DI JULIAN ASSANGE
Pubblichiamo integralmente la lettera nella quale Julian Assange, fondatore di Wikileaks chiede asilo politico alla Francia
Signor Presidente della Repubblica,
Ho l’onore di scriverle e, attraverso di lei, di rivolgermi al popolo francese.
Mi chiamo Julian Paul Assange. Sono nato il 3 luglio 1971 a Townsville, in Australia. Sono un giornalista perseguitato e minacciato di morte dalle autorità statunitensi a causa della mia attività professionale. Non sono mai stato accusato formalmente di alcun delitto o crimine che violi il diritto comune, in nessun luogo del mondo, comprese Svezia e Regno Unito.
Sono il fondatore di WikiLeaks.
Nell’aprile del 2010 decisi di pubblicare un video intitolato: "Collateral murder". Il video mostra il massacro di diversi civili, fra i quali due operatori Reuters, oltre alle gravi ferite inferte a diversi bambini da parte di soldati statunitensi in Iraq. Le immagini, filmate da un elicottero, sono difficili da giustificare. Sono accompagnate dalle risa e dai commenti sarcastici di coloro che stavano commettendo quel crimine. Hanno fatto il giro del mondo e hanno brutalmente rivelato il carattere inumano di una guerra che ha già fatto diverse centinaia di migliaia di vittime.
Fin dal giorno successivo, con minacce di morte precise e mirate, è stata lanciata una persecuzione politica di inedita ampiezza contro di me e contro i principali lavoratori di WikiLeaks. Da allora non è mai cessata. L’elenco delle azioni mosse contro la mia organizzazione, contro i miei parenti e contro di me non basta a dar conto di tutta la violenza, ma può darsi che serva a rendere l’idea: appelli lanciati per la mia esecuzione, per un mio rapimento, per un mio arresto per spionaggio da parte di alti responsabili politici e amministrativi statunitensi, furto di dati, documenti e effetti personali, ripetuti attacchi informatici, continue infiltrazioni, interdizioni legali rivolte a tutte le piattaforme di pagamento a versare le donazioni fatte alla mia organizzazione, continua sorveglianza di ogni mio minimo gesto e delle mie comunicazioni, indagini giudiziarie campate in aria che si protraggono da oltre cinque anni, senza possibilità di difesa, campagne di diffamazione, ripetute minacce fisiche, perquisizioni e molestie ai miei avvocati, ecc…
Due altri casi: Jérémie Zimmermann e Jacob Appelbaum
Fondata nel 2006, WikiLeaks aveva già rivelato numerosi scandali di corruzione, violazione dei diritti fondamentali, crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Per questo motivo avevamo ricevuto un premio da Amnesty International e decine di altri premi giornalistici da altre prestigiose organizzazioni, oltre a cinque nomine consecutive al premio Nobel per la Pace e, recentemente, cinque nomine al premio Mandela istituito dalle Nazioni Unite, istituito quest’anno.
Eppure quel video ha fatto da spartiacque nella mia vita, oltre che in quella di tutti coloro che furono coinvolti nella sua realizzazione. Un cittadino francese in particolare, Jérémie Zimmermann, ringraziato nei crediti del video, è stato oggetto di minacce da parte di due agenti FBI allo scopo di farne un infiltrato, e da allora non ha mai più potuto tornare sul territorio americano benché necessario alla sua professione. Lo stesso è capitato ad altri giornalisti che, pur essendo cittadini USA, non sono più potuti tornare al loro Paese, dai loro parenti, e sono stati oggetto di indagini giudiziarie per spionaggio. Per il fatto di essersi definito difensore di WikiLeaks, Jacob Appelbaum è stato vittima di una serie di violenze e intimidazioni, fin dentro casa sua, dove una notte sono penetrati alcuni uomini coperti in volto e lo hanno minacciato, fatto che ha lasciato un segno indelebile sulla sua compagna.
Al culmine di questa campagna oltre 120 uomini, all’interno della cosiddetta «WikiLeaks War Room» del Pentagono, erano stati incaricati di coordinare questa offensiva contro di me e contro la mia organizzazione. Nel 2010 fu formato un grand jury segreto che ha presentato prove a mio carico, in particolare per spionaggio, e che da allora non ha mai smesso di lavorare. È stata lanciata una persecuzione politica senza precedenti contro di me e contro i principali dipendenti di WikiLeaks.
La vastità di queste operazioni supera di gran lunga l’immaginazione di qualsiasi spirito paranoide. A tali operazioni prendono ufficialmente parte una dozzina di agenzie statunitensi, incluse il Pentagono, la Defense Intelligence Agency, la CIA, l’FBI, la NSA, il Ministero della Giustizia e il Dipartimento di Stato. Altre agenzie lo fanno in maniera più segreta, come è stato recentemente dimostrato da un’inchiesta parlamentare in Islanda.
Si tratta però di persecuzioni reali. Sono state documentate da un’infinità di organizzazioni, sono state oggetto di rapporti internazionali e di sentenze giudiziarie, sono state sostanzialmente ammesse dalle autorità coinvolte, spesso perfino rivendicate. Erette a vera e propria politica dal governo USA, sono in seguito state allargate al di là del mio caso e di WikiLeaks: l’amministrazione Obama nei suoi due mandati consecutivi ha messo sotto indagine più giornalisti di tutti i precedenti governi statunitensi messi insieme.
Le indagini non mi hanno fatto tacere
Per il solo fatto di aver pubblicato informazioni di interesse pubblico, che fonti anonime avevano trasmesso a WikiLeaks, sono personalmente sotto indagine per spionaggio, cospirazione finalizzata allo spionaggio, furto o manomissione di proprietà del governo statunitense, violazione della legge sulla frode informatica, e cospirazione generale, e rischio per questo il carcere a vita, o peggio. Gli Stati Uniti hanno poi allargato l’inchiesta includendo l’aiuto offerto a Snowden per salvargli la vita e fargli ottenere asilo politico, e lo stesso vale – secondo molte fonti giornalistiche – anche per quel che riguarda le pubblicazioni del cosiddetto FranceLeaks, riguardanti le intercettazioni che la riguardano, signor Presidente.
Queste indagini sono state condotte, e continuano ad essere condotte, contro di me perché un bel giorno ho deciso di non restare in silenzio e di rivelare le prove dei crimini di guerra e dei crimini commessi contro l’umanità. Queste indagini non mi tappano la bocca, e da allora ho documentato, in molte altre pubblicazioni e per mezzo degli Iraq War Logs, la morte di centinaia di migliaia di civili. Attraverso queste rivelazioni ho mostrato, in particolare tramite un telegramma diplomatico statunitense, come una famiglia irachena era stata fucilata a bruciapelo da una pattuglia americana nel corso di un controllo di routine, prima che questo crimine contro l’umanità fosse volontariamente «cancellato» da un bombardamento aereo.
Secondo il primo ministro iracheno Nouri Al-Maliki fu questo l’episodio che lo spinse a esigere la cancellazione dell’immunità per le truppe statunitensi e, dopo il loro rifiuto, a provocare la partenza di quei soldati. L’insieme delle pubblicazioni di WikiLeaks, dal 2006, è stato oggetto di un’infinità di rapporti e atti prodotti da organizzazioni internazionali e non governative, dalla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo agli inviati speciali delle Nazioni Unite, passando per numerosi gruppi di lavoro indipendenti. Esse hanno permesso di sollevare il velo su migliaia di crimini che altrimenti sarebbero rimasti segreti. Che altrimenti sarebbero rimasti impuniti.
Cinque metri quadrati e mezzo
Le persecuzioni che ne sono seguite mi hanno costretto a chiedere asilo presso l’ambasciata dell’Ecuador a Londra, nel giugno del 2012, per evitare un’estradizione verso gli Stati Uniti che diventava di giorno in giorno sempre più probabile. Dopo due mesi di studio approfondito del mio caso, il Ministero degli Esteri dell’Ecuador ha considerato che la persecuzione nei miei confronti era reale e dipendeva dalle mie convinzioni e dalle mie attività politiche, e che il rischio di un’estradizione verso gli Stati Uniti avrebbe mi avrebbe esposto a trattamenti pericolosi. Da allora ho avuto conferma informale del fatto che le indagini condotte dagli Stati Uniti erano reali e avevano portato ad un atto formale di accusa, rimasto però sigillato.
Privato dell’assistenza consolare e della protezione che mi avrebbe dovuto fornire il mio paese di origine, l’Australia – dove il governo è stato oggetto di vaste critiche per aver tentato di ritirarmi il passaporto nel 2010, al punto di dover far marcia indietro e dare spiegazioni – vivo da tre anni e dieci giorni in questa ambasciata.
Ho a mia disposizione cinque metri e mezzo ad uso privato. L’accesso agli spazi aperti, al sole, mi è stato interdetto dalle autorità del Regno Unito, allo stesso modo mi è stato vietato recarmi ad un ospedale. Da quando ho trovato rifugio in ambasciata, non ho potuto usare più di tre volte il balcone del piano terra dell’appartamento, sempre a mio rischio e pericolo, e non sono mai stato autorizzato a uscire per fare un po’ di esercizio fisico.
L’Ecuador, il cui onorevole coraggio e generosità probabilmente mi ha salvato la vita, ha un’ambasciata costituita da un solo appartamento, usato da una decina di diplomatici e funzionari di supporto che non possono rinunciare al loro lavoro. Lungi dall’immagine di lusso spesso associato alle sedi diplomatiche, si tratta di uno spazio modesto, che non era stato pensato per diventare un luogo di abitazione. Da tre anni è impossibile per me mantenere un minimo di vita familiare o intima.
Mio figlio più piccolo e sua madre sono francesi. Non li vedo da cinque anni, da quando è cominciata la persecuzione politica nei miei confronti. Questo luogo è perennemente sorvegliato da poliziotti britannici in uniforme che verificano regolarmente le identità di chi viene a visitarmi, oltre a un numero indeterminato di agenti in civile e agenti dei servizi che stanno negli edifici adiacenti. Le spese sostenute per la mia sorveglianza hanno superato, ufficialmente, i quindici milioni di euro. E non tengono conto dei servizi segreti.
Per queste ragioni i miei parenti, compresi i miei figli, non hanno potuto farmi visita da allora. Il Regno Unito si rifiuta di darmi asilo e garantirmi la non estradizione negli USA, violando così la convenzione del 1951, e si rifiuta peraltro di confermare o smentire un’eventuale ricezione da parte degli Stati Uniti d’America della domanda di estradizione. Lo stesso vale per il governo svedese, che si è rifiutato di garantire alle Nazioni Unite la mia non-estradizione qualora mi recassi sul territorio svedese. Svezia e Regno Unito hanno detto più volte che avrebbero chiesto il mio arresto non appena fossi uscito dall’ambasciata, e gli inglesi hanno ribadito che lo avrebbero fatto “qualunque fosse l’esito dell’indagine in Svezia”. E tutto questo nonostante io non sia stato formalmente accusato di alcun crimine in nessuno dei due paesi.
Da quattro anni e mezzo sessanta organizzazioni internazionali hanno fatto appello all’ONU per chiedere la chiusura delle indagini in Svezia, e il gruppo di lavoro sull’incarceramento arbitrario delle Nazioni Unite si è fatto carico della questione. Nonostante le ingiunzioni della Corte Suprema e del Procuratore Generale, volte all’archiviazione delle indagini preliminari – rilanciate nel 2010 dopo esser state abbandonate in un primo tempo – in cinque anni non è stato formulato alcun atto formale di accusa nei miei confronti né alcun avviso di garanzia. L’emissione di un mandato di arresto europeo aveva come unico scopo quello di farmi interrogare in Svezia, benché io mi fossi presentato volontariamente a Stoccolma a tal scopo e vi sia rimasto per cinque settimane consecutive. Da allora non ho mai ottenuto risposta alle mie reiterate domande di poter incontrare le autorità giudiziarie svedesi.
Oggi la mia vita è in pericolo
WikiLeaks è stata creata con l’obiettivo di indagare sugli apparati politici, economici e amministrativi del mondo intero, per portare trasparenza e assicurarsi che non sfuggissero al controllo democratico e sovrano. L’organizzazione ha pubblicato milioni di documenti concernenti la quasi totalità degli Stati del mondo, senza distinzione di regime o di ideologia. Essa permette a chiunque fosse a conoscenza di pratiche illegali o rilevanti per il bene comune, di trasmetterci le informazioni in tutta sicurezza e in forma del tutto anonima. Le informazioni sono poi sottoposte a verifica dai nostri giornalisti e da specialisti, quindi vengono organizzate e selezionate prima della pubblicazione in tutto il mondo, eventualmente con l’aiuto di altri prestigiosi organi di stampa.
Parigi compierebbe un gesto umanitario, ma anche simbolico, di incoraggiamento per tutti i giornalisti e Freelancer che, in tutto il mondo, rischiano quotidianamente la loro vita.
Finanziata da frequenti donazioni, la mia organizzazione ha inventato una nuova forma di giornalismo che in soli nove anni ha permesso di rivelare più di un centinaio di scandali di portata mondiale. Le attività di WikiLeaks hanno ispirato numerose altre agenzie di stampa, organizzazioni umanitarie, ambientali, ecc… che hanno imitato la nostra struttura e la nostra prassi. Nonostante tutte le difficoltà connesse alla mia sorveglianza continua in ambasciata, le intercettazioni messe in atto dalla NSA nei confronti delle élite politiche, economiche e amministrative di Francia e Germania sono l’ultimo esempio della capacità dell’organizzazione di pubblicare informazioni cruciali per preservare la sovranità e la vita democratica degli Stati.
L’ampiezza dello scandalo e le reazioni che sono seguite alle nostre ultime rivelazioni, confermano la fondatezza del nostro lavoro. La condanna unanime da parte del mondo politico e della società civile francese e tedesca nei confronti delle azioni commesse dal governo degli Stati Uniti d’America e del Regno Unito, così come gli appelli che ne sono seguiti per una revisione delle politiche francesi sulla questione della difesa dei Freelancer e dei giornalisti, avendo ben presente nella memoria l’attentato contro Charlie Hebdo, costituiscono importanti segnali di incoraggiamento.
Queste rivelazioni sono state fatte mettendo a repentaglio la nostra vita.
La Francia compierebbe un gesto umanitario
È per questo motivo che sono rimasto particolarmente colpito dall’inatteso appello del governo francese, per bocca del Ministro della Giustizia Christiane Taubira e rilanciato da decine di altre personalità, affinché la Francia mi conceda asilo. Garante di una costituzione che obbliga la Francia ad accogliere chi lotta per la libertà ed è in pericolo di vita, di una costituzione che obbliga il mondo ad aprire gli occhi sulla nobiltà di questa esigenza, il Ministro ha aperto una strada che, spero, non verrà chiusa.
Accogliendomi la Francia compierebbe un gesto umanitario, ma probabilmente anche simbolico, dando un incoraggiamento a tutti i giornalisti e Freelancer che, in giro per il mondo, rischiano quotidianamente la loro vita per permettere ai loro concittadini di fare un ulteriore passo verso la verità. La Francia lancerebbe inoltre un monito a tutti coloro che nel mondo, colmi di arroganza, tradiscono i suoi valori attaccando senza posa i cittadini che si oppongono. Per lungo tempo la Francia è stata messaggera di speranza e di unicità per individui e popoli del mondo. Ancora oggi i suoi ideali nutrono gli spiriti dei bambini. I miei legami con questo paese non sono solo ideali. Dal 2007 fino alla perdita della mia libertà, nel 2010, ci ho vissuto. Le nostre strutture tecniche sono ancora là.
Mio figlio più piccolo è francese, come sua madre. Da cinque anni non li vedo, da quando è cominciata la mia persecuzione politica. L’attuale situazione è causa per loro di grandi difficoltà. Ho dovuto mantenere segreta la loro esistenza fino ad oggi per proteggerli. Oggi spero che la situazione e gli appoggi di cui godo permetteranno di proteggerli. Il mio primogenito, oggi adulto, e sua madre in Australia subiscono ancora oggi le conseguenze dalla mia condizione. Le minacce di morte, le molestie, comprese quelle provenienti da persone legate all’apparato militare statunitense, sono cominciate nello stesso istante in cui emergevano gli appelli alla mia uccisione. Hanno dovuto cambiare identità e limitare i contatti con me. Non voglio più vivere in queste condizioni. Voglio rivederli.
Persecuzioni politiche
Signor Presidente, oggi la mia vita è in pericolo, e ogni giorno che passa la mia integrità fisica e psichica è sempre più minacciata. Mentre facevo di tutto per salvare la vita di Edward Snowden, molti lavoratori inglesi di WikiLeaks sono stati costretti ad andare in esilio a Berlino, in Germania. Mentre rivelavamo lo scandalo delle intercettazioni della NSA in Francia, i responsabili politici del Regno Unito ammettevano che la zona attorno all’ambasciata equadoregna era sotto pressione statunitense. Mentre creiamo una fondazione in supporto dei Freelancer, Courage Foundation, l’amministrazione USA moltiplica le indagini contro i giornalisti e contro le loro fonti, indagini che hanno raggiunto un’intensità inedita nella storia di quel paese. Mentre Chelsea Manning è stato condannato a 35 anni di prigione per esser stato una delle mie fonti e aver rivelato un numero incalcolabile di crimini di guerra e crimini contro l’umanità, dopo essere stato sottoposto a trattamenti inumani, come riferiscono gli inviati speciali dell’ONU, io continuavo a lavorare con WikiLeaks per assicurarmi che nessuna delle nostre fonti potesse essere identificata per via dei rapporti che aveva con il mio lavoro, e finora ci sono riuscito.
Oggi solo la Francia ha modo di darmi la necessaria protezione contro, e solo contro, le persecuzioni politiche di cui sono oggetto. Come membro dell’Unione Europea, come paese che in tutta la sua storia si è impegnato nella lotta per i valori che ho fatto miei, come quinta potenza mondiale, come paese che ha segnato la mia vita e dove ne ho vissuto una parte, la Francia può, se vuole, fare qualcosa.
Con rispetto,
Julian Assange
Fonte: www.lemonde.fr
3.07.2015
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di MARTINO LAURENTI
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