Rispondo con questo articolo alla domanda di molti lettori che cercano una spiegazione concreta, o quantomeno verificabile, da contrapporre al comune sentito dire, che oscilla tra mito e realtà. Per ottenere maggiore flessibilità nelle regole di bilancio nazionale è necessario proporre modifiche ai trattati europei, che consentano di superare i vincoli comunitari imposti agli Stati membri. Le possibili modifiche sono regolate dall’articolo 48 del Trattato sul funzionamento dell’Ue, nel quale sono disciplinate due procedure di revisione: quella ordinaria e quella semplificata. La revisione ordinaria parte dalle proposte (progetti) esercitabili da governi nazionali, Parlamento Europeo o Commissione Europea, da sottoporre al Consiglio dell’Unione che potrà decidere di esaminare o meno quanto ricevuto attraverso una convenzione (da convocare), composta da rappresentanti dei parlamenti nazionali, da capi di Stato o di governo degli Stati membri, dal Parlamento e dalla Commissione europei (anche Bce, in caso di modifiche istituzionali nel settore monetario).
I progetti presentati vengono trasmessi dal Consiglio dell’Unione al Consiglio Europeo e notificati ai parlamenti nazionali. Il tutto allo scopo di convocare una conferenza dei rappresentanti dei governi degli Stati membri, per stabilire le modifiche di comune accordo da apportare ai trattati. «Le modifiche entrano in vigore dopo essere state ratificate da tutti gli Stati membri, conformemente alle rispettive norme costituzionali» e, se, nei due anni successivi dalla firma di un trattato che modifica i trattati, uno o più Stati membri non hanno ratificato, tutto è deferito al Consiglio Europeo. Nella procedura di revisione semplificata, invece, è il Consiglio Europeo che delibera all’unanimità, ma la decisione entra in vigore solo previa approvazione degli Stati membri, conformemente alle rispettive norme costituzionali. Inoltre, la procedura semplificata non può essere estesa a modificare le competenze assegnate all’Unione. Ipotizziamo che il nostro governo chieda di riformare i trattati con una procedura di revisione ordinaria, per realizzare politiche economiche espansive. Sottopone il progetto al Consiglio dell’Unione, anche se non ha alcun alleato tra gli altri Stati membri. Il Consiglio dell’Unione lo trasmette al Consiglio Europeo e lo notifica ai parlamenti nazionali.
A seguito di parere favorevole, il presidente del Consiglio Europeo convoca la convenzione. Viene esaminato il progetto e adottata per consenso la raccomandazione alla conferenza dei rappresentanti dei governi degli Stati membri (Cig). Se tutti gli Stati membri ratificano (conformemente alle loro rispettive norme costituzionali), le modifiche entreranno in vigore. Per trasformare quindi le parole in concretezza, quando con facilità si parla di ricevere flessibilità sull’applicazione dei trattati in tema di vincoli di bilancio e politiche economiche e sociali, che consentano di rivedere limiti contabili e di non applicare l’austerity, occorre: 1) essere preparati e competenti, per essere presi in considerazione; 2) proporre modifiche concrete e circostanziate, che possano ricevere parere favorevole; 3) avere l’unanimità da parte degli altri Stati membri. Diversamente è soltanto un’illusione.
(Maria Luisa Visione, “Ma i trattati europei sono modificabili?”, da “Siena Oggi” del 13 marzo 2018. Esperta in educazione finanzaria, Maria Luida Visione opera nell’ambito dell’Università di Siena)
http://www.libreidee.org/2018/03/trappola-ue-per-cambiare-i-trattati-serve-lok-dei-28-stati/
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