”Le
Scuole a Venezia erano confraternite di laici che, sotto il
patrocinio del Santo protettore, si proponevano scopi di devozione e
penitenza….” Così recita la “brochure”, tradotta nelle
principali lingue, a disposizione dei turisti che varcano l'ingresso della
“Scuola Grande di S.Rocco”.
Da
tempo avevo nel mirino una visita alla celebre collezione di dipinti
in essa contenuti che la fanno ritenere unanimemente una sorta di
“Cappella Sistina” veneziana.
Il
Tintoretto vi lavorò per oltre un ventennio e il parallelismo con
l’opera michelangiolesca non sembra così azzardato. I “teleri”
di Tintoretto (termine dovuto alle loro enormi dimensioni) sono senza
alcun dubbio l’apogèo della sua parabola artistica, così come gli
affreschi della “Sistina” lo furono per Michelangelo.
L’ingresso
al “Salone Terreno” mi vede in trepidante attesa. Sono ben otto i
giganteschi dipinti che ne tappezzano le pareti, ognuno
rappresentante una scena biblica. Mi colpisce in particolar modo la
visione della “Fuga in Egitto” per i lampi di luminosità che
innervano la tela e che resero celebre il suo autore. Basterebbe già
la qualità di questo ambiente a farmi ritenere soddisfatto e
meritevole il viaggio. Ma so di essere all’inizio di un’esperienza
ancora tutta da gustare. Affronto il bello scalone dello Scarpagnino
con un senso di crescente emozione. La vista del “Salone Maggiore”
mi toglie il fiato, tale è l’ammontare di bellezza che ne promana.
I sensi ne sono letteralmente travolti. Tutto è di eccezionale
fattura: dai “teleri” che contornano e sovrastano lo sguardo
all’incredibile teoria di stalli lìgnei che ne percorrono il
perimetro, dalle luci che creano una sensazione di calore soffuso al
pavimento policromo.
Poi…il
gioco degli specchi! Magia nella magia, una serie di specchi sono a
disposizione degli attoniti sguardi adoranti per consentire ai
visitatori di scrutare anche il più piccolo particolare che li
sovrasta. Basta una leggera inclinazione dello specchio e la figura
che si vede in orizzontale mettendosi a testa in sù si presenta
alla vista dritta e in verticale, vicina e nitida. Non si riesce a
smettere di ruotare la superficie riflettente per scovare anche la
più minuta arguzia pittorica.
Ci
si ritrova, dopo un po’, sazi e saturi di piacere. L’ingresso
alla “Sala dell’Albergo” sembra addirittura pleonastico.
Se
non fosse che lì si trova la tela più bella: ”La Crocifissione”.
La sacra rappresentazione occupa totalmente la parete di fronte
all’ingresso.
L’impatto
è di paralizzante suggestione. E’ forse la più grande opera del
Tintoretto, grondante di luce, di drammatica tensione emotiva.
Il
suo autoritratto, come era in uso all’epoca, fa capolino fra gli
astanti in una figura a cavallo. Ne seguo grato il profilo e
idealmente lo ringrazio per il dono puro di una scena così
commovente e trasudante di vita.
Rosario
Tiso
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