I dati di dicembre sull’inflazione nell’Eurozona indicano che si sono materializzati due mali in una forma che dimostra il fallimento della politica della BCE e segna la possibile fine di quest’ultima.
Infatti, dopo anni di stagnazione, l’inflazione nei Paesi dell’Euro è salita all’1,1%. Si tratta di una media tra due estremi: mentre la Germania all’1,7% si avvicina all’obiettivo della BCE, l’Italia con lo 0.4% e un tasso annuale di -0.1% è ufficialmente in deflazione.
Se i dati dell’Eurozona continueranno a salire, la BCE potrà difficilmente proseguire la sua politica di espansione monetaria, il cui obiettivo era raggiungere il 2% di inflazione o “close to”, come la stessa BCE non si stanca di ripetere. Il capo dell’Istituto IFO di Monaco di Baviera, Clemens Fuest, riflette il punto di vista di molti in Germania, inclusi i principali media, quando dichiara al Frankfurter Allgemeine Zeitung (il 4 gennaio) che se “questi dati verranno confermati per tutta l’Eurozona, la BCE dovrà porre fine al programma di acquisto di titoli nel marzo 2017”.
Se l’istituto di Francoforte porrà fine alla politica di tassi di interesse nulli e al programma Assets Purchase Program (APP), provocherà una crisi del debito nell’Eurozona, con l’epicentro in Italia. Nel 2017, l’Italia deve rifinanziare 260 miliardi di Euro di debito pubblico, e se la BCE smetterà di comprare titoli, lo spread salirà alle stelle come nel 2011.
L’Italia è stata l’allieva modello per l’UE negli ultimi 20 anni, raggiungendo un surplus primario ogni anno, ma a un alto prezzo: nello stesso periodo è diminuita la crescita ed è iniziata la deflazione. La deflazione è un sintomo del crollo della domanda e questa tendenza assicura che il tasso debito/PIL aumenterà.
Negli ultimi 20 anni, stando ai dati pubblicati dall’Ufficio Parlamentare del Bilancio, l’Italia ha pagato oltre 1700 miliardi di Euro di interessi sul debito pubblico, l’equivalente del PIL annuale. Dei 260 miliardi di Euro da rifinanziare nel 2017, 214 miliardi riguardano vecchi titoli in scadenza e 47 miliardi gli interessi.
Uno scenario di crisi del debito si aggiungerebbe alla cosiddetta “crisi bancaria italiana” descritta nel numero della scorsa settimana (cfr. SAS 01/17). Di fronte a questa combinazione esplosiva e con la scelta di soccombere alla Troika o lasciare l’Euro, l’Italia potrebbe scegliere l’ultima opzione.
Il clima oggi è diverso da quello del 2011, quando l’establishment italiano cedette a Bruxelles e Francoforte e installò il governo di Monti, voluto dalla Troika, e ciò si riflette anche nei quotidiani di proprietà di interessi economici.
Il 27 dicembre il Corriere della Sera ha pubblicato un articolo di due economisti ed ex ministri, Giorgio La Malfa e Paolo Savona, che dichiarano che “Il governo italiano dovrebbe sollecitare (…) un chiarimento alla Germania e chiederle di prendere lei l’iniziativa di un ripensamento della moneta unica”. Savona e La Malfa propongono due possibilità: a) la Germania che lascia la valuta unica; b) sostituire l’Euro con un sistema di valute nazionali simili al sistema di Bretton Woods.
Roberto Napoletano, direttore del quotidiano della Confindustria Il Sole 24 Ore, il 3 gennaio ha accusato il “club finanziario” diretto da Germania e Francia di sfruttare il tema delle sofferenze bancarie come capro espiatorio per vittimizzare l’Italia, cosa inaccettabile. Ha chiesto che il governo italiano ponga il veto sulla questione dei Non Performing Loan fino a quando non verrà affrontata la questione dei derivati, soprattutto dei titoli di “level 3” delle banche zombie.
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