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martedì 25 settembre 2018

Avere o Essere: le infinite vie del desiderio


Ogni qualvolta ho voluto imprimere alle mie passioni un salto di qualità i risultati sono sempre stati disastrosi. Col tennis, che praticavo con grande gusto ed in maniera assolutamente dilettantistica, tutto andò per il meglio fino a quando non mi attrezzai come un giocatore che si rispetti: completo nuovo dell’Adidas, racchetta nuova, moderna, ultraleggera! Da allora non ho giocato più. Mai più.
Poi è stato il turno della mia passione per i boschi e quella correlata per la raccolta dei funghi. La Foresta Umbra, nel cuore dell’amato Gargano, era diventata il mio regno. Un paio di volte alla settimana, nel periodo propizio, la setacciavo in lungo e in largo alla ricerca di porcini (e del loro re: “boletus aereus”, il porcino nero),dell’ineffabile “amanita caesarea”( ovolo buono) e del gustosissimo “chantarellus cibarius”(il nostro “gallinaccio”).Poi decisi di fare sul serio. Non più il primo ramo che capitasse a tiro per sostenermi nel cammino e spostare le felci e farmi strada nel sottobosco, ma un bastone serio, con tanto di puntale a sonagliera per scongiurare l’incontro con l’unico animale dal morso velenoso che abita le nostre terre: la vipera; non più un normale coltello da cucina ma un coltello professionale per estirpare i preziosi frutti della micorriza con tutte le cautele senza devastarne il micelio. Sarà, ma dopo questi acquisti apparentemente dovuti, non sono più andato a funghi. Incredibilmente. Con l’escursionismo d’alta quota è successo qualcosa di simile: dopo l’acquisto di materiale tecnico per affrontare scarpinate più impegnative tutto è cessato. E l’elenco potrebbe continuare con la chitarra o la fotografia. Ultima vittima eccellente: i viaggi. Adesso che sarebbe tutto più facile, mi interessano sempre meno quelli rivolti all’esterno e sono sempre più impegnato, piuttosto che ad attraversare il mondo, ad attraversar me stesso.
Ora è la volta del vino. Ho fatto in passato un corso e sono diventato sommelier. Poi mi è capitato di scrivere di vino. Che effetti avranno avuto queste cose sul mio amore per il frutto della vite? Lo hanno incrementato, arricchito ,consolidato ? O finiranno per decretarne il declino? Spesso ho pensato a quale meccanismo psicologico venga ingenerato dal voler dare veste ufficiale, quasi istituzionale ad una passione. In me sembra che pregiudichi l’intento ludico, edonistico, gioioso che mi muove e lo trasformi in qualcosa che non mi piace più. E’ come se la mente prendesse il sopravvento sull’istinto per convincere l’Ego dell’ineluttabilità di bisogni che forse non esistono realmente. Io godo già nel sorseggiare un buon calice di vino: cosa dovrei pretendere di più? Che altro mi serve? Sono interrogativi esemplari che potrebbero essere applicati a tutti gli aspetti della vita. Troppo spesso si cerca altrove quel che si ha già e ci si affanna per quello che in fondo non ci manca. Si dovrebbe vivere come si sente e non farci dettare dal pensiero razionale imperativi che non ci appartengono. Ma per il vino, son sicuro, sarà diverso. Non accadrà che il voler rivestire di forma la sostanza finisca per svilirne l’essenza. Perchè è forse la mia più grande e radicata passione e nessuna terminologia predefinita, nessuna gestualità precostituita, nessun nozionismo potranno inquinarne le arcane sorgenti, profonde e spirituali a sufficienza per sottostare e reggere a qualsivoglia sovrastruttura gli si voglia addossare. Questa è più di una speranza: sono sempre più rivolto, più che al Fare o all’ Avere, all’ Essere.
Rosario Tiso





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