è necessario capire "cause" ed "effetti", per leggere meglio le risposte – spesso inadeguate - che vengono messe in atto.
Con l’intento di approfondire, analizzare e far conoscere l’Iraq al di là delle cronache fredde e immediate, questo volume cerca di tornare alla storia del paese, evidenziando quelle linee di continuità che risultano centrali per comprenderlo meglio oggi.
Soprattutto perché crediamo, in linea con lo spirito che ha guidato il nostro giornale in questi 10 anni, che la conoscenza sia uno strumento fondamentale per essere vicini e solidali all’Iraq e alla sua popolazione.
Anche per questo, i proventi della vendita andranno a sostegno delle attività di solidarietà che Un ponte per…continua a portare avanti giorno dopo giorno, e al lavoro di informazione della redazione di Osservatorio Iraq.
Presto vi faremo sapere come e dove acquistare il libro. Intanto, segnatevi questa data: il 16 ottobre, nella cornice del Salone dell’Editoria Sociale, vi aspettiamo per la prima presentazione.
Insieme al nostro direttore, Enzo Mangini, ci saranno Domenico Chirico, direttore di Un ponte per…e Francesco Vignarca, coordinatore della Rete Italiana per il Disarmo. Con loro cercheremo di raccontare i momenti più tragici dell’estate irachena, analizzando anche il ruolo che l’Italia ha avuto e continua ad avere.
http://osservatorioiraq.it/approfondimenti/iraq-una-storia-che-non-insegna
“Vieni di là, subito. C’è qualcuno con cui dobbiamo parlare assolutamente”.
Eravamo all'inizio di agosto, una giornata caldissima in Italia, dannatamente più calda in Iraq. Sui monti del Sinjar, nel nord-ovest del paese, l’aria era irrespirabile, l’atmosfera invivibile.
Il decisivo attacco sferrato dallo Stato Islamico (IS) contro la città di Sinjar aveva costretto almeno 300mila persone, principalmente appartenenti alla minoranza yazida, alla fuga verso il governatorato curdo di Dohuk e il vicino confine con la Siria.
In mezzo un groviglio di montagne aride e rocciose, privo di sentieri tracciati e con mille insidie dietro l’angolo. I mezzi per comunicare con l’esterno erano ridotti al minimo. Solo chi aveva la fortuna di possedere vecchi cellulari con batterie a lunga durata poteva mettersi in contatto con amici e parenti.
I peshmerga avevano enormi difficoltà a raggiungere le persone in fuga con gli elicotteri, almeno per lanciare acqua, viveri, un minimo di ristoro: il rischio di essere colpiti dai razzi dell’IS era troppo alto. Dopo giorni di disperazione, alla fine intervenne l’aviazione statunitense che, bombardando le postazioni jihadiste, permise ai peshmerga di lanciare gli aiuti.
Durante quei giorni una piccola associazione, la Yazidi Solidarity and Fraternity League (YSFL), cercava in ogni modo di mettersi in contatto con le persone intrappolate sulle montagne.
Ad Erbil, dove c’è l’ufficio di Un ponte per…, che porta avanti progetti di solidarietà con l’Iraq da anni, si cercava di fare qualcosa, ma qualsiasi soluzione venisse proposta risultava impraticabile.
Almeno, però, le storie che venivano raccontate a singhiozzi via telefono, in diretto contatto con Sinjar, andavano riprese e rilanciate.
Husam e Husam, due attivisti dell’YSFL, vogliono parlare con qualcuno fuori dall’Iraq. Lo fanno da tanto tempo, presso istituzioni, governi, grandi organizzazioni. Invano.
Da Roma colleghiamo i capi. Iniziano i loro racconti. Le webcam sono accese, si ha l’illusione di guardarsi in faccia. Di tanto in tanto ci si ferma perché arrivano chiamate da Sinjar. L’impotenza sembra essere l’unico carattere dominante di una lunga conversazione, che termina con l’auspicio che quella tragedia finisca in fretta.
Anche qui si sente la necessità di fare qualcosa di più. Da giugno, quando la situazione irachena ha iniziato ad aggravarsi giorno dopo giorno, Un ponte per… si è attivata sostituendo le sue attività culturali con distribuzioni quotidiane di beni di prima necessità in favore delle minoranze in fuga.
Nel frattempo l’Iraq era tornato sulla bocca di tutti. “Le solite guerre, il solito sangue, lì non c’è mai pace”.
La redazione di Osservatorio Iraq intanto - che 10 anni fa vedeva la luce proprio per l’esigenza di fare informazione su un paese che veniva travolto da “una guerra stupida” (parola di Barack Obama) che solo i governi avevano voluto - prendeva appunti, raccoglieva idee, si rendeva conto che dire qualcosa di diverso in quei giorni era certamente importante.
Ma che forse valeva a pena attendere, fermarsi un attimo, riflettere. E così abbiamo fatto.
Con la consapevolezza che la prima vittima della guerra è la verità, abbiamo cercato di riprendere quei fatti, termini e concetti che nell’estate 2014 erano ormai parte del linguaggio comune senza un adeguato approfondimento.
Lo abbiamo fatto a partire da chi sostiene da sempre la popolazione irachena, tutelandone i diritti e costruendo ponti di solidarietà. Insieme, abbiamo raccolto intorno a noi autori che con le loro competenze ed esperienze ci hanno permesso di analizzare i tanti aspetti di questa crisi.
Ma soprattutto, in linea con il nostro lavoro quotidiano, abbiamo cercato di raccontare l'altro Iraq.
Quello della società civile inascoltata dai governi, dei tanti giovani che non hanno mai smesso di lottare per poter vivere dignitosamente costruendo la democrazia; quello dei suoi protagonisti, che giorno dopo giorno resistono in un paese che la guerra ha ridotto in macerie. Quello insomma che scompare dalle cronache, ma che ha più diritto di essere ascoltato.
Da questo piccolo ma intenso lavoro è nato un libro: La crisi irachena. Cause ed effetti di una storia che non insegna, appena andato in stampa con la casa editrice “Edizioni dell’Asino”, pronto ormai per essere pubblicato con il contributo di Fondation Assistance Internationale nell'ambito del progetto di sostegno all'Iraqi Civil Society Solidarity Initiative (ICSS).
“Crisi” perché è ciò di cui si parla sempre più comunemente quando ci si riferisce al Medio Oriente, ma di cui è necessario capire "cause" ed "effetti", per leggere meglio le risposte – spesso inadeguate - che vengono messe in atto.
Con l’intento di approfondire, analizzare e far conoscere l’Iraq al di là delle cronache fredde e immediate, questo volume cerca di tornare alla storia del paese, evidenziando quelle linee di continuità che risultano centrali per comprenderlo meglio oggi.
Soprattutto perché crediamo, in linea con lo spirito che ha guidato il nostro giornale in questi 10 anni, che la conoscenza sia uno strumento fondamentale per essere vicini e solidali all’Iraq e alla sua popolazione.
Anche per questo, i proventi della vendita andranno a sostegno delle attività di solidarietà che Un ponte per…continua a portare avanti giorno dopo giorno, e al lavoro di informazione della redazione di Osservatorio Iraq.
Presto vi faremo sapere come e dove acquistare il libro. Intanto, segnatevi questa data: il 16 ottobre, nella cornice del Salone dell’Editoria Sociale, vi aspettiamo per la prima presentazione.
Insieme al nostro direttore, Enzo Mangini, ci saranno Domenico Chirico, direttore di Un ponte per…e Francesco Vignarca, coordinatore della Rete Italiana per il Disarmo. Con loro cercheremo di raccontare i momenti più tragici dell’estate irachena, analizzando anche il ruolo che l’Italia ha avuto e continua ad avere.
http://osservatorioiraq.it/approfondimenti/iraq-una-storia-che-non-insegna
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