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venerdì 17 ottobre 2014

Deregolamentare il mercato del lavoro: Quanto sono affidabili le analisi delle recenti ricerche FMI?

Mentre in Italia il governo spinge per deregolamentare il mercato del lavoro attraverso il “jobs act”, l’International Labour Organization sgretola la base accademica di questo tipo di riforme. Le ricerche del Fondo Monetario Internazionale che sostenevano l’opportunità, quando non la necessità, di tali riforme si rivelano viziate da molti difetti. Viene così confermato che rendere più facili i licenziamenti non produce aumenti dell’occupazione, nonostante il concetto suoni così piacevolmente controintuitivo.

La ricercatrice Mariya Aleksynska analizza i recenti lavori pubblicati dal Fondo Monetario Internazionale a sostegno delle riforme del mercato del lavoro e di una sua deregolamentazione al fine di ridurre la disoccupazione. Dall'analisi, emergono però diversi errori. Vediamo le parti salienti del testo.

"In una serie di lavori recenti del FMI, Bernal-Verdugo, Furceri e Guillaume (2012a, 2012b), Crivelli, Furceri e Toujas-Bernaté (2012), e Furceri (2012) indicano di aver trovato una forte evidenza che mercati del lavoro flessibili siano associati negativamente con la disoccupazione (ossia all’aumentare della flessibilità diminuirebbe la disoccupazione, ndVdE) e associati positivamente con l’elasticità dell'occupazione, e che riforme a largo spettro delle istituzioni del mercato del lavoro nella direzione della flessibilità potrebbero contribuire alla riduzione della disoccupazione. Sulla base di questa evidenza, essi impostano delle raccomandazioni sulla natura delle riforme che andrebbero realizzate per ridurre la disoccupazione, e su come queste riforme dovrebbero essere articolate con altre istituzioni del mercato del lavoro. Come mostrato qui sotto, queste conclusioni vanno di pari passo con alcune raccomandazioni dell’FMI riguardo la deregolamentazione.

Alla luce dell’importanza di questi risultati, questo testo procede con un controllo dei dati e delle metodologie usate per arrivare alle analisi di cui sopra, e trova in esse molte carenze significative.

In primo luogo, la maggior parte delle analisi si basa sull’indicatore composto di Fraser (2010) sulla flessibilità (o le sue componenti) del mercato del lavoro, il quale a sua volta si basa principalmente sull’Indice della Banca Mondiale sull'Impiego di Lavoratori. Nonostante la Banca Mondiale abbia sospeso l’uso di questo indice a causa delle sue importanti carenze concettuali (Banca Mondiale, 2009, 2013°), esso viene comunque usato da Fraser.

In secondo luogo, i dati di Fraser contengono interruzioni importanti nelle serie temporali a causa di cambiamenti metodologici nella raccolta dei dati e a causa di aggregazioni di dati improprie. Bernal-Verdugo, Furceri e Guillaume (2012a) utilizzano il metodo di interpretare le interruzioni nelle serie dei dati come processi di riforma, anziché lavorare con una lista di riforme effettivamente avvenute. Una volta che le interruzioni nelle serie di dati vengono tenute in conto, la maggior parte delle riforme identificate non può più essere riprodotta.

Inoltre, diversi processi di riforma effettivamente avvenuti non vengono identificati dai dati di Fraser, e la metodologia usata per identificare le riforme nei dati (ibid) non permette di stabilire lo scopo e la portata delle riforme stesse.

Infine, è possibile mettere in discussione l’approccio complessivo, che valuta la “qualità” delle istituzioni del mercato del lavoro identificandola con la “flessibilità”, un approccio comune in tutti i lavori considerati. I risultati presentati in questo testo mettono in discussione la maggior parte dei risultati empirici dei 4 lavori del FMI e di conseguenza i consigli per le politiche economiche che su di essi si basano.

In particolare, Bernal-Verdugo, Furceri and Guillaume (2012a) indicano che “le riforme del mercato del lavoro [nella direzione della flessibilità] sono associate con una diminuzione della disoccupazione di circa ¾ di punto percentuale nel medio termine, una percentuale simile in termini assoluti all’aumento della disoccupazione associato alle crisi bancarie.” Essi sostengono anche che “l’impatto positivo delle riforme del mercato del lavoro è particolarmente importante sui giovani”. Sullo stesso tenore, Bernal-Verdugo, Furceri and Guillaume (2012b) indicano che “aumenti nella flessibilità di regole e istituzioni del mercato del lavoro hanno un impatto significativo sulla diminuzione sia del livello sia della tendenza della disoccupazione”. Crivelli, Furceri and Toujas-Bernaté (2012) indicano che “politiche strutturali volte a incrementare la flessibilità del mercato del lavoro e dei prodotti [in Algeria] possono avere effetti importanti sulla riduzione della disoccupazione sia nel breve sia nel medio periodo. In questo contesto, le riforme volte a ridurre i costi di ricerca e assunzione del personale sono particolarmente importanti per integrare i giovani lavoratori esclusi dal mercato del lavoro”.

Queste raccomandazioni di politica economica sono molto importanti in un momento in cui la disoccupazione è superiore al 25% in Grecia e in Spagna e superiore al 16% in Portogallo, con una situazione ancor peggiore per i giovani, con tassi sopra al 50% in Spagna e Grecia e quasi al 40% in Portogallo (ILO, 2013; 2014). In questi e altri paesi, la deregolamentazione del mercato del lavoro è stata al centro dell’agenda politica, e la flessibilizzazione è stata uno dei punti chiave dei consigli di politica economica del FMI (Blanchard et al., 2013). Le riforme volte alla flessibilizzazione del mercato del lavoro sono anche sistematicamente entrate nei programmi di assistenza del FMI. Esempi a riguardo sono la Grecia, con le condizioni dei prestiti legate all’incremento nella flessibilità dei salari, alla riduzione del salario minimo, e al rendere l’orario lavorativo più flessibile (IMF, 2011a); e il Portogallo, le cui condizioni dei prestiti vennero legate alla riduzione del TFR e alla revisione della definizione di “licenziamento per giusta causa” (IMF, 2011b).

Tutti i lavori qui considerati contengono una nota che precisa che essi non rappresentano il punto di vista del FMI o la politica del FMI. Nonostante ciò, è evidente che alcune delle ricerche e dei consigli del FMI si sono basati su linee di ragionamento simili a quelle dei lavori considerati. Per esempio IMF (2012b) fa riferimento all’analisi che mostra che siccome “le riforme strutturali ottengono gradualmente i risultati, […] i cambiamenti al mercato del lavoro e alle pensioni, dovrebbero essere implementati senza indugio”. Bernal-Verdugo, Furceri, and Guillaume (2012a) prevedono risultati simili, mostrando che le riforme del mercato del lavoro possono ridurre la disoccupazione nel medio termine. Più recentemente, in una pubblicazione molto pubblicizzata, IMF (2014) consiglia riforme della legislazione in materia di tutela della disoccupazione nei Balcani citando, tra altri, Bernal-Verdugo, Furceri, and Guillaume (2012b). Per quel che riguarda l’Algeria, i report dello staff del FMI per la consultazione riguardo l’articolo IV del 2011 conclude che “le riforme dovrebbero tendere a […] rendere il mercato del lavoro più flessibile (IMF, 2012a)."

Il paper analizza poi nel dettaglio gli errori contenuti nei lavori del FMI: l’incompletezza degli indici utilizzati, la ridondanza con cui vengono tenuti in conto alcuni fattori (che quindi assumono un peso eccessivo) e la discutibilissima aggregazione tramite brutale media di indicatori differenti (alcuni basati su dati, alcuni su sondaggi d’opinione). Inoltre, vengono interpretati come “riforme” variazioni significative degli indici di flessibilità dei mercati. Ma in molti casi queste variazioni sono frutto di interruzioni nelle serie di dati. In uno dei lavori, più di metà di quelle che vengono chiamate “riforme” sono in realtà interruzioni nelle serie di dati. In molti altri casi, il metodo utilizzato non identifica invece vere riforme che hanno profondamente inciso sul mercato del lavoro, per esempio in Polonia, Croazia e Lituania, nonostante questi paesi fossero compresi nelle analisi per i periodi in cui le riforme sono avvenute. Per non parlare del fatto che lo studio non si interessa di identificare il contenuto e la portata delle riforme stesse.
L’indicatore composito di Fraser che viene utilizzato, è derivato da 6 variabili. Non sempre i dati di tutte e 6 sono disponibili però, e quindi alcune volte l’indicatore composito viene calcolato sulla base di sole 4 o 5 variabili, il che rende traballante la sua significatività.
Infine, i lavori stessi danno per scontato che riforme “di qualità” sia sinonimo di riforme ”verso la flessibilità”. Questa è una visione distorta dell’argomento, come dice l’ILO:

"Questo punto di vista è sorprendente per 3 ragioni. In primo luogo, stabilendo che istituzioni “più flessibili” sono per forza “migliori”, si confonde l’analisi della quantità con quella della qualità, e si presume che i paesi con una legislazione del mercato del lavoro inesistente siano quelli con la migliore qualità. Invece di focalizzarsi sulla dicotomia tra “rigido” e “flessibile”, la valutazione della qualità dovrebbe focalizzarsi su aspetti come l’adeguatezza della legislazione del lavoro, la sua aderenza ai principi fondamentali dei diritti civili (Sari and Kucera, 2011) e agli standard minimi internazionali (Berg and Cazes, 2008), al loro grado di applicazione ed applicabilità (Bertola et al., 2000), al loro grado di copertura di tutti i lavoratori e alla consapevolezza della loro esistenza tra i lavoratori stessi (Lee and McCann, 2011), o la loro importanza in presenza di economie molto informali. Tutti questi elementi sono molto rilevanti in particolare nei mercati in via di sviluppo. Sfortunatamente, questi concetti sembrano assenti sia nei dati di Fraser del 2010, sia nelle analisi contenute nei lavori del FMI."

Inoltre l’ILO sottolinea che l’analisi FMI dà per scontato che il punto di partenza siano istituzioni troppo protettive, che devono essere contenute. Ma in realtà le istituzioni e le leggi sono progressivamente emerse in un contesto in cui prima non c’era nulla, e non il contrario. Molte di esse sono finalizzate al miglioramento dei rapporti tra datore di lavoro e lavoratore, aumentando la stabilità dei rapporti, diminuendo il costo del monitoraggio e del training dei lavoratori, ecc.
Infine, lo studio presuppone una relazione lineare tra il grado di legislazione e l’impatto sul mercato del lavoro. Ma ricerche precedenti hanno già dimostrato che sia legislazioni eccessive sia legislazioni insufficienti sono problematiche per la produttività, l’efficienza e l’occupazione.
In quest’ottica, la legislazione di più alta qualità non è la minima possibile, bensì quella che bilancia la necessità di assicurare un trattamento ragionevole e un reddito sicuro per i lavoratori con la necessità delle aziende di poter variare il proprio personale.

CONCLUSIONI

Gli autori concludono di conseguenza che i lavori del FMI sono viziati da gravi carenze e non possono essere considerati una base per chiarire i legami tra la legislazione del mercato del lavoro, le sue riforme e la disoccupazione. Al contrario, rischiano di incoraggiare i politici a implementare riforme dure e mal congegnate riguardo a questioni politicamente importanti con conseguenze di vasta portata sul piano economico e sociale.
Le uniche conclusioni significative degli studi riguardano gli indicatori sulla leva obbligatoria e sulle regole di assunzione e licenziamento. Ma, proseguono gli autori:

Conclusioni basate su queste sole variabili non sono sufficienti né a progettare né a riformare le regole di assunzione e licenziamento né le relative istituzioni. Sono necessarie ulteriori ricerche per comprendere in maniera appropriata il ruolo delle leggi sulle assunzioni e i licenziamenti, così come l’impatto della loro riforma sulla disoccupazione, in particolare in tempi di crisi.

Ulteriori ricerche dovranno quindi disporre di dati migliori, interpretarli con maggiore attenzione, distinguere chiaramente la quantità e qualità della legislazione associata. Sarà inoltre necessario chiarire quali segmenti del mercato del lavoro vengano considerati e quali riforme portino reali benefici.
In altre parole, tutte le raccomandazioni di deregolamentazione dei mercati del lavoro basate su questi studi si rivelano prive di fondamento, e l’impatto di tali deregolamentazioni è tuttora da chiarire e non può essere assunto come benefico già in partenza.
Nota: il paper ricorda anche che l’autrice ha contattato uno degli autori del FMI, Davide Furceri, che le ha procurato la lista di riforme identificata da uno dei lavori del FMI, oltre ad alcuni commenti all’articolo. Davide Furceri e i suoi coautori hanno riconosciuto che non erano a conoscenza delle interruzioni di dati nelle serie da loro usate, o dei problemi relativi all’ Indice della Banca Mondiale di Assunzione dei Lavoratori.

Commento al paper di Malachia Paperoga

http://vocidallestero.blogspot.it/2014/10/deregolamentare-il-mercato-del-lavoro.html

Foto: Deregolamentare il mercato del lavoro: Quanto sono affidabili le analisi delle recenti ricerche FMI?

Mentre in Italia il governo spinge per deregolamentare il mercato del lavoro attraverso il “jobs act”, l’International Labour Organization sgretola la base accademica di questo tipo di riforme. Le ricerche del Fondo Monetario Internazionale che sostenevano l’opportunità, quando non la necessità, di tali riforme si rivelano viziate da molti difetti. Viene così confermato che rendere più facili i licenziamenti non produce aumenti dell’occupazione, nonostante il concetto suoni così piacevolmente controintuitivo.

La ricercatrice Mariya Aleksynska analizza i recenti lavori pubblicati dal Fondo Monetario Internazionale a sostegno delle riforme del mercato del lavoro e di una sua deregolamentazione al fine di ridurre la disoccupazione. Dall'analisi, emergono però diversi errori. Vediamo le parti salienti del testo.

"In una serie di lavori recenti del FMI, Bernal-Verdugo, Furceri e Guillaume (2012a, 2012b), Crivelli, Furceri e Toujas-Bernaté (2012), e Furceri (2012) indicano di aver trovato una forte evidenza che mercati del lavoro flessibili siano associati negativamente con la disoccupazione (ossia all’aumentare della flessibilità diminuirebbe la disoccupazione, ndVdE) e associati positivamente con l’elasticità dell'occupazione, e che riforme a largo spettro delle istituzioni del mercato del lavoro nella direzione della flessibilità potrebbero contribuire alla riduzione della disoccupazione. Sulla base di questa evidenza, essi impostano delle raccomandazioni sulla natura delle riforme che andrebbero realizzate per ridurre la disoccupazione, e su come queste riforme dovrebbero essere articolate con altre istituzioni del mercato del lavoro. Come mostrato qui sotto, queste conclusioni vanno di pari passo con alcune raccomandazioni dell’FMI riguardo la deregolamentazione.

Alla luce dell’importanza di questi risultati, questo testo procede con un controllo dei dati e delle metodologie usate per arrivare alle analisi di cui sopra, e trova in esse molte carenze significative.

In primo luogo, la maggior parte delle analisi si basa sull’indicatore composto di Fraser (2010) sulla flessibilità (o le sue componenti) del mercato del lavoro, il quale a sua volta si basa principalmente sull’Indice della Banca Mondiale sull'Impiego di Lavoratori. Nonostante la Banca Mondiale abbia sospeso l’uso di questo indice a causa delle sue importanti carenze concettuali (Banca Mondiale, 2009, 2013°), esso viene comunque usato da Fraser.

In secondo luogo, i dati di Fraser contengono interruzioni importanti nelle serie temporali a causa di cambiamenti metodologici nella raccolta dei dati e a causa di aggregazioni di dati improprie. Bernal-Verdugo, Furceri e Guillaume (2012a) utilizzano il metodo di interpretare le interruzioni nelle serie dei dati come processi di riforma, anziché lavorare con una lista di riforme effettivamente avvenute. Una volta che le interruzioni nelle serie di dati vengono tenute in conto, la maggior parte delle riforme identificate non può più essere riprodotta.

Inoltre, diversi processi di riforma effettivamente avvenuti non vengono identificati dai dati di Fraser, e la metodologia usata per identificare le riforme nei dati (ibid) non permette di stabilire lo scopo e la portata delle riforme stesse.

Infine, è possibile mettere in discussione l’approccio complessivo, che valuta la “qualità” delle istituzioni del mercato del lavoro identificandola con la “flessibilità”, un approccio comune in tutti i lavori considerati. I risultati presentati in questo testo mettono in discussione la maggior parte dei risultati empirici dei 4 lavori del FMI e di conseguenza i consigli per le politiche economiche che su di essi si basano.

In particolare, Bernal-Verdugo, Furceri and Guillaume (2012a) indicano che “le riforme del mercato del lavoro [nella direzione della flessibilità] sono associate con una diminuzione della disoccupazione di circa ¾ di punto percentuale nel medio termine, una percentuale simile in termini assoluti all’aumento della disoccupazione associato alle crisi bancarie.” Essi sostengono anche che “l’impatto positivo delle riforme del mercato del lavoro è particolarmente importante sui giovani”. Sullo stesso tenore, Bernal-Verdugo, Furceri and Guillaume (2012b) indicano che “aumenti nella flessibilità di regole e istituzioni del mercato del lavoro hanno un impatto significativo sulla diminuzione sia del livello sia della tendenza della disoccupazione”. Crivelli, Furceri and Toujas-Bernaté (2012) indicano che “politiche strutturali volte a incrementare la flessibilità del mercato del lavoro e dei prodotti [in Algeria] possono avere effetti importanti sulla riduzione della disoccupazione sia nel breve sia nel medio periodo. In questo contesto, le riforme volte a ridurre i costi di ricerca e assunzione del personale sono particolarmente importanti per integrare i giovani lavoratori esclusi dal mercato del lavoro”.

Queste raccomandazioni di politica economica sono molto importanti in un momento in cui la disoccupazione è superiore al 25% in Grecia e in Spagna e superiore al 16% in Portogallo, con una situazione ancor peggiore per i giovani, con tassi sopra al 50% in Spagna e Grecia e quasi al 40% in Portogallo (ILO, 2013; 2014). In questi e altri paesi, la deregolamentazione del mercato del lavoro è stata al centro dell’agenda politica, e la flessibilizzazione è stata uno dei punti chiave dei consigli di politica economica del FMI (Blanchard et al., 2013). Le riforme volte alla flessibilizzazione del mercato del lavoro sono anche sistematicamente entrate nei programmi di assistenza del FMI. Esempi a riguardo sono la Grecia, con le condizioni dei prestiti legate all’incremento nella flessibilità dei salari, alla riduzione del salario minimo, e al rendere l’orario lavorativo più flessibile (IMF, 2011a); e il Portogallo, le cui condizioni dei prestiti vennero legate alla riduzione del TFR e alla revisione della definizione di “licenziamento per giusta causa” (IMF, 2011b).

Tutti i lavori qui considerati contengono una nota che precisa che essi non rappresentano il punto di vista del FMI o la politica del FMI. Nonostante ciò, è evidente che alcune delle ricerche e dei consigli del FMI si sono basati su linee di ragionamento simili a quelle dei lavori considerati. Per esempio IMF (2012b) fa riferimento all’analisi che mostra che siccome “le riforme strutturali ottengono gradualmente i risultati, […] i cambiamenti al mercato del lavoro e alle pensioni, dovrebbero essere implementati senza indugio”. Bernal-Verdugo, Furceri, and Guillaume (2012a) prevedono risultati simili, mostrando che le riforme del mercato del lavoro possono ridurre la disoccupazione nel medio termine. Più recentemente, in una pubblicazione molto pubblicizzata, IMF (2014) consiglia riforme della legislazione in materia di tutela della disoccupazione nei Balcani citando, tra altri, Bernal-Verdugo, Furceri, and Guillaume (2012b). Per quel che riguarda l’Algeria, i report dello staff del FMI per la consultazione riguardo l’articolo IV del 2011 conclude che “le riforme dovrebbero tendere a […] rendere il mercato del lavoro più flessibile (IMF, 2012a)."

Il paper analizza poi nel dettaglio gli errori contenuti nei lavori del FMI: l’incompletezza degli indici utilizzati, la ridondanza con cui vengono tenuti in conto alcuni fattori (che quindi assumono un peso eccessivo) e la discutibilissima aggregazione tramite brutale media di indicatori differenti (alcuni basati su dati, alcuni su sondaggi d’opinione). Inoltre, vengono interpretati come “riforme” variazioni significative degli indici di flessibilità dei mercati. Ma in molti casi queste variazioni sono frutto di interruzioni nelle serie di dati. In uno dei lavori, più di metà di quelle che vengono chiamate “riforme” sono in realtà interruzioni nelle serie di dati. In molti altri casi, il metodo utilizzato non identifica invece vere riforme che hanno profondamente inciso sul mercato del lavoro, per esempio in Polonia, Croazia e Lituania, nonostante questi paesi fossero compresi nelle analisi per i periodi in cui le riforme sono avvenute. Per non parlare del fatto che lo studio non si interessa di identificare il contenuto e la portata delle riforme stesse.
L’indicatore composito di Fraser che viene utilizzato, è derivato da 6 variabili. Non sempre i dati di tutte e 6 sono disponibili però, e quindi alcune volte l’indicatore composito viene calcolato sulla base di sole 4 o 5 variabili, il che rende traballante la sua significatività.
Infine, i lavori stessi danno per scontato che riforme “di qualità” sia sinonimo di riforme ”verso la flessibilità”. Questa è una visione distorta dell’argomento, come dice l’ILO:

"Questo punto di vista è sorprendente per 3 ragioni. In primo luogo, stabilendo che istituzioni “più flessibili” sono per forza “migliori”, si confonde l’analisi della quantità con quella della qualità, e si presume che i paesi con una legislazione del mercato del lavoro inesistente siano quelli con la migliore qualità. Invece di focalizzarsi sulla dicotomia tra “rigido” e “flessibile”, la valutazione della qualità dovrebbe focalizzarsi su aspetti come l’adeguatezza della legislazione del lavoro, la sua aderenza ai principi fondamentali dei diritti civili (Sari and Kucera, 2011) e agli standard minimi internazionali (Berg and Cazes, 2008), al loro grado di applicazione ed applicabilità (Bertola et al., 2000), al loro grado di copertura di tutti i lavoratori e alla consapevolezza della loro esistenza tra i lavoratori stessi (Lee and McCann, 2011), o la loro importanza in presenza di economie molto informali. Tutti questi elementi sono molto rilevanti in particolare nei mercati in via di sviluppo. Sfortunatamente, questi concetti sembrano assenti sia nei dati di Fraser del 2010, sia nelle analisi contenute nei lavori del FMI."

Inoltre l’ILO sottolinea che l’analisi FMI dà per scontato che il punto di partenza siano istituzioni troppo protettive, che devono essere contenute. Ma in realtà le istituzioni e le leggi sono progressivamente emerse in un contesto in cui prima non c’era nulla, e non il contrario. Molte di esse sono finalizzate al miglioramento dei rapporti tra datore di lavoro e lavoratore, aumentando la stabilità dei rapporti, diminuendo il costo del monitoraggio e del training dei lavoratori, ecc.
Infine, lo studio presuppone una relazione lineare tra il grado di legislazione e l’impatto sul mercato del lavoro. Ma ricerche precedenti hanno già dimostrato che sia legislazioni eccessive sia legislazioni insufficienti sono problematiche per la produttività, l’efficienza e l’occupazione. 
In quest’ottica, la legislazione di più alta qualità non è la minima possibile, bensì quella che bilancia la necessità di assicurare un trattamento ragionevole e un reddito sicuro per i lavoratori con la necessità delle aziende di poter variare il proprio personale.

CONCLUSIONI

Gli autori concludono di conseguenza che i lavori del FMI sono viziati da gravi carenze e non possono essere considerati una base per chiarire i legami tra la legislazione del mercato del lavoro, le sue riforme e la disoccupazione. Al contrario, rischiano di incoraggiare i politici a implementare riforme dure e mal congegnate riguardo a questioni politicamente importanti con conseguenze di vasta portata sul piano economico e sociale.
Le uniche conclusioni significative degli studi riguardano gli indicatori sulla leva obbligatoria e sulle regole di assunzione e licenziamento. Ma, proseguono gli autori:

Conclusioni basate su queste sole variabili non sono sufficienti né a progettare né a riformare le regole di assunzione e licenziamento né le relative istituzioni. Sono necessarie ulteriori ricerche per comprendere in maniera appropriata il ruolo delle leggi sulle assunzioni e i licenziamenti, così come l’impatto della loro riforma sulla disoccupazione, in particolare in tempi di crisi.

Ulteriori ricerche dovranno quindi disporre di dati migliori, interpretarli con maggiore attenzione, distinguere chiaramente la quantità e qualità della legislazione associata. Sarà inoltre necessario chiarire quali segmenti del mercato del lavoro vengano considerati e quali riforme portino reali benefici.
In altre parole, tutte le raccomandazioni di deregolamentazione dei mercati del lavoro basate su questi studi si rivelano prive di fondamento, e l’impatto di tali deregolamentazioni è tuttora da chiarire e non può essere assunto come benefico già in partenza.
Nota: il paper ricorda anche che l’autrice ha contattato uno degli autori del FMI, Davide Furceri, che le ha procurato la lista di riforme identificata da uno dei lavori del FMI, oltre ad alcuni commenti all’articolo. Davide Furceri e i suoi coautori hanno riconosciuto che non erano a conoscenza delle interruzioni di dati nelle serie da loro usate, o dei problemi relativi all’ Indice della Banca Mondiale di Assunzione dei Lavoratori.

Commento al paper di Malachia Paperoga 

http://vocidallestero.blogspot.it/2014/10/deregolamentare-il-mercato-del-lavoro.html

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