di Cristiano Tinazzi
Ha scelto Mosul, e la Grande Moschea, per mostrarsi in pubblico e parlare a tutti i musulmani, Abu Bakr Al Baghdadi, il capo supremo dell'Isis, apparso ieri per la prima volta in un video girato venerdì nel corso della consueta preghiera islamica.
E lo ha fatto, a neanche una settimana dall'inizio del Ramadan, non più col nome di battaglia con il quale abbiamo imparato a conoscerlo negli ultimi mesi, ma da Califfo, il califfo Ibrahim, così come si è autodefinito la scorsa settimana, dopo la proclamazione del Califfato islamico da Diyala ad Aleppo.
Il video diffuso on line attraverso Al Furqan, il ramo del gruppo incaricato della comunicazione su internet e sui social network, mostra Al Baghdadi, in abito e turbante nero, salire sul pulpito della moschea di Al Nouri e rivolgersi ai musulmani invocando «dignità, potere, diritti e leadership», chiedendo loro fedeltà e ribadendo il suo ruolo di capo.
Visto il mistero che lo ha protetto finora non è certo che si tratti realmente di lui, nonostante fonti dell'intelligence irachena ne abbiano confermato l'identità. E se è lui, è riuscito a smentire nel modo più efficace la notizia appena diffusa che sosteneva fosse rimasto ferito da un raid aereo. Un’entrata in scena che avrà la conseguenza di rafforzare l’ascesa dell’Isis, le milizie sunnite dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante.
http://www.ilmessaggero.it//PRIMOPIANO/ESTERI/iraq_vero_volto_califfo_terrore_tutti_devono_obbedirmi/notizie/783960.shtml
«Contro la sharia». La proclamazione di un Califfato preoccupa la comunità islamica che, per stessa ammissione del predicatore egiziano Yusuf al-Qaradawi, a capo dell'Unione mondiale degli Ulema e vicino ai Fratelli musulmani in Egitto, lo considera “haram”, cioè «contro la Sharia». E ovviamente è in ansia anche la comunità cristiana in Iraq. È dei giorni scorsi la notizia del rapimento di due suore e di tre giovani caldei, proprio a Mosul, notizia che Il Messaggero aveva deciso inizialmente di non diffondere su indicazione delle autorità religiose di Erbil.
La grande fuga. E il vescovo di Erbil, monsignor Bashar Warda, ricorda come nel giro di pochi giorni il sobborgo cristiano di Ankawa, nella parte settentrionale della capitale curda, abbia accolto migliaia di cristiani fuggiti da città come Qaraqosh, e da villaggi vicini, nella zona di confine fra Kurdistan e Iraq. «È stato davvero duro ricevere più di ventimila persone in tre giorni», dice il vescovo, anche perché «le risorse della Chiesa sono limitate».
Cristiani che temono che si ripetano gli eccidi già compiuti dall'Isis e che non hanno alcuna fiducia nel governo centrale e nella sua capacità di proteggerli. Anche se, oltre al rapimento di Mosul, non si hanno notizie di violenze contro i cristiani in questi ultimi giorni, se non di due episodi di razzia in altrettante chiese.
Qui in Kurdistan, invece, la situazione è diversa grazie ai Peshmerga che, oltre a contrastare l'avanzata dei miliziani dello Stato Islamico, nelle ultime ore hanno cominciato a tracciare nuovi confini con barriere di cemento e filo spinato, annettendo Ninive e Tamim, nella provincia di Kirkuk e Diyala.
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