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mercoledì 15 luglio 2015

Per uccidere Atene l’Europa si suicida

di Fabrizio Casari
Una Europa con il sangue agli occhi e livida di rabbia ha preferito annullare la riunione dei 28 paesi membri e rifugiarsi nell’Eurogruppo per cercare di nascondere il livore contro Atene, che con la sua proposta di piano straordinario di aiuti ha letteralmente messo Bruxelles con le spalle al muro, determinando così un rilancio idrofobo e antigreco per tenere uniti i 28. L’eurovertice di ieri ha certificato, per la prima volta, una spaccatura nel gruppo dirigente della Ue. Slovacchia o Finlandia, o simili, votano con Berlino sapendo che questo eviterà di spulciare nei loro conti, spesso altrettanto disastrosi come e più di quelli greci.

Da un punto di vista numerico, l’appoggio di costoro è relativamente importante, dal momento che alcuni dei paesi più oltranzisti schierati al fianco di Berlino contano meno di quanto votino, ma in sede di Eurogruppo assumono un peso a sostegno dei tedeschi che serve a bilanciare lo smarcamento di Parigi e l’incertezza di Roma. E’ poi chiaro che la rigidità di Berlino con Parigi sia in qualche modo la risposta rabbiosa verso l’Eliseo che ha offerto già da due settimane collaborazione ad Atene. Ovvio comunque che la differenza tra Parigi e Berlino non andrà oltre la contingenza, dal momento che non può assumere valenza prospettica in assenza di leadership francese e italiana degna di nome.

Le proposte di Bruxelles sono decisamente peggiorative rispetto a quelle di Atene e impongono, né più né meno, il commissariamento europeo della Grecia, sotto il nome dell’accettazione del terzo “Memorandum”. A fronte di 86 miliardi di Euro di aiuti si propongono ispezioni degli uomini della Troika, approvazione preventiva da parte di Bruxelles delle leggi che il Parlamento greco dovesse adottare e rinvio a data da destinarsi dell’eventuale rateizzazione - e non ristrutturazione - del debito greco (cosa che, sebbene non a chiare lettere, era visibilmente presente nella proposta di Tsipras).

Nella “proposta” in discussione all’Eurogruppo si ordina ad Atene il trasferimento di 50 miliardi di Euro in beni pubblici ad un fondo straniero e persino la riforma del Codice di Procedura Civile, evidente grimaldello per modifiche sostanziali alla Carta costituzionale greca utili allo smantellamento dei diritti individuali e collettivi nel mercato del lavoro e nel sistema previdenziale su cui calare come falchi. Siamo di fronte ad un delirio imperiale con i tratti della rappresaglia verso un paese che ha deciso di esprimere il suo volere. Un piano quasi impossibile da accettare e comunque contrario agli stessi trattati fondativi della Ue, lanciato con la speranza che sia la Grecia a rifiutarlo e così sfilarsi dll'eurozona.
Il Premier greco gioca una partita difficilissima sotto il waterboarding di Bruxelles. Ma si è già dimostrato abile scacchista e forse anche nell’occasione sorprenderà tutti con la capacità di non alzarsi dal tavolo e portare a casa un risultato, quale che sia, che non comporti l’uscita dall’area euro. Magari anche tornando ad Atene con la lettera di dimissioni e la convocazione di nuove elezioni, forte dei sondaggi che lo danno al 46% dei voti. Intanto potrebbe chiedere un prestito ponte straordinario per scongiurare la chiusura definitiva degli sportelli delle banche greche.

E’ palese come la questione non sia affatto finanziaria, non rappresentando l’ammontare del debito greco (320 miliardi di euro) più del 3 per cento del debito europeo. Ed è bene considerare che l'eventuale default greco costerebbe decisamente di più. Per meglio definire l'ordine di grandezza del problema, si consideri che in due giorni di crisi borsistica cinese di miliardi ne sono stati bruciati 2500. C'è poi da ricordare che i precedenti “aiuti europei” sono stati assegnati ai governanti amici di Bruxelles, che proprio seguendo i “consigli” della Troika hanno ridotto il PIL del 25%, peggiorando quindi tutti i fondamentali dell’economia ellenica e aprendo la più grande crisi umanitaria del vecchio continente. I famosi 250 miliardi di Euro dati alla Grecia sono una barzelletta: quei soldi non sono mai arrivati alla Grecia, sono finiti a ripianare l’esposizione delle banche tedesche, francesi e italiane verso la Grecia. Per questo oggi Tsipras chiede la consegna degli aiuti al governo e non agli istituti di credito.
L’obiettivo immediato dell’Eurogruppo è quello di far cadere il governo Tsipras proponendo una resa incondizionata. L’ordine di avere entro cinque giorni l’approvazione del Parlamento greco ha tre obiettivi. Il primo è quello di spaccare Syriza, cosa fino ad ora non riuscita con i precedenti ricatti, e aprire così ad una nuova maggioranza di governo che riporti gli uomini di Goldman Sachs (come Samaras, nei cui confronti non a caso mai si esercitarono pressioni simili) nello scenario di governo. Il secondo è quello di non offrire subito il sostegno finanziario per impedire che le banche elleniche possano riaprire già da martedì, tentando così di stringere il nodo scorsoio alla gola dei greci e sperare d’innescare una rivolta contro il governo, magari con l’aiuto dell’estrema sinistra, sempre pronta a perdere il senso della sua esistenza di fronte alla storia.

La portata dello scontro tra Europa a guida tedesca e la Grecia è esclusivamente politica e non ha nessun criterio dal punto di vista economico, anche perché non avrebbe nessun senso imporre ad un paese con circa il 180% del debito sul PIL una politica recessiva. In discussione c’è il comando imperiale tedesco. A conferma di ciò, basta ricordare come nei giorni scorsi, i giornalisti da riporto di Bruxelles avevano raccontato di un piano Tsipras non diverso nella sostanza da quello di Junker. Non era ovviamente vero, ma la domanda che tutti dovrebbero porsi è questa: come mai se i piani sono simili quello di Junker va bene e quello greco non va bene?

La risposta è semplice: non si riconosce alla Grecia nemmeno la possibilità di esporre un piano, l’obbedienza è l’unica risposta ammessa. Inoltre, nella sostanza, si vuole determinare con la forza l’illegittimità di un governo di sinistra che agisca come tale, dunque che faccia uso degli strumenti democratici di consultazione del suo popolo e che chieda un deciso cambio di rotta nelle politiche di rigore che, in cinque anni, hanno ridotto il paese in ginocchio e peggiorato tutti i suoi indici finanziari, sociali e politici. La sinistra è prevista solo se agisce come la destra, vedi Francia o Italia.

La Grecia, che tra le altre risorse ha dimostrato di disporre di un Primo Ministro con stoffa da statista, ha proposto un piano che prevede oltre alla ricapitalizzazione delle quattro banche (da accorpare a due) e all’aumento ragionevole dell’Iva, una riforma progressiva in cinque anni del sistema pensionistico.
Atene chiede 74 miliardi di Euro, di cui 14 per la ricapitalizzazione degli istituti di credito e 60 per gli investimenti. Dunque, gli investimenti non sarebbero di fantomatiche mano invisibili del mercato (ovvero banche europee) ma pubblici, voluti e gestiti da un governo sovrano. Intollerabile per Berlino, quindi per Bruxelles.

Perché ove ciò succedesse, è evidente che il governo greco potrebbe operare nella direzione del Programma di Salonicco, ovvero il programma elettorale di Syriza e i risultati in termini di ripresa dell’economia non tarderebbero a manifestarsi. Ma questo diverrebbe la prova provata di quanto siano le politiche ultramonetariste di Bruxelles che impediscono all’Europa di uscire dalla crisi cominciata nel 2010 ed aprirebbero la porta ad una nuova stagione della sinistra in Spagna e forse in Italia, il che comporterebbe l’implosione della guida tedesca del continente.

L’Unione Europea sa benissimo che ormai risulta essere, agli occhi della maggioranza dei cittadini del vecchio continente, una istituzione dannosa, un insulto alla democrazia continentale e un tradimento all’idea federalista che aveva progettato e disegnato l’unione continentale in forma di comunità unitaria e solidale.

Nelle ultime 48 ore la stampa tedesca e quella britannica hanno rilanciato le minacce di Schaeuble, che hanno una doppia valenza: nei confronti della Grecia, colpevole di aver consultato i suoi cittadini su ordini provenienti da Berlino e, internamente, nei confronti della Merkel, per tentare il sorpasso interno nel partito.
Agli occhi di Schaeuble la Cancelliera si sarebbe resa disponibile ad un accordo perché avrebbe ceduto alle pressioni di Obama, che gli ha ripetutamente fatto presente come ben prima che della ragioneria degli euroburocrati, la permanenza della Grecia nell’Unione Europea è questione di primaria importanza sotto il profilo geostrategico, con ciò intendendo la NATO e il suo fianco sud. La situazione in Turchia e il nuovo braccio di ferro con Mosca non consigliano gli USA ad un atteggiamento indifferente sulla tenuta della Grecia. La Merkel, che ha una lungimiranza che si misura solo sul suo consenso interno, si è prontamente allineata a Schaeuble, sapendo che risulterà più conveniente, ai fini della politica interna, arrivare ad un accordo non voluto che dirsi favorevole al raggiungimento dello stesso. Meglio dirsi sconfitta che complice.

Intanto, dal documento in discussione è stata cancellata l’ipotesi di uscita temporanea della Grecia dall’Euro causa insostenibilità legale del provvedimento. Sarebbe bene che se un Ministro delle Finanze che vuole comandare sull’Europa propone una mossa illegale ed illegittima proprio per i trattati europei, fosse immediatamente rimosso per manifesta incompatibilità tra il suo personale livore e le norme esistenti. Un dilettante ad alta intensità di crudeltà privo delle caratteristiche necessarie per una funzione così importante.

Mentre scriviamo non è ancora chiaro quale sarà la stesura definitiva del piano dell’eurogruppo, ma conoscendo la forza negoziale di Hollande o Renzi si possono ipotizzare modifiche di non grande sostanza. Emerge però, al di là di come si concluderà la vicenda greca, un fallimento dell’idea di Europa unita ormai visibile a tutti.
Nata per contenere l’espansionismo tedesco, che lungo i secoli ha sempre manifestato l’ansia di dominazione sull’intero continente, ha finito per consegnare al neocolonialismo tedesco le sorti di tutta l’Europa. Una Europa incapace di produrre iniziativa riguardo tutti i dossier più importanti della politica internazionale e non in grado di affrontare i temi della sua identità politica e del senso stesso della sua unità monetaria.

E’ ormai evidente come la forza economica e politica della Germania sia ottenuta a danno del resto d’Europa e come quindi il rafforzamento della guida tedesca sia antagonista allo sviluppo economico e sociale dell’Unione europea. Ridurre le tentazioni egemoniche teutoniche é di nuovo, come in passato, un gesto necessario allo sviluppo della democrazia europea.
http://www.altrenotizie.org/esteri/6588-per-uccidere-atene-si-suicida-leuropa.html

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