Andreotti e Cossiga: sarebbero stati soprattutto loro a impedire che Aldo Moro venisse liberato dai Gis dei carabinieri del generale Carlo Alberto dalla Chiesa, insieme ai Nocs della polizia. Reparti speciali che, si dice, avevano individuato la prigione romana dello statista democristiano. E’ la tesi, più volte esposta (anche in libri di successo) da un magistrato di lungo corso come Ferdinando Imposimato, già pm e poi presidente onorario della Cassazione. La sua versione, suffragata da testimoni-chiave delle forze dell’ordine: il blitz decisivo fu impedito da Andreotti e Cossiga. Movente: ambivano entrambi alla carica alla quale sarebbe stato destinato Moro, il Quirinale. Gli americani? C’entrano, ma fino a un certo punto: perché poi, al dunque, “ritirarono” il loro uomo, Steve Pieczneick, in un primo momento inviato a Roma per controllare (e depistare) le indagini. Regia dell’operazione Moro: affidata alla Gladio, costola dell’intelligence Nato, in Italia gestita da uomini della P2 come il generale Giuseppe Santovito, allora a capo del Sismi. Nel saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, Gianfranco Carpeoro aggiunge un nome, quello del politologo statunitense Michael Leeden, tuttora attivissimo: sarebbe stato il vero burattinaio di Gelli. Per Gioele Magaldi, autore del besteller “Massoni”, la P2 era il terminale italiano della Ur-Lodge “Three Eyes”, potentissima superloggia internazionale di stampo antidemocratico.
Secondo Carpeoro, Ledeen è un eminente uomo del B’nai B’rith, cellula super-massonica del Mossad. Che c’entra, lo Stato ebraico, con l’intricatissimo caso Moro, tuttora oscuro in moltissimi suoi aspetti? Per Imposimato, il ruolo dei servizi segreti israeliani – che infiltrarono le Brigate Rosse insieme alla Cia e al Kgb dopo l’arresto di Renato Curcio – era chiaro: contribuire a destabilizzare l’Italia, per dimostrare agli Usa che Israele sarebbe stato l’unico alleato su cui contare davvero, nel Mediterraneo, per la gestione geopolitica del Medio Oriente. In più, Moro – fautore della storica esperienza del centrosinistra, il governo di coalizione con i socialisti, nonché dialogante con il Pci di Berlinguer in vista di un possibile “compromesso storico” sulla base dell’Eurocomuismo, non più satellite di Mosca – era un politico moderato, favorevole alla distensione con l’Urss. Un brutto cliente, per l’immenso business degli armamenti alimentato dalla guerra fredda, che in realtà – per Carpeoro – era una lucrosa truffa: «Ledeen e soci hanno pianto, quando è crollata l’Unione Sovietica: per loro finiva il bengodi», che era basato su un raggiro: «Tutti, in ambito Nato, sapevano perfettamente che la minaccia sovietica non era reale, era stata gonfiata ad arte per ingrassare le strutture di intelligence e l’industria degli armamenti».
Narrazioni, giornalistiche e non, che concorrono a delineare un quadro convergente: la strategia della tensione è servita soprattutto a sabotare l’Italia come protagonista nel Mediterraneo, mettendo in crisi – prima sul piano politico, poi anche economico – il paese che più di ogni altro, in Occidente, aveva saputo risorgere dalle macerie della guerra, giungendo a essere la quarta potenza industriale al mondo. L’Italia – dalla fine di Moro a quella di Craxi, e prima ancora quella di Enrico Mattei – come banco di prova di una grande operazione internazionale, ideata e condotta da élite super-massoniche: minare dalle fondamenta il benessere diffuso promosso dall’economia mista (in Italia assicurata dall’Iri, poi privatizzata da Prodi) e tagliare le protezioni sociali del Welfare State, ideato dal massone inglese progressista William Beveridge. Welfare che ha poi brillato soprattutto in Scandinavia, in paesi come la Svezia, dove (non a caso) a metà degli anni ‘80 fu assassinato il leader socialdemocratico e primo ministro in carica Olof Palme, alla vigilia della sua elezione all’Onu come segretario generale. Nel suo saggio, Carpeoro ricorda il telegramma nel quale lo stesso Gelli, alla vigilia dell’omcidio Palme, scrisse al parlamentare statunitense Philip Guarino, braccio destro di Michael Ledeen, che molto presto “la palma svedese” sarebbe “caduta”.
A Washington allora agivano, in prima linea o dietro le quinte, pesi massimi come Henry Kissinger e Zbigniew Brzezinski, eminenti super-massoni della “Three Eyes”. Spesso – avverte Magaldi – si confonde “l’America”, cioè il governo Usa, con determinate componenti, molto influenti, che manipolano e utilizzano il governo stesso per attuare i loro disegni, rispetto ai quali l’Italia – con i suoi 3 tentativi di golpe, tutti sventati – ha avuto un ruolo chiave, negli anni ‘60 e ‘70, come decisivo terreno di scontro tra le due grandi correnti super-massoniche internazionali. Da una parte quella progressista, a lungo vincente, roosveltiana e kennediana, keynesiana in economia, giunta fino a propiziare l’elezione di Jfk alla Casa Bianca insieme a quella di Angelo Roncalli in Vaticano (Papa Giovanni XXIII), progettando poi negli Usa lo spettacolare ticket formato da Bob Kennedy e Martin Luther King. E dall’altra il cartello neo-feudale, ultraconservatore e reazionario, neoliberista ineconomia, che ha fatto piazza pulita dei leader democratici – con ogni mezzo, dalla strategia della tensione (Gladio) a Tangentopoli – per poi consegnare l’Italia all’orrore di questa Ue, dominata dal mercantilismo tedesco ed egemonizzata da figure come la “sorella” Angela Merkel e il “fratello” Mario Draghi.
L’Italia sempre nel mirino: economia da sabotare alla radice per avvantaggiare la concorrenza della Germania, anche abbattendo un politico impresentabile (ma non-allineato) come Berlusconi, fino a imporre il commissario super-massone Monti, poi seguito da Enrico Letta (Opus Dei, Bilderberg, Trilaterale) e Matteo Renzi, considerato «un wannabe, cioè un aspirante super-massone, nel suo caso “bussante” alla super-massoneria reazionaria, quella di Draghi e Merkel, Monti e Napolitano». In libri come “Il golpe inglese”, il giornalista Giovanni Fasanella insiste sul ruolo di Londra nel controllare (e frenare) l’Italia, vista come potenziale concorrente nel Mediterraneo fin dall’inizio, al tempo in cui la flotta di sua maestà proteggeva dal mare la spedizione dei Mille, isolando i Borbone. Dappertutto lo zampino inglese, tra le pagine più cruciali della nostra storia. Imposimato racconta che la prigione di Moro non era monitorata solo dai carabinieri pronti a liberare il presidente della Dc, ma anche da Gladio e dai servizi britannici, che – con l’aiuto di Andreotti e Cossiga (nonché dell’intransigente Pci) – resero inevitabile l’uccisione di Moro da parte delle Br.
L’ombra del “golpe inglese” affiora anche dalle ipotesi sviluppate attorno al tragico omicidio del giovane Giulio Regeni, ingaggiato al Cairo da una opaca Ong collegata all’università di Cambridge: secondo Marco Gregoretti, reporter pluri-premiato e già inviato speciale di “Panorama”, il lavoro di Regeni era destinato all’Mi6, l’intelligence di Londra, entrato in conflitto con i servizi italiani alla vigilia del possibile intervento armato dell’Italia in Libia, caldeggiato da Obama e assistito dall’Egitto. In altre parole, Regeni sarebbe stato barbaramente assassinato da killer egiziani su ordine inglese, per creare un incidente tra Italia ed Egitto e mandare in fumo la missione italiana in Libia, dopo la guerra contro Gheddafi, alleato di Roma, voluta da Sarkozy ma condotta con il determinante appoggio di Londra, sempre per sabotare la linea diretta, petrolifera, tra Roma e Tripoli. Gregoretti non può provare quanto afferma, spiegando che la sua fonte è un alto funzionario dell’Aise, il controspionaggio italiano. Quantomeno, delinea un movente coerente – a differenza della versione ufficiale, secondo cui il regime il Al-Sisi sarebbe stato così pazzo da far rapire, torturare e uccidere un giovane ricercatore italiano, facendone poi ritrovare il corpo a due passi da un palazzo governativo il giorno stesso della visita ufficiale, al Cairo, di esponenti del governo italiano.
A volte la verità si chiama complotto, ma la sua vulgata attuale – il cosiddetto complottismo, spesso impreciso e sbrigativamente riduzionista – prevede che il vero colpevole sia sempre e solo uno, e che il suo obiettivo occulto venga smascherato da chi ha capito tutto. E’ la scorciatoia perfetta per screditare fonti d’accusa e mantenere al riparo i veri artefici del complotto, che in genere sono tanti e hanno obiettivi ramificati, non tutti leggibili. «Non si sbaglia se si guarda alla soluzione più semplice, che esiste sempre ed è quella del denaro», avverte Carpeoro, secondo cui «il potere non è una piramide: è uno schema astratto, a prescindere da chi lo interpreta». Esempio: «Puoi arrestare Riina, e c’è pronto Provenzano. Arresti Provenzano, e in una notte Cosa Nostra si riunisce e lo sostituisce con Matteo Messina Denaro. E così via». Aggiunge Imposimato, durante la presentazione di un suo libro: «Lo Stato è infinitamente più potente della mafia. Se non la debella è perché non vuole. Falcone e Borsellino lo avevano capito». Avevano intuito, i due magistrati-eroi, che anche la mafia, gestita da settori di intelligence, “serviva” a molte cose inconfessabili. «Tutti sanno che i servizi trafficano droga, perché i soldi che lo Stato destina all’intelligence non bastano mai», dichiara Carpeoro, che alle spalle trent’anni di carriera come avvocato e ha rifiutato la richiesta, «avanzata per cinque volte», di fare da consulente per i servizi italiani.
La trattativa Stato-mafia? E’ la scoperta dell’acqua calda, secondo alcuni analisti. Vale anche per il terrorismo: «Laddove la cosiddetta Isis colpisce – afferma Magaldi – è perché settori dell’intelligence, in Europa, glielo permettono». Come dire: nulla accade senza una regia. “Follow the money”, direbbe l’investigatore americano. Seguite i soldi, ripete Carpeoro, e capirete chi ha deciso cosa. Il perché è presto detto: accumulare potere, cioè denaro. Non è una novità, è sempre stato così. Con la differenza che, oggi, il potere si è ulteriormente degradato: «Cinquant’anni fa – dice ancora l’avvocato – un boss della camorra non avrebbe mai sotterrato rifiuti tossici nel prato dove giocano i suoi figli». Oggi siamo al paradosso estremo: due guerre devastanti (Afghanistan e Iraq), concepite come focolai di un grande incendio teoricamente infinito, sono state innescate da prove false all’indomani del maxi-attentato dell’11 Settembre, in cui l’unica certezza è che la versione ufficiale (leTwin Towers abbattute da aerei dirottati da islamici, a insaputa di Cia e Fbi) è semplicemente ridicola, tecnicamente insostenibile. Dall’11 Settembre alla guerra in Siria, fino al violento “regime change” in Ucraina e al recentissimo Russiagate montato ad arte per far dimettere Trump.
Veterani dell’intelligence Usa, riuniti nell’associazione Vips – racconta Giulietto Chiesa su “Pandora Tv” – dimostrano che non c’è stata nessuna possibilità tecnica di “hackeraggio russo” per influenzare le presidenziali Usa. Ma i media mainstream ignorano la notizia, nonostante le micidiali sanzioni “bulgare” imposte dal Congresso contro la Russia. Obiettivo: forzare Trump verso una tensione con Mosca che coinvolge pericolosamente gli europei in prima linea, gli alleati Nato. E se l’Europa è inesistente, a livello geopolitico, dopo Berlusconi – e le sue aperture a Putin e Gheddafi – l’Italia è addirittura sparita dall’anagrafe. Monti, Letta, Renzi, Gentiloni. «Dal 2011 – sintetizza Magaldi a “Colors Radio” – ha preso il comando quello che il super-massone reazionario Mario Draghi definisce “il pilota automatico”», cioè la legge del grande business che ha raso al suolo la politica, asservendola interamente ai suoi interessi di élite.
Non stupisce neppure la riapertura delle indagini sul Mostro di Firenze, saga-horror “riletta” come pagina della strategia della tensione: lo choc degli omicidi seriali per distrarre l’opinione pubblica dall’Italia delle stragi di Stato. “Follow the money”: verticalizzare ilpotere, tagliando la democrazia, per gonfiare di trilioni la super-finanza multinazionale, protagonista della globalizzazione “totalitaria” di oggi. Con uno spiraglio, indicato da Magaldi e Carpeoro: una parte di quella élite, largamente super-massonica, sta cominciando a divorziare. Sanders negli Usa, Corbyn a Londra. «Segnali chiari, che l’oligarchia teme: per questo, oggi, preme sul terrorismo. Sa che domani potrebbe perdere, dopo quarant’anni, il potere incontrastato di cui ha goduto, trasformando il mondo in un inferno di ingiustizie». Sanders e Corbyn, più la nascente opposizione francese al super-massone reazionario Macron, creatura del neo-aristocratico Jacques Attali. Niente in vista, invece, in Italia: a Renzi e Berlusconi si oppone teoricamente Grillo, che sorvola sui i veri problemi del paese. Uno su tutti: lo smantellamento dell’Italia, che l’élite della “sovragestione” (anche stragistica) ha affidato all’Ue, fidando nei docili politici, assolutamente innocui, che presidiano il Parlamento, maggioranza e opposizione.
fonte http://www.libreidee.org/2017/08/potere-e-denaro-dal-caso-moro-allisis-fino-al-russiagate/
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