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mercoledì 25 luglio 2018

OSTERIE A VENEZIA


Fra le tante attività che caratterizzano la vita in laguna c’è una necessità che accomuna quasi tutti i veneziani: il bere vino. Pare che l’abitudine di bere sia derivata dal fatto che l’acqua nei secoli passati a Venezia scarseggiasse e che il vino in certe osterie a prezzo politico aiutasse a sollevare dal freddo i poveri. Una volta erano tante le osterie. Nel 1910 se ne contavano più di mille e a Malamocco, nucleo storico della laguna al Lido, vi erano ben 74 rivendite di vino per 900 abitanti!! Per i veneziani le osterie sono luoghi di ritrovo, di incontro e d’oblio. Quando sul finire degli anni settanta le ho visitate per la prima volta con disperata passione ( per via della loro progressiva e repentina estinzione ) e in seguito negli anni ottanta e novanta, solo in poche era rintracciabile quel calore umano per cui erano tanto ricercate. L’autenticità è andata irrimediabilmente perduta nel nome del profitto che induce i nuovi proprietari a trattare i clienti come fossero cavalli da foraggiare. Ringrazio Dio per aver goduto intensamente degli ultimi bagliori di un mondo che quasi non esiste più. La toponomastica veneziana ci ricorda il tempo che fu. Nei “nisioleti” che tappezzano i “sestieri” veneziani campeggiano scritte quali “Riva del Vin”, “Calle dei Boteri”, “Via del vino bianco” e persino “Via della cirrosi”. Anche il linguaggio resiste imperituro. Le parole magiche sono : “OMBRA” e “CICHETO” o “CICCHETO” o “CICCHETTO”.
OMBRA” sembra derivare da un banchetto di mescita ambulante che, in un remoto passato, vendeva vino in Piazza S. Marco seguendo l’ombra del Campanile durante l’intera giornata. Se si ordina in una qualsiasi osteria un’ombra, ti arriva un bicchiere di vino. Il “CICHETO” o “CICCHETO” o “CICCHETTO” che dir si voglia è lo spuntino minuscolo, tenuto spesso insieme con uno stecchino, che va degustato con una buona “ombra”. Fra le innumerevoli osterie veneziane che ho visitato lungo tutta un’esistenza alcune hanno lasciato il segno.
Riva del Carbon e la contrapposta Fondamenta del Vin fanno da incantevole contorno al tratto di canal Grande che guarda Rialto. Nel sestiere di S. Marco in Calle Cavalli al civico 4082 , una delle tante digressioni verso l’interno, c’è ancora l’enoteca “Al Volto”. E’ in assoluto la prima osteria-bacaro di Venezia che ho visitato e una delle più antiche .Dal 1936, è stata la prima enoteca privata aperta dopo quella nazionale di Firenze. Celeberrima per l’eccezionale cantina, ha conservato tutto il suo fascino, con pochi tavoli nella calle e tanto calore al suo interno, sì da farne un luogo di sicura atmosfera. Dopo trent’anni dai miei esordi veneziani ho ritrovato tracce quasi immutate di memoria. Una rapida sosta per rinverdire il “perlage” dei ricordi e nella mente prende forma un altro fantasma del passato, la successiva meta del mio pellegrinaggio veneziano tra i luoghi del bere: l’ “Aciugheta” ( CASTELLO – Campo S. Filippo e Giacomo, 4357 ).
Mi han detto che si è trasformata da “bacaro” celebre per i suoi “cicheti”(la mitica “aciugheta” per l’appunto) a ristorante-pizzeria con annesso alberghetto a due stelle.
In Campo SS. Filippo e Giacomo all’imbrunire l’animazione è ancora notevole. Nei tavoli dislocati davanti all’ingresso c’è quasi il pienone.
Si liberano dei posti e posso accomodarmi.
Il menù è di quelli ad uso e consumo del turismo di massa.
Ma fra le righe balenano lampi di autentica venezianità.
Ordino un gran misto di “cicheti”. Quel che degusto, di lì a pochi minuti, è un vero e proprio “excursus” didattico nella cucina più autentica di Venezia.
Godo di ogni assaggio, di ogni boccone, e ritrovo l’ “Aciugheta” di un tempo!
L’epopea dei “cicheti” non è ancora tramontata.
Poi, la ciliegina sulla torta.
L’umile “bacaro” si è dotato di una cantina di tutto rispetto.
Fra le proposte al bicchiere noto la presenza del merlot “Apparita” del Castello di Ama. Il prezzo di 9 euro per 100ml mi fa dubitare sulla reale corrispondenza fra quanto scritto e la realtà. Chiedo lumi al cameriere che, per rassicurarmi, va a controllare e mi conduce la bottiglia: è del 1999,aperta da poco.
Assaggio così uno dei più grandi merlot italiani.
Risulta sulle prime un po’ ossidato con “nuances” che richiamano il profilo olfattivo di un Porto di rango.
Dopo una doverosa ossigenazione il bouquet si apre e mostra un’eleganza e una finezza da vino di alto lignaggio, corrispondente ad una bocca complessa e intrigante, sapida e opulenta. Il retrogusto restituisce quel che, a primo impatto, sembrava sfumato: un frutto primigenio di notevole consistenza.
Francamente non potevo sperare di meglio.
Di seguito, e quasi a braccio, vado snocciolando qualche residuo ricordo sparso di alcune delle osterie veneziane che ho visitato. “All’antica Adelaide” ( CANNAREGIO – Calle Racchetta, 3728 ) era in passato un ritrovo per sacerdoti a cui era riservata una saletta - Ricordo che vi si mesceva dell’ottimo tocai ( 700 lire al bicchiere ) ; ottimi e abbondanti cicchetti “Al Bomba” ( CANNAREGIO – Calle de l’oca, 4297) - Quando ci sono andato la prima volta il poeta Aldo Palazzeschi abitava in una via adiacente, “Calle Morta” ; è forse la più bella di tutte “Alla Frasca” ( CANNAREGIO – Corte della Carità, 5176 ) - Ha più di cent’anni e troneggia in una corte magica; “Da Codroma” ha 200 anni di vita ( DORSODURO – Fondamenta Briati, 2540 ) e si poteva giocare a carte - Cosa che faceva anche Emile Zola di passaggio a Venezia; la più antica di tutte è la cantina “Do Mori” ( S.POLO – Rialto, 429 ) - Attiva sin dal 1460 ( di più antico c’è qualcosa tra Bologna e Ferrara ) , adesso è un moderno ed elegante ricettacolo di vini, cicchetti e molta gente chic - Locale tra i più turistici nel senso deteriore del termine, è bello senz’anima e spicca per assenza di venezianità; irresistibile la finestra “da mescita” sul campo di “Vini da Pinto” (S.POLO – Campo de le Becherie, 367) – Vi passano quotidianamente innumerevoli “ombre” tra il fitto andirivieni di turisti; “Ae do Spade” (S.POLO – Calle de le do Spade, 860) non si sfugge al racconto di quella che fu la frequentazione di Casanova nella metà del Settecento. Per ultima citerei l’Osteria –trattoria “Da Romano Ai Cacciatori” a Mazzorbo : è possibile ormeggiare la barca all’ingresso e vi ho mangiato le migliori tagliatelle al sugo di anatra selvatica della mia vita.
Bere a Venezia è una cosa seria. In una delle sue innumerevoli osterie si può ancora incontrare il “genius loci”. E’ tale e tanta l’offerta da risultare di difficile discernimento. Ancora una volta serve un istinto che guarda al cuore e alla tradizione.
Rosario Tiso






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