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sabato 17 ottobre 2015

IMMIGRAZIONE DI MASSA: LA STRATEGIA DEL CAOS

LA NUOVA STRATEGIA DEL CAOS DEL MONDIALISMO STATUNITENSE
Ci eravamo occupati in precedenza del ruolo degli Stati Uniti e delle centrali mondialiste nel fomentare l’immigrazione di massa come strumento della geopolitica del caos per destabilizzare e tenere sotto l’ombrello della protezione atlantica le province europee dell’impero americano. Approfondiamo ora il discorso analizzando l’evolversi della situazione internazionale. Cominceremo dalla questione greca, facendo un rapido accenno alla tradizionale strategia geopolitica angloamericana, ci concentreremo in particolare sulle origini del Progetto Europeo per dimostrare come l’ondata di sbarchi che sta portando migliaia di clandestini sulle nostre coste sia direttamente collegata all’eurocrisi, per concludere infine con le rivelazioni dei servizi segreti austriaci, che ci forniscono l’ennesima prova che conferma che gli USA sono i responsabili dell’attuale emergenza immigratoria.
INTRODUZIONE
Per prima cosa notiamo come l’ingerenza statunitense nelle trattative tra Grecia e Troika abbia messo pienamente in luce che la vera posta in gioco del Grexit non fosse una questione economica ma geopolitica e come i contendenti in campo non fossero Grecia e Bruxelles ma Washington e Berlino.
Infatti, nonostante gli Usa, durante i negoziati, recitassero la parte dell’osservatore disinteressato, la costruzione europea è sostanzialmente funzionale agli interessi egemonici atlantisti e così come ogni suo allargamento favorisce, attraverso la NATO, l’estensione dell’egemonia statunitense, ogni suo ridimensionamento ne limita il campo d’azione. Per questa ragione Bzrezinski assegnava all’Europa il ruolo di mera “testa di ponte democratica degli Stati Uniti in Eurasia”, sostenendo che:
«Qualunque espansione del campo d’azione politico dell’Europa è automaticamente un’espansione dell’influenza statunitense. Un’Europa allargata e una NATO allargata serviranno gl’interessi a breve e a lungo termine della politica europea. Un’Europa allargata estenderà il raggio dell’influenza americana senza creare, allo stesso tempo, un’Europa così politicamente integrata che sia in grado di sfidare gli Stati Uniti in questioni di rilievo geopolitico, in particolare nel Vicino Oriente»[1].
Da questo punto di vista risultano evidenti le implicazioni che deriverebbero da un’uscita della Grecia dall’Eurozona e da un’eventuale disintegrazione dell’Unione Europea. Tuttavia facciamo un rapido excursus che ci permetterà di inquadrare la questione sotto il profilo storico e di comprendere meglio anche i più recenti fatti di politica estera.
IL CONTROLLO DELL’HEARTLAND
Da oltre un secolo la strategia geopolitica angloamericana consiste nell’impedire con ogni mezzo l’alleanza tra Russia e Germania, che costituisce l’unica seria minaccia alla supremazia planetaria dell’impero talassocratico che un tempo era della Gran Bretagna e oggi degli Stati Uniti. Già Bismarck nell’Ottocento guardava ad Est nella speranza di creare un asse Berlino-Mosca che si sarebbe rivelato invincibile.
Proprio per impedire la creazione di un tale asse, per il teorico della geopolitica britannica, Halford John Mackinder, era indispensabile che la Gran Bretagna si assicurasse il controllo dell’Heartland, ossia della regione eurasiatica compresa tra l’Europa orientale e buona parte dell’Asia, che possedendo la maggior parte di risorse naturali ed essendo inattaccabile dal mare, avrebbe garantito l’egemonia planetaria alla potenza capace di esercitare su di essa la propria influenza.
Quando poi il Kaiser Guglielmo II provò ad affacciarsi ad Est con la ferrovia Berlino-Baghdad la Gran Bretagna fomentò il nazionalismo balcanico per mettere a ferro e fuoco l’Eurasia. Il risultato fu la Prima guerra mondiale[2].
Successivamente, con la Russia fuori gioco dopo la rivoluzione bolscevica finanziata dalle banche di Wall Street – in primis la Kuhn & Loeb di Jakob Shiff, grazie all’intermediazione di Lord Alfred Milner e Sir George Buchanan della Round Table – gli angloamericani riuscirono finalmente a distruggere l’impero zarista e ad assicurarsi il controllo delle vaste risorse della Russia e dell’Heartland.
Tuttavia un nuovo pericolo sorse nel 1938, quando la Germania si annesse l’Austria che apriva direttamente al Reich lo spazio danubiano. Il possesso dello spazio vitale ad Est, il Lebensraum, come affermavano le teorie di Haushofer, avrebbe cambiato gli assetti politici internazionali a favore della Germania. Per fermare il Reich, che nel frattempo aveva raggiunto anche incredibili successi economici e sociali, gli angloamericani scatenarono la Seconda guerra mondiale per soffocare in germe il Nuovo Ordine Europeo, che aveva osato sfidare le oligarchie parassitarie di Londra e Wall Street e il loro sistema usurocratico di dissanguamento dei popoli.
ALLE ORIGINI DEL PROGETTO EUROPEO
Sono proprio queste stesse oligarchie che danno avvio al processo d’integrazione europea, il quale nasce e si sviluppa nel secondo dopoguerra in risposta a delle esigenze precise di natura geopolitica, strategica e militare che gli Stati Uniti si trovarono ad affrontare dopo l’occupazione dell’Europa: impedire la rinascita del nazionalismo tedesco. Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti decisero allora di rendere la Germania economicamente forte ma militarmente e politicamente debole, e per quest’ultimo obiettivo la cessione di parti della sovranità nazionale agli organismi europei sarebbe stata cruciale.
«A Washington avevano colto l’importanza economica, commerciale, politica e militare (in una parola: strategica) di tenere sotto il loro ombrello la parte di Europa che avevano occupato, e che non intendevano mollare. Era imperativo, per stringere d’assedio l’URSS e garantirsi la supremazia mondiale, tenere al guinzaglio l’Europa occidentale […] Lond Hastings Lionel Ismay, primo comandante della NATO, affermava che l’Alleanza atlantica sarebbe servita a tenere l’America in Europa e la Russia fuori, altre che, ben inteso, l’Europa sotto l’Angloamerica […] L’Europa degli Stati Uniti, così ottenuta, si sarebbe qualificata come un ostaggio, una enorme base, testa di ponte foriera di consentire una minaccia diretta all’Unione Sovietica»[3].
Nel 1948 le Fondazioni Ford e Rockefeller finanziarono l’American Committee for a United Europe, con lo scopo di creare una società basata su un socialismo tecnocratico di stampo fabiano, che avrebbe soppiantato gli stati nazionali e segnato la tappa definitiva verso il Governo Mondiale. L’ACUE, il cui presidente era William J. Donovan del’OSS (l’American wartime Office of Strategic Services, che più tardi diventerà la CIA), finanziò il Movimento Europeo, la più importante organizzazione federalista negli anni postbellici. L’idea di federazione è fondamentale per i mondialisti in quanto unione di stati che rinunciano, in parte o in tutto, alla propria sovranità in favore di un’autorità centrale.
Nel 2000 il professor Joshua Paul della Georgetown University ha pubblicato una serie di documenti segreti del Club Bilderberg, che dimostrano come da cinquant’anni la CIA e gli ambienti mondialisti stessero lavorando per creare l’Unione Europea e la moneta unica. Un promemoria, datato 26 Luglio 1950, e firmato da Donovan in persona, dà istruzioni per una campagna atta a promuovere un parlamento europeo pienamente operativo[4].
Inoltre:
«Un promemoria della sezione europea del Dipartimento di Stato americano, datato 11 Giugno 1965, suggerisce al vice-presidente della Comunità Economica Europea, Robert Marjolin, di perseguire l’unione monetaria furtivamente. Vi si raccomanda di soffocare le discussioni fino a quando “l’adozione di tale proposta sarebbe diventata praticamente inevitabile”».
Con la caduta del Muro di Berlino si riaffacciava all’orizzonte per gli angloamericani il rischio che una Germania riunificata potesse ergersi a guida di un’Europa politicamente ed economicamente sovrana, vale a dire sottratta alla poliziesca tutela delle potenze anglosassoni, motivo per il quale erano state già combattute due guerre mondiali. Grazie all’euro le lobby mondialiste potevano disporre di un formidabile strumento di dominio con cui saldare definitivamente la Germania all’Atlantico e imbrigliare l’economia tedesca legandola alle sorti del dollaro, evitando così la nascita di un gigante economico. In questo modo gli Stati Uniti avrebbero reso il sistema UE parte costitutiva di quello nordamericano in vista di un Nuovo Ordine Mondiale fondato sulla supremazia degli USA.
LA NUOVA OSTPOLITIK TEDESCA
Tuttavia in questi ultimi anni sembra essersi prodotta una frattura tra le élite angloamericane e quelle tedesche, i cui interessi sembrano non coincidere più con quelli atlantici. Ci sono buone ragioni per credere che la Germania potrebbe tornare presto alla sua tradizionale Ostpolitik. In un recente articolo apparso su Foreign Affairs, la rivista del CFR, vale a dire il governo ombra americano, l’autore paventa il rischio che la Germania possa volgere ad Est e recidere i propri legami con l’Occidente. Questo sarebbe dimostrato dall’incremento delle esportazioni tedesche in Cina in conseguenza della diminuzione della domanda interna europea, e dalle crescenti frizioni con gli USA su problemi di politica estera, in particolare sulla questione ucraina.
L’autore ipotizza uno scenario in cui un’eventuale uscita della Gran Bretagna dall’UE potrebbe incoraggiare la Germania a intensificare la sua politica di cooperazione eurasiatica tirando con sé il resto dell’Europa, e producendo così uno «scisma da cui l’Occidente potrebbe non risollevarsi», cosa che farebbe naufragare definitivamente il progetto di un’unione UE-NAFTA auspicati da Huntington e dalle centrali mondialiste[5].
L’incrinarsi delle relazioni di subordinazione neocoloniale tra Germania/USA viene ribadita anche dal giornale tedesco Der Spiegel, che alla vigilia dell’ennesimo scandalo intercettazioni ad opera della NSA, esordisce in apertura con toni solenni:
«The German-American friendship no longer exists. It may still remain between citizens of both countries, but not between their governments. Perhaps it has always been an illusion, perhaps the United States pulled away over the course of time. But what binds these two nations today cannot be considered friendship. Openness and fairness are part of the essence of friendship, which is about mutual respect and trust. A quarter century after the United States helped the German people restore their national unity, little remains of this friendship»[6].
Sembra tuttavia irrealistico che una Germania semi-demilitarizzata e ancora sottoposta alla tutela neocoloniale d’oltreoceano riesca a controbilanciare il predominio strategico degli USA. Quel che è certo è che le cose sembrano comunque mettersi male per gli americani, che ormai vedono disgregarsi ovunque il loro impero e non possono più contare neppure sui vecchi alleati di un tempo.
Per evitare l’integrazione economica dell’Asia e dell’Europa, compresi i piani per i treni ad alta velocità dalla Cina (“la Nuova Via della Seta”), deriva dunque la necessità per gli Stati Uniti di portare sotto l’ombrello della NATO più nazioni possibili e d’impedire con ogni mezzo, anche con le minacce, gli attentati, le rivoluzioni colorate e i colpi di stato, che un paese ne fuoriesca o intraprenda una politica estera autonoma e contraria agli interessi americani.
Per questa ragione gli Usa fomentano le tensioni in Ucraina come presupposto per la creazione di una nuova cortina di ferro dal Mar Baltico al Mar Nero e come detonatore per l’applicazione anche in Europa, come in Medio Oriente, della strategia del caos.
La Dottrina Wolfowitz recita infatti:
«Il nostro primo obiettivo è quello di prevenire il riemergere di un nuovo rivale, sia sul territorio dell’ex Unione Sovietica che altrove, che rappresenti una minaccia dell’ordine di quella posta in precedenza da parte dell’Unione Sovietica. Questa è una considerazione dominante alla base della nuova strategia di difesa regionale e richiede che ci sforziamo di prevenire a qualsiasi potenza ostile di dominare una regione le cui risorse sarebbero, sotto il controllo consolidato, sufficienti a generare potenza globale»[7].
Questo in sostanza significa che al fine di sopravvivere e conservare il loro ruolo di primo piano sulla scena internazionale, gli USA hanno bisogno disperatamente di immergere l’Eurasia nel caos trascinando i Paesi europei in nuove, sanguinosissime guerre, come ribadisce arrogantemente George Friedman, amministratore delegato della STRATFOR, al Consiglio di Chicago per gli affari esteri:


GREXIT: LA VERA POSTA IN GIOCO
Per questa stessa ragione gli USA hanno bisogno che la Grecia resti nell’eurozona. Obiettivo provvisoriamente raggiunto grazie all’arma del ricatto, di cui gli Usa si sono serviti prima inducendo il FMI a pubblicare un rapporto dove si giudicava insostenibile il debito pubblico greco e se ne chiedeva una ristrutturazione e un riscadenziamento accompagnati da ulteriori aiuti[8] – avallando così le rivendicazioni di Tsipras che anche grazie ad esso ha trovato la forza per indire il referendum – e poi paventando la pubblicazione delle intercettazioni top secret della NSA alla Merkel e all’intero establishment tedesco[9], per obbligare la Germania a trovare un accordo con il governo ellenico, nonostante Berlino premesse fortemente per il Grexit.
L’intransigenza dimostrata dai tedeschi al tavolo delle trattative è infatti interpretabile a questa stregua, vale a dire non tanto come un avido accanimento per saccheggiare una nazione già prostrata, come sostengono gli utili idioti del sistema euratlantico pilotato dagli Usa, quanto un abile stratagemma per uscire dal pantano dell’eurocrisi, imponendo alla Grecia condizioni sempre più inaccettabili appunto per costringerla a dare inizio al piano di smantellamento della moneta unica di cui la Germania, checché si dica, non è mai stata particolarmente entusiasta[10].
Solo così, del resto, si spiega l’apparente contraddittorietà dell’operato di Berlino, poiché non avrebbe senso altrimenti segare il ramo su cui si è seduti autodistruggendo l’Eurozona e mandando in bancarotta i paesi dell’Eurozona quando si dipende da quei stessi paesi per le proprie esportazioni. Il presunto neomercantilismo della Germania sul lungo termine non è sostenibile e i tedeschi lo sanno, non sono stupidi.
Da notare poi che a beneficiare maggiormente delle politiche neoliberiste e neomercantili della Germania sono soprattutto le grandi corporation americane. Lo scandalo BlackRock, il fondo d’investimento statunitense impegnato ad acquisire tutte le principali risorse strategiche del nostro Paese, lo dimostra[11].
Ovviamente anche in Germania c’è qualcuno che ci guadagna, ma non si tratta della popolazione tedesca nel suo complesso, bensì di una ristretta oligarchia di plutocrati che costituiscono quella élite transazionale inserita nei gangli del sistema imperialistico pilotato dagli Stati Uniti, gruppi estranei ai propri paesi, al proprio popolo e ai suoi interessi. Nel complesso la Germania dall’euro ci ha perso più che guadagnato[12].
Per gli USA dunque va bene che si imponga l’austerità, ma non a dosi così massicce da mettere in pericolo l’esistenza stessa della costruzione europea.
Come abbiamo visto l’euro è una creazione della finanza angloamericana e nei propositi dei suoi ideatori, calando un tasso fisso su un’area valutaria non ottimale, si doveva produrre un accumulo di tensioni tali (deficit di partite correnti, bolle immobiliari, ecc), da scoppiare al primo shock esterno (il crack della Lehman Brothers). A quel punto sarebbe stata proposta come unica soluzione per uscire dalla crisi una politica di bilancio comune e sarebbero nati i cosiddetti Stati Uniti d’Europa. Che l’euro, così com’è stato congegnato, dovesse portare alla crisi era una certezza matematica, lo predice il Ciclo di Frenkel[13].
Ma la sospensione del Fiscal Compact e il conseguente rifiuto della Germania ad emettere eurobond, cosa che avrebbe obbligato i tedeschi ad accollarsi i debiti di tutti i paesi in deficit dell’eurozona[14], ha creato quello stallo che ha portato alla situazione odierna. Da ciò risulta chiaro il motivo per cui la principale detrattrice delle misure di austerità, che hanno fatto impantanare il progetto di creazione degli USE, sia proprio la finanza anglosassone. In particolare il criminale plurimiliardiario George Soros, che in articolo del 10 aprile 2013 apparso sul Corriere della Sera, affermava:
«La crisi dell’euro ha trasformato l’Unione Europea in qualcosa di radicalmente diverso. Quella che doveva essere un’associazione volontaria di Stati alla pari si è trasformata in una prigione per debitori, con la Germania e altri creditori al comando per perseguire politiche che prolungano la crisi e perpetuano la subordinazione dei Paesi debitori. La crisi rischia ormai di distruggere l’Ue, una tragedia di proporzioni storiche. Questo può essere evitato solo con la leadership della Germania».
[da notare che l’Hedge Fund di Soros, assieme a quelli di Paulson, Greenlight, Sachs e Sac Capital, è stato uno dei principali responsabili dell’attacco speculativo all’euro].
«Una volta compreso questo, la soluzione viene da sé. Può essere riassunta in una sola parola: eurobond». «Purtroppo la Germania è fermamente contraria agli eurobond. Da quando la cancelliera Angela Merkel ha posto il veto, l’idea non è nemmeno stata presa in considerazione». «Se la Germania si oppone, dovrebbe valutare l’idea di lasciare l’euro». «Occorre che la Germania scelga definitivamente se accettare gli eurobond o lasciare l’euro». «Una disintegrazione caotica lascerebbe l’Europa in condizioni peggiori rispetto all’epoca di avvio dell’ambizioso esperimento dell’unificazione»[15].
Il fatto stesso che sia un personaggio come Soros a scagliarsi contro la Germania è la prova che la Germania sta dalla parte giusta. È chiaro quindi che all’aggravarsi della situazione gli Usa cominciano a fare pressioni per impedire a tutti i costi che l’Europa si liberi dalle catene di Bruxelles. I primi moniti arrivano già il 2 febbraio da Barak Obama, che in un’intervista rilasciata alla CNN appoggiava le richieste del nuovo esecutivo ellenico:
«Non è possibile continuare a spremere Paesi che sono nel mezzo della depressione; ad un certo punto deve esserci una strategia di crescita che consenta loro di pagare i debiti per eliminare alcuni dei loro disavanzi».
Un tweet dello stesso Varoufakis conferma che Washington spinge per un accordo:
«Il segretario del Tesoro USA mi ha detto effettivamente che un mancato accordo danneggerebbe la Grecia. Ha aggiunto che danneggerebbe anche l’Europa».
Un altro ammonimento alla Germania perché eviti il Grexit arriva da un editoriale del New York Times, la voce dell’oligarchia plutocratica americana, dal titolo Give Greece room to maneuver, in cui si legge:
«La possibilità pericolosa di un default greco e di una crisi del sistema dell’euro sono diventati molto reali. Per quanto i Ministri della zona euro potrebbero avere difficoltà a fare concessioni a una nazione che percepiscono come dissoluto e ingrato, devono fare i conti con il fatto che concedere alla Grecia un certo allentamento ora è l’unica buona scelta che hanno».
In tutte queste dichiarazioni emerge dunque la voce del padrone d’oltreoceano che mentre recita pubblicamente la parte del buono in sostegno delle richieste dei poveri greci tartassati dalla “cattiva” Germania, in segreto mira invece a tenere l’Europa nelle fauci della finanza internazionale, allo scopo di giungere alla fusione di Europa/USA attraverso il TTIP. Riassume magistralmente Francesco Meneguzzo a proposito della momentanea vittoria di Washington nel braccio di ferro in corso:
«Una manovra americana che rasenta la perfezione, una speculazione al ribasso destinata a un successo storico, a meno che la Germania tenga duro nonostante le impressionanti pressioni condotte anche dai soliti utili idioti delle sinistre europee: se alla Grecia verrà ristrutturato o tagliato il debito, la Germania subirà un salasso tale da mortificare qualsiasi speranza di ripresa sostenuta almeno nel breve termine, nonché qualsiasi ambizione extra-atlantica, anche perché è impensabile che possano contribuire significativamente altri paesi indebitati fino al collo come la Spagna e soprattutto l’Italia (e anche per la Francia avremmo qualche dubbio), mentre la Grecia rimarrà nell’eurozona, certamente vivacchiando ma lontanissima da tentazioni ‘strabiche’ verso Mosca o Pechino. Portando a una convivenza forzata e traballante, ma saldamente nel campo atlantico, e quanto più flebile sarà la voce della Germania, tanto più rapida e sicura sarà l’approvazione del trattato di partnership transatlantica (Ttip), nuova architrave del blocco occidentale e probabile gabbia e condanna per gli europei, tanto desiderata da Washington anche in chiave anti-russa e anti-cinese»[16].
Giunti a questo punto possiamo dunque tirare le somme sull’operato di Tsipras/Varoufakis, osannati da tutte le sinistre europee filoamericane che, accusando la Germania di ambizioni neoimperiali, tifano per il “più Europa”. La loro è stata essenzialmente un’operazione eterodiretta. Tsipras è un burattino di Soros, il quale ha organizzato e finanziato il suo viaggio in USA attraverso l’istituto INET. Qualche mese fa ha partecipato ad un incontro con l’American Jewish Committee, una lobby sionista ed è stato invitato al Forum annuale della fondazione Ambrosetti, una importante centrale mondialista.
Varoufakis, dal canto suo, ha insegnato nel 2013 presso la Lyndon B. Johnson School of Public Affairs, un’università impegnata nel creare leaderships e politiche pubbliche socio-economiche negli USA e all’estero e che ha avuto come presidi, negli ultimi 10 anni, l’ammiraglio Bobby Ray Inman (ex-direttore della NSA) e l’ambasciatore Robert Hutchings (presidente del National Intelligence Council nel 2003-2005). Syriza è insomma un’opposizione controllata creata dall’intelligence americana, come lo sono il M5S in Italia e il partito Podemos in Spagna[17].
L’IMMIGRAZIONE COME STRATEGIA DEL CAOS
Inoltre il governo Syriza, il 19 luglio, ha firmato un’alleanza con Israele, la quale «offre immunità legale ad entrambe le forze armate quando l’una si addestra nel paese dell’altra»[18]. È possibile che quest’alleanza militare sia una misura precauzionale di Washington per mantenere l’ordine ad Atene in caso di default. La fine della moneta unica è infatti inevitabile e come abbiamo già detto in precedenza, se gli USA non possono più contare sulla schiavitù monetaria, non rimane loro che l’espediente militare per tenere al guinzaglio gli stati servi.
Ovviamente per mantenere l’ordine occorre prima creare il disordine secondo la dottrina del caos costruttivo. Non è dunque da escludere che la recente invasione delle turbe islamiche nell’isola di Kos, provenienti dalla Turchia, un paese satellite degli USA, risponda precisamente alla stessa strategia con cui si sta cercando di destabilizzare l’Italia e indurla a intervenire militarmente in Libia. L’Italia, infatti, dopo la Grecia, è il paese a più probabile rischio default.
Come abbiamo visto nei nostri articoli precedenti, i servizi di Le Monde e Les Observateurs dimostravano che l’impennata degli sbarchi è un’operazione cinicamente orchestrata dalle centrali mondialiste e in particolare dagli Stati Uniti che agendo tramite organizzazioni umanitarie, come l’Organisation internationale pour les migrations, legata alle Nazioni Unite, gestiscono il traffico di esseri umani che dall’Africa arriva sulle nostre coste.
Ultime, in ordine di tempo, le rivelazioni di InfoDirekt, che rifacendosi alle dichiarazioni di un rapporto interno dello Österreichischen Abwehramts (i servizi d’intelligence militari di Vienna), riporta:
«Si è intuito che organizzazioni provenienti dagli Stati Uniti hanno creato un modello di co-finanziamento e contribuiscono a gran parte dei costi dei trafficanti». Sarebbero «le stesse organizzazioni che, con il loro lavoro incendiario, hanno gettato nel caos l’Ucraina un anno fa».
A capo di questa rete di organizzazioni, per lo più fondazioni americane private organizzate da Washington, c’è sempre lui, George Soros, agente dei Rothschild. Organizzazioni che nascondendosi dietro il pretesto della “democrazia” e dei “diritti umani” svolgono in realtà la funzione di quinte colonne al servizio dell’imperialismo americano. Entità come Open Society, Amnesty International, UHRP, Freedom House, ma anche Medici Senza Frontiere, i quali sembrano essere al momento i più attivi nello scaricare migliaia di finti profughi sulle nostre coste[19]. È importante notare che:
«Medici Senza Frontiere, nel proprio rapporto annuale (rapporto 2010), include come donatori finanziari, Goldman Sachs, Wells Fargo, Citigroup, Google, Microsoft, Bloomberg, di Mitt Romney Bain Capital, e una miriade di altri interessi corporativi-finanziere. Medici Senza Frontiere ha rappresentanti dei banchieri anche nella sua commissione di consiglieri, tra cui Elisabetta Beshel Robinson di Goldman Sachs (e l’immancabile Soros, con Open Society Foundation l’organizzazione Medici Senza Frontiere sta fornendo il supporto per i militanti armati e finanziati dalla Occidente e i suoi alleati regionali, la maggior parte dei quali si rivelano di essere combattenti stranieri, affiliati o appartenenti direttamente ad Al Qaeda e il suo braccio politico de facto, i Fratelli Musulmani. Questa cosiddetta organizzazione di “aiuti internazionali” è in realtà un altro ingranaggio della macchina militare segreta contro la Siria, svolgendo il ruolo di battaglione medico[20]».
In un suo recente articolo Paul Craig Roberts, economista ed ex-vicesegretario al tesoro sotto la presidenza Reagan, ha affermato che «il vero scopo di queste organizzazioni non governative (ONG) è di far progredire l’egemonia di Washington per destabilizzare i due paesi in grado di resistere l’egemonia statunitense»[21].
Non stupisce allora che la Russia abbia cacciato Soros per attività sovversiva, avviando le procedure per impedire ad almeno 20 ONG, considerate dannose per la stabilità della Federazione Russa, di esercitare la loro nefasta opera d’ingerenza negli affari interni del Paese. Opera che comprende la promozione dell’immigrazione selvaggia, del multiculturalismo, dell’omossessualità, del genderismo, dei diritti delle minoranze a danno della maggioranza, nonché l’addestramento e il finanziamento dei movimenti estremisti radicali allo scopo di rovesciare, attraverso le rivoluzioni colorate, legittimi governi democraticamente eletti[22]. Vale la pena rilevare di sfuggita che Soros è anche diventato terzo azionista di un fondo delle Coop ‘rosse’ in Italia, il che non è certo una coincidenza[23].
NOTE:
_____________________
[1] Zbigniew Brzezinski, A Geostrategy for Eurasia, “Foreign Affairs”, Sept. -Oct. 1997, pp. 53-57.
[2] Vedi il nostro articolo: La vera storia della Prima guerra mondiale
http://xn--identit-fwa.com/blog/2014/12/03/la-vera-storia-della-prima-guerra-mondiale/
[3] Spartaco Puttini, Stati Uniti d’Europa o Europa degli Stati Uniti?
[4] FEDERALISTI FINANZIATI DAI CAPI DELLO SPIONAGGIO AMERICANO, Di Ambrose Evans-Pritchard 
http://andreacarancini.blogspot.it/2010/11/lunione-europea-nata-da-una-costola.html
[7] Versione originale della Defense Planning Guidance, scritta dal sottosegretario alla Difesa Paul Wolfowitz, riportata dal New York Times il 7 mar 1992.
[10] Alla fine sarà Berlino a uscire dall’euro:
Euro addio, il piano segreto di Angela Merkel: tornare al marco:
http://www.liberoquotidiano.it/news/economia/11715358/Euro-addio—il-piano.html
Grecia: Germania e BCE studiano un “golpe” per un default senza uscita dall’euro
http://www.imolaoggi.it/2015/04/30/grecia-germania-e-bce-studiano-un-golpe-per-un-default-senza-uscita-dalleuro/
La Germania pronta a lasciare l’Eurozona. Italia? «Sicuro default»
http://www.stefanogiantin.net/interviste/la-germania-pronta-a-lasciare-leurozona-italia-sicuro-default/
Uscire dall’euro: I piani sono pronti dal 2011 per Germania e Olanda
http://www.libreidee.org/2014/12/germania-e-olanda-fuori-dalleuro-piani-pronti-dal-2011/
Stefano Vernole, Una “pietra nera” a stelle e strisce sta comprando l’Italia?, in Eurasia, Rivista di studi geopolitici, n. 1/2015 pp. 111
[12] Lo dimostra il fatto che:
Per accumulare i suoi enormi surplus la Germania ha dovuto applicare una svalutazione interna in termini reali, vale a dire tenere bassi i prezzi, attraverso una precoce precarizzazione del mercato del lavoro (le riforme Hartz) e una riduzione dei salari, potendosi giovare inizialmente della manodopera a basso costo dell’ex Germania est.
Per conservare la sua posizione di potenza deve continuare a reprimere la domanda interna, cosa che va a svantaggio delle classi lavoratrici, degli investimenti produttivi e quindi della crescita economica nel lungo termine.
Continuando a esigere misure di austerità da parte dei paesi che importano le sue merci non fa che minare la sua stessa prosperità futura.
I profitti che ricava dalle sue esportazioni non vengono reinvestiti all’interno del paese ma, per assurdo, dirottati fuori dell’Eurozona, più precisamente nei Paesi BRICS.
Vedi anche:
«Il Fondo Monetario Internazionale [FMI] ha avvertito, lo scorso anno (http://www.telegraph.co.uk/finance/economics/10980824/Juncker-faces-political-test-as-fines-loom-on-illegal-German-trade-surplus.html) che il surplus tedesco – dell’8.25% del PIL, se si tiene conto del ciclo – è distruttivo per l’UEM nel suo insieme. È fra i tre e i sei punti percentuali più alto rispetto a quanto sarebbe “desiderabile”, ovvero giustificato dai fondamentali. Tutto questo non è nell’interesse economico della Germania […] Questa politica mercantilista non ha alcun senso per la stessa Germania. Le eccedenze vengono riciclate in flussi di capitali verso l’estero a tassi di rendimento negativi, erodendo la base della ricchezza di cui il paese avrà bisogno nei prossimi 10 anni, visto il rapido declino demografico. Gli storici considereranno l’era Schroder/Merkel come quella degli errori politici in serie».
E inoltre:
«Esportare non è necessariamente un bene per l’economia. Infatti, per ridurre il costo del lavoro la Germania ha depresso i consumi interni. Ciò significa che i maggiori introiti commerciali non si sono tradotti in benessere economico (se non per i profitti degli industriali tedeschi). L’aumento del pil tedesco (questo l’articolo non lo dice) è veramente risicato, siamo sempre a tassi di crescita annui inferiori al 2% e trimestrali inferiori all’1%. Detto in poche parole, questo significa che si arricchisce il grande capitale tedesco, ma la Germania si impoverisce».
“Allora (il finanziamento dei trasferimenti) ammontava a circa 260 miliardi di euro l’anno, per un periodo di 10 anni, solo per aiutare i quattro paesi del Sud” sopra citati. “Tra l’85 e il 90% sarebbe fornito dalla Germania. Ciò avrebbe significato un prelievo della ricchezza prodotta in Germania sull’8-9% del Pil ogni anno, anzi sul 12 secondo un’altra fonte (Patrick Artus, « La solidarité avec les autres pays de la zone euro est-elle incompatible avec la stratégie fondamentale de l’Allemagne : rester compétitive au niveau mondial ? La réponse est oui », NATIXIS, Flash-Économie, n°508, 17 juillet 2012). «E’ ovvio che un tal salasso distruggerebbe l’economia germanica. Non è solo che Berlino non vuole che l’euro sia una vera moneta come il dollaro; non può. Non può permetterselo».

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