domenica 3 dicembre 2017
L’Italia sta andando a pezzi
La stanno smembrando, spezzando, svendendo.
La stanno trasformando in un luogo di dolore, la stanno gestendo in assenza di una guida politica che faccia i nostri interessi, la stanno trasformando in una donna di malaffare, una meretrice in vendita al miglior offerente.
“Ahi serva Italia, di dolore ostello,
nave sanza nocchiere in gran tempesta,
non donna di province, ma bordello!”
Dante Alighieri
Da anni, il processo di deindustrializzazione italiana è all’opera. Vuoi sapere perché la tua famiglia ha avuto un abbassamento di reddito, perché sempre più ragazzi rinunciano perfino a cercare un lavoro, perché sempre più imprese chiudono e perché sempre più anziani devono pagarsi le medicine?
Perché stanno svendendo il nostro Paese.
A chi e perché?
E’ quanto contenuto in questo articolo.
Unione Europea, Francia e globalizzazione
Da anni vi prendono in giro, usando una parola che suona rotonda, quasi soave: globalizzazione.
Globalizzazione è il contrario di nazionalizzazione. I due termini vengono oggi proposti come antitetici e le logiche sottostanti sembrano opposte. Se leggete i giornali, ascoltate la televisione, vi accorgerete di questa cosa.
Negli ultimi mesi non è passata inosservata la decisione della Francia di nazionalizzare i cantieri navali Stx, dopo che erano già stati presi accordi tra l’Italia e la Francia stessa per la cessione e Fincantieri aveva rilevato all’asta i due terzi del capitale del gruppo.
La vicenda si è poi sbloccata con un compromesso, ma l’acquisto totale non è avvenuto.
I vertici francesi hanno spiegato che una delle motivazioni riguardava la tutela degli interessi dei lavoratori.
Bisogna tutelare i lavoratori?
Ma come, Macron, proprio tu, simbolo della Francia del grande capitale, della finanza, dei banchieri, ci vieni a dire adesso che bisogna tutelare i lavoratori?
Ma se per anni – rectius, per decenni – tu e quelli come te ci avete raccontato, in tutte le salse, che la nazionalizzazione e la difesa della moneta e dello stato nazionale sono un male e che l’Unione Europea, l’euro e la globalizzazione sono un bene?
La Francia del Banchiere Macron è un baluardo dell’Unione Europea; quell’Unione Europea anti democratica della quale scriviamo spesso su questo blog, che sposa il pensiero unico neo liberista in economia e la sua visione geo politica, cioè la globalizzazione.
La globalizzazione è un bene! – fanno scrivere ai giornalisti prezzolati da anni.
La globalizzazione è il futuro, è il progresso! – fanno eco i benpensanti sui “giornaloni” italiani, detenuti dal potere economico e finanziario estero vestito, spesso multinazionale.
L’Europa deve essere globale, perché solo uniti si risponde alle sfide globali! – chiosano i soloni sulle pagine di tutte le testate economiche e politiche italiane, da decenni.
E poi, mentre noi italiani abbiamo ceduto la testa a queste imposizioni basate su falsità mediatiche e stupidaggini economiche, proprio la Francia di Macron, del grande capitale bancario, nazionalizza?
Scusate, Macron, ma tu e gli altri come te non eravate gli europeisti convinti, i liberisti, quelli a favore del libero mercato e delle sfide globali?
Due pesi e due misure
Eh, ma nell’Europa “Unita” ci sono sempre due pesi e due misure.
“Tutti gli animali sono uguali,
ma alcuni sono più uguali degli altri.”
Lo scriveva già George Orwell, nella “Fattoria degli animali”, metafora della realtà umana.
Francia e Italia sono due Paesi con eguali diritti nell’Unione Europea, ma la Francia è più uguale.
Negli anni passati, in Italia le dinamiche sono state profondamente diverse, con decine di aziende eccellenti – rappresentative del Made in Italy – cedute ed acquistate a prezzo di saldo da parte di multinazionali estere. Questo ha impattato in modo assolutamente negativo sull’occupazione e sulla creazione di ricchezza interna, senza che i vertici italiani se ne preoccupassero in alcun modo.
Ogni operazione di questo tipo veniva nascosta dietro ad un termine: globalizzazione.
I nostri giornali, i quotidiani economici e politici, tutti gli organi di informazione di radio e televisioni vi hanno, per anni ed anni, fatto sentire dei retrogradi se non vi riempivate la bocca di questa parola. In realtà, si trattava di un uso della comunicazione tipico del regime totalitario nel quale viviamo, quello dell’Unione Europea.
Lo scopo era creare nel pubblico il seguente abbinamento mentale, a livello inconscio.
Globalizzazione = Progresso
Del resto, a parere degli esperti in comunicazione, suonava meglio che dire globalizzazione uguale ad escremento.
L’Italia prostituta
Per la precisione, solo alcuni italiani, in cambio di brillanti carriere a capo di organizzazioni politiche e finanziarie internazionali, si sono rivelati donne di bordello, come scriveva il nostro illustre conterraneo, il sommo poeta.
Costoro sapevano benissimo – come lo sapevano tutti gli economisti intellettualmente onesti – che inserire il nostro Paese in un sistema a cambi fissi (l’Euro) avrebbe distrutto la nostra competività industriale. Non potendo più svalutare, la sola via era quella della deflazione salariale, cioè della competitività difesa con l’abbassamento del reddito da lavoro, via deficiente, poiché deprime la domanda interna.
Ma loro, i soloni, vi hanno per anni detto un altro mantra neo liberista.
Bisogna esportare
Facendovi credere che un Paese possa, con questa frase da bar, gestire la propria bilancia dei pagamenti, in luogo di un normale processo di sostegno – mediante investimenti privati e pubblici – della domanda interna del Paese.
Opposte teorie, entrambe convincenti! – blatererà il neo liberista di turno.
No, caro signore, perché le teorie sono dimostrate dai fatti.
E allora, abbiamo dato incarico al Centro Studi WIN the BANK di fare una piccola ricerca; in questo articolo pubblichiamo i risultati.
Per citare alcune delle più grandi operazioni recenti che hanno riguardato l’industria alimentare e prodotti che tutti conosciamo:
Baci Perugina, Antica Gelateria del Corso, Buitoni, San Pellegrino acquistate dalla Svizzera Nestlè;
Salumi Fiorucci venduta agli spagnoli nel 2011;
Peroni venduta alla sudafricana Sabmiller nel 2003;
Riso Scotti acquistato in parte da una multinazionale spagnola;
Eridania Italia Spa venduta ai francesi;
Del Verde Industrie Alimentari Spa vendute ad un gruppo argentino nel 2008;
Carapelli ceduta agli spagnoli nel 2011;
Star venduta ancora agli spagnoli dal 2006 in poi.
Torroni Sperlari e caramelle Saila vendute agli svedesi nel 2013 e ai tedeschi nel 2017
Non vi basta?
Allora, vediamo altri esempi di come in pochi anni sia stato distrutto il nostro sistema industriale, per compiacere alle carriere personali, politiche e finanziarie, di pochi italiani, mediante l’ingresso nel sistema a cambi fissi che avrebbe dichiaratamente distrutto l’Italia: l’Euro.
Le cessioni hanno riguardato anche altri settori:
Wind Telecomunicazioni vendute nel 2005 ad un gruppo egiziano, passate poi ai russi;
Acciaierie Lucchini Spa vendute ai russi nel 2005;
Gucci e Bottega Veneta ai francesi;
Valentino in Qatar;
Poltrona Frau ceduta agli americani;
Italcementi acquistata dai tedeschi di Heidelberg Cement nel 2015.
La lista sarebbe molto più lunga, ma con queste siamo certi di aver reso l’idea.
Ma è convenuto privatizzare?
A chi è stato premiato dal regalo, certamente.
Ai cittadini, certamente no.
Fino ad oggi, ero uno dei pochi ad affermarlo. Lo facevo, dalle pagine di questo blog, conscio delle mie antiche colpe. Negli anni ’90, avevo ingenuamente creduto, come molti della mia generazione formati alle scuole di economia nate in epoca del neo liberismo, allo slogan:
Privato è bello, Pubblico è male
Chiedo pubblicamente scusa a tutti i miei lettori: all’epoca votai in Parlamento a favore delle privatizzazioni. A mia sola discolpa posso dire che lo feci ingenuamente, armato della mia inesperienza e con la testa indottrinata da maestri sbagliati, quando avevo ancora le braghette corte.
Anni dopo, mi pentii amaramente, quando mi accorsi del male che avevo fatto al popolo. Da allora, vado raccontando di tale errore, perché ho cambiato opinione. Solo gli imbecilli e i disonesti non cambiano opinione, di fronte all’evidenza del male. I primi perché non capiscono, i secondi per convenienza.
Fino a ieri, ero uno dei pochi economisti che scriveva da questo blog che le privatizzazioni erano funzionali al disegno neo liberista di agganciare l’euro, ma che il prezzo da pagare, per l’Italia, era stato altissimo. Le privatizzazioni sono costate allo Stato italiano, cioè a tutti noi, un patrimonio, e l’Italia, per entrare nell’Euro, ha pagato un conto salatissimo e poco noto.
Questo, scrivevo, dicendo che le manovre neo liberiste sono state un guadagno per pochi, ma una perdita per il Paese.
Oggi, lo ammette perfino il quotidiano La Repubblica.
Quanto rende investire in azienda in Italia?
Naturalmente, ci sarà – come sempre – colui che contesterà questo articolo, dicendo che ci sono altre spiegazioni, altre cause o concause.
Tutte le scuse sono immaginabili.
Sta di fatto che ci hanno prospettato l’Euro come un posto in cui avremmo lavorato un giorno in meno e guadagnato come sa avessimo lavorato un giorno di più.
A distanza di anni, le teorie sono tutte discutibili, ma i dati economici non lo sono. L’impresa italiana è andata meglio o peggio? Soprattutto, investire in una impresa italiana rende ancora come una volta?
Quanto conviene fare l’imprenditore in Italia?
È interessante vedere alcune cause e conseguenze che potrebbero aver portato a tutto ciò, attraverso l’utilizzo di grafici che esprimano indicatori rilevanti.
Il forte cambiamento del sistema economico e un insieme di azioni successive alla nascita dell’Unione Europea hanno portato a quella che oggi viene definita erroneamente “crisi economica”, i cui riflessi sono visibili da svariati punti di vista.
Partendo dall’osservazione dei dati di bilancio di 2060 grandi e medie imprese italiane, presentati da una ricerca del Centro Studi Mediobanca 2016, si può notare come la redditività di queste sia ai minimi storici.
Il Centro Studi WIN the BANK ha preso due indicatori di bilancio, fondamentali per dare una risposta, e cioè il ritorno sugli investimenti e il ritorno sul capitale investito dall’imprenditore.
Se consideriamo il ROI (Return On Investment) e il ROE (Return On Equity) l’andamento è fortemente negativo dal 2006 al 2015. Dal grafico elaborato dal Centro Studi WIN the BANK si dimostra come il ROI ed il ROE, espressi in termini percentuali, siano in forte calo rispetto ai valori che avevano assunto nel 2006: questo implica che le imprese non riescano a generare ricchezza e remunerare gli investitori come in passato, con una crescente perdita di valore.
Fonte: elaborazione Centro Studi WIN the BANK
Non so voi, ma a noi pare non una lieve discesa, ma un tracollo.
In dieci anni, hanno distrutto la redditività dell’impresa italiana.
L’Italia è fallita per salvare la Germania
Ma, come nel libro di Orwell, ci sono i maiali più maiali degli altri.
Quale era lo Stato Europeo con il maggior numero di fallimenti?
Sapete rispondere, cari neo liberisti amanti del libero mercato e della globalizzazione? E sapete rispondere alla domanda su quale Paese abbia più perso in termini di fallimento e quale paese invece si sia salvato dal processo anti democratico e illiberale che sarà giudicato dalla storia con il nome di processo di integrazione europea?
Il Centro Studi WIN the BANK vi fornisce la risposta, con i numeri ufficiali.
Se confrontiamo poi il numero di imprese fallite nei principali Paesi Europei, lo studio mette in luce i seguenti dati.
Fonte: elaborazione Centro Studi WIN the BANK
Oh, sorpresa!
La virtuosa Germania era quella con il più alto numero di fallimenti?
E dopo crollano i fallimenti in Germania ed esplodono in Italia?
Eh, sì.
Questo dicono i dati del grafico.
Analizzando il dato con le dovute proporzioni tra i diversi Paesi coinvolti, si può notare come la Germania abbia sensibilmente diminuito il numero di imprese fallite, a differenza di quanto avviene negli altri Paesi Europei. Il trend appare in diminuzione negli ultimi anni in Spagna, stabile in Francia e Regno Unito, e assolutamente in aumento in Italia, dove il dato triplica in poco più di 7 anni.
In 7 anni in Italia si triplica il fallimento del sistema impresa!
La maggior debolezza delle imprese e la loro scarsa redditività le espone infatti al fallimento, con precedente o conseguente facilità di acquisto da parte di aziende estere, qualora queste vedano potenzialità rilevabili a prezzo di saldo.
Perché il disegno era chiaro… ===> … comprarle a prezzo di saldo!
Comincia a chiarirsi il disegno, ora?
Hanno buttato la gente in mezzo alla strada
Ma come sarebbe?
Per decenni ci hanno indottrinato, spiegandoci che l’Europa Unita (1992) avrebbe ambiato il mondo e che l’Euro (2002) avrebbe reso i cittadini di quel mondo, senza più barriere valutarie, liberi di circolare, di girare, di spendere e di spandere la loro rinnovata ricchezza.
Spendere con quali soldi?
Ciò che non hanno spiegato alla gente è che non conta la valuta con la quale spendi, ma se hai un reddito che la produce. Quel reddito – con buona pace dei politici demagoghi che parlano di reddito di cittadinanza – si produce solo in un modo, nel lungo termine, in un sistema economico stabile:
Con il lavoro (doverosamente retribuito)!
Al contrario, presto entreremo in un’epoca nella quale, con altro lavaggio del cervello mediatico, i banchieri internazionali convinceranno milioni di persone che hanno perso il lavoro di poter vivere di sussidio statale, come nel tempo dell’antica Roma. Panem et circenses, dicevano i latini.
Basta dare al popolino il pane (oggi versione del reddito di cittadinanza) e gli spettacoli (oggi versione mediatica della televisione spazzatura).
L’importante (pensano i banchieri internazionali)…
… è che la gente non pensi.
Se la gente pensasse, capirebbe che dipendere dall’elemosina del banchiere rende le persone schiave, e non libere di decidere. Una persona libera è solo una persona indipendente dal lato economico e una persona indipendente non vive di elemosina statale, ma del proprio libero lavoro, doverosamente retribuito per il suo valore.
Se la gente pensasse, pretenderebbe il lavoro, non l’elemosina.
Ma questo è il punto che loro non vogliono: il lavoro si crea solo se si tutelano le imprese, in un sistema economico diverso da quello dell’economia a cambi fissi nella quale ci hanno condannato.
Si sta meglio o si sta peggio?
Le teorie non contano, se si esaminano i numeri. Noi non esponiamo delle opinioni, ma delle tesi sostenute dai dati economici. Il Centro Studi WIN the BANK pubblica i dati del lavoro in Italia; vediamo come l’Italia, a livello di Paese, abbia guadagnato nelle politiche neo liberiste e di globalizzazione, volute dall’Unione Europea, nell’ultimo decennio.
L’articolo si apriva citando la volontà della Francia di salvaguardare i posti di lavoro. È inutile dire che una situazione del genere, in Italia porta a questo:
Fonte: elaborazione Centro Studi WIN the BANK
Bello, anche questo trend, non è forse vero?
Il numero di occupati nelle grandi e medie imprese analizzate dalla ricerca è in sensibile calo dal 2006 al 2015; pertanto le difficoltà economiche delle imprese si manifestano in veri e propri disagi sociali, con crescente disoccupazione che genera un circolo vizioso.
Ora, noi andiamo controcorrente, e scriviamo cose che ci attireranno critiche, perché non viviamo di like e non siamo demagoghi politici che vivono di voti (e quindi devono mentire, al fine di tornare con il deretano sullo scranno in Parlamento).
Questo è un blog libero, non pagato da nessuno, finanziato da chi scrive con il proprio libero tempo e libero denaro derivante dal nostro lavoro, che non chiede un euro al lettore. Quindi, dato che siamo persone di libero pensiero e non rispondiamo a nessun editore, a nessun padrone privato o pubblico e a nessun partito o movimento politico, diciamo anche cose che obbligano la gente a pensare.
Le diciamo, anche se possono essere sgradite, per al sola ragione che diciamo ciò che pensiamo.
E ora, pubblichiamo la teoria di WIN the BANK sul “Circolo vizioso reddito/pensiero”.
Fig. 1 – Il circolo vizioso reddito pensiero
Divide et impera
Dividi e comanda, recita un altro adagio latino.
Del resto, molti conoscono anche la frase “mors tua, vita mea” (muori tu, vivo io).
E’ esattamente questa, la logica paradossale che si nasconde dietro gli inganni del diavolo.
“Il più grande inganno del diavolo
è stato far credere al mondo che lui non esiste.”
(“I soliti sospetti”, cit.)
Da anni, tutti gli organi di informazione al servizio del pensiero unico in economia, il neo liberismo, fanno credere agli italiani che sia colpa loro se l’Italia va male, e non del sistema economico nel quale sono stati a forza e illegalmente – perché in assenza di voto democratico – cacciati.
Ora pubblichiamo una delle tesi fondanti di questo blog.
Non esiste nessuna crisi,
ma solo un cambiamento deliberato e pianificato di sistema economico.
Naturalmente, ci sarà chi contesta anche questa affermazione.
Come sempre, noi rispondiamo con i numeri, con i dati economici, alle opinioni.
Se compariamo l’andamento di tale dato tra Italia e Germania, nel medesimo periodo, la situazione è inequivocabile.
Rispondete a questa domanda: dieci anni fa quale Paese aveva maggiore disoccupazione?
L’Italia o la Germania?
Rispondiamo anche a questo con i dati della ricerca del Centro Studi WIN the BANK.
Nel 2006 la disoccupazione in Germania era molto più elevata, quasi doppia rispetto all’Italia, ma dopo la cosiddetta “crisi”, dal 2008 si assiste ad un ribaltamento dello scenario, con un divario nettamente crescente negli anni successivi.
Non esiste nessuna discussione possibile…
… in un sistema a cambi fissi (euro) la retta rossa crolla (Germania)
e quella Blu esplode (Italia).
La spiegazione è che un sistema economico che ha salvato un Paese ha distrutto un altro, perché era adatto alla prima e non alla seconda economia e perché non esiste alcun meccanismo di compensazione, di eguaglianza, di sussidiarietà, di trasferimento di ricchezza tra i cittadini.
Esiste l’Europa, ma non il cittadino europeo.
Ci sono cittadini di serie A e quelli di serie B.
Insomma, gli animali sono tutti uguali ma i maiali sono più uguali degli altri. Si salvano alcune imprese (in alcuni Paesi), altre falliscono (in altri). Alcuni hanno più lavoro, altri vanno a casa.
Dall’articolo si capisce quindi che le imprese costituiscono un motore propulsivo fondamentale per il Paese, ed in particolar modo quelle di piccola dimensione, in assoluto tra le più diffuse in Italia. L’attenzione generale sembra però non considerarle, non pensando ai diversi risvolti che la cessione di queste a compagini estere potrebbe avere.
Così, mentre gli altri Paesi (come la Francia e la Germania) proteggono le loro realtà industriali, il nostro china la testa di fronte alle richieste – assurde – provenienti dall’Europa in termini di divieto di aiuti di Stato e inni di lodi sperticate alla globalizzazione.
E così pochi italiani, in assenza di qualsiasi processo democratico, hanno svenduto, come puttane, il nostro corpo industriale a prezzi di saldo.
Questo, ormai, si studierà un giorno sui libri di storia.
Ma il futuro?
Il disegno futuro
Le prime fasi di un processo decennale sono state ormai completate.
Il tessuto industriale è ormai irrimediabilmente perso, ma l’Italia fa gola agli speculatori stranieri perché ha una ricchezza quasi millenaria. L’Italia, dai tempi di Dante col quale abbiamo iniziato questo articolo, ha inventato la più grande rivoluzione economica di tutti i tempi, concependo un concetto rivoluzionario:
La banca
L’invenzione della banca, a differenza di ciò che pensa l’avvinazzato ignorante, un tempo dedito ad annoiare i suoi pari al bar ed oggi – come insegna il compianto Umberto Eco – tutta l’umanità su facebook, ha consentito il progresso dell’Umanità.
Si badi bene, non solo il progresso economico, ma anche quello culturale, filosofico, artistico, delle arti, delle scienze e delle professioni.
Se non fosse stato per questa invenzione, tutta italiana, probabilmente voi lettori sareste, come noi, ancora servi della gleba (poiché statisticamente erano pochi i membri del clero e dell’aristocrazia guerriera).
Senza quell’invenzione, non ci sarebbe stato il Rinascimento e tutto ciò che ne è conseguito, nei secoli.
E ora, oggi, l’Italia ha ancora un ricco e sviluppato sistema bancario e soprattutto uno dei tassi di risparmio più significativi, anche per via della cultura tipica del nostro Paese (ben diversa da quella dei Paesi continentali e anglosassoni).
Mettere le mani sul sistema bancario italiano e sul nostro risparmio
è il prossimo obiettivo della speculazione internazionale.
Per farlo, useranno le armi che già hanno usato in passato, come il terrorismo mediatico sul debito pubblico, il fantasma del rating, dello spread ed altri inganni.
Vedrete; nel prossimo anno ritorneranno a colpire gli italiani con quelle solite e altre nuove paure, artificialmente costruite, ai loro fini.
La situazione analizzata in questo articolo si ripeterà domani per il sistema bancario: se analizziamo infatti i medesimi dati, il processo si avvia verso gli stessi risvolti. Se le conseguenze nel caso delle imprese industriali sono state estremamente gravi, ma quando sarà il momento della cessione del sistema bancario le conseguenze saranno ancora peggiori, in quanto è imprescindibile avere il controllo del sistema bancario per garantire lo sviluppo del Paese.
Saranno loro, a gestire la ricchezza per pochi e l’elemosina per molti.
La comparazione di quanto avvenuto nel sistema industriale e di quanto invece sta avvenendo ed avverrà nel caso del sistema bancario, sarà oggetto di un prossimo articolo.
Ecco, dove vogliono arrivare.
Una volta che ci saranno in Italia non più di cinque od otto banche, secondo le nostre stime, nell’arco di uno o massimo due lustri, il disegno del diavolo sarà completo.
Basterà fare altre norme sulle fusioni obbligatorie (come quelle sulle banche popolari) per legge, basterà invocare una presunta stabilità del sistema, basterà distruggere la voce del pluralismo.
Avrà, in quel momento, in mano il nostro Paese.
Non ci hanno lasciato molti modi per protestare, perché la maggioranza degli organi di informazione non può scrivere queste cose, che sanno tutti gli addetti ai lavori di libero pensiero.
A voi, lettori, il diritto di scegliere se, con un semplice gesto del dito di una mano, condividerlo in internet.
Finché – sia chiaro – non interverranno con qualche legge europea per la censura sulla rete.
Per il vostro bene, diranno.
Un articolo di Valerio Malvezzi e Alberto Bastiani
http://www.winthebank.com/attualita/litalia-sta-andando-a-pezzi/
http://altrarealta.blogspot.it/
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