domenica 29 giugno 2014
I magistrati perdono la voce quando interviene il Colle.
I magistrati perdono la voce quando interviene il Colle
SILENZIO SU NAPOLITANO, CSM E CASO BRUTI, MA RACANELLI E SANSA PROTESTANO
di Antonella Mascali
Appena si nomina il presidente Giorgio Napolitano la stragrande maggioranza dei magistrati chiamati al telefono, tantissimi, si inventano ogni tipo di scusa per non rispondere su quanto scritto dal capo dello Stato nella lettera a favore di Edmondo Bruti Liberati, alla vigilia del voto del plenum del Csm, la settimana scorsa, sullo scontro alla procura milanese. Insomma, silenzio quasi assoluto su quanto scritto dal capo dello Stato. Eppure nell’atto costitutivo di Magistratura democratica del 1964, per esempio, è indicato l’obiettivo “dell’eliminazione dell’attuale assetto gerarchico-piramidale” degli uffici giudiziari.
MA NON TUTTI i magistrati vogliono stare zitti. Accetta di rispondere il presidente del tribunale per i minorenni di Genova, Adriano Sansa, che prima di criticare Napolitano “interventista” vuole fare una premessa per far capire quanto sia importante la concezione del ruolo dei procuratori: “Con la riforma Castelli e poi Mastella si è tornati indietro: il procuratore è diventato unico titolare dell’azione penale e si è ridotta l’azione dei pubblici ministeri. In questa situazione, la discussione sui limiti del potere del capo è estremamente importante perché se si arrivasse a dire che può dare le disposizioni che vuole avremmo il possibile condizionamento politico delle inchieste. Dunque, l’azione di Napolitano dà la sensazione di un interventismo della Presidenza della Repubblica più che di un intervento. È inquietante che abbia inviato una lettera al Csm per dire, in sostanza, fate come vi dico. Il suo è stato un gesto che deve preoccupare: dà forza alla visione in senso strettamente gerarchico delle funzioni del procuratore della Repubblica”.
Per il consigliere del Csm Antonello Racanelli, di Mi, la lettera del capo dello Stato rappresenta “una vicenda che desta perplessità poiché nella parte conclusiva della missiva c’è un invito ai consiglieri a tener conto di quanto espresso dal presidente. Ciò vuol dire che era destinata a essere conosciuta dai consiglieri. Perché non è stata letta? (dal vicepresidente Michele Vietti al plenum, ndr). Forse si temeva che consiglieri togati, che almeno a parole hanno sempre difeso l’autonomia e l’indipendenza dei pubblici ministeri, avessero difficoltà a votare proposte di maggioranza rivedute e corrette, e assumessero posizione contro la tesi del presidente? Al di là del massimo rispetto e la massima considerazione che si deve avere per le valutazioni del capo dello Stato, non necessariamente devono essere fatte proprie dal plenum. Anzi, auspico, rispetto ai poteri del procuratore della Repubblica, che il plenum sostenga una posizione diversa”.
OPPOSTA L’OPINIONE di un altro consigliere del Csm, Paolo Auriemma, di Unicost: “È apprezzabile la scelta del vicepresidente di non leggere la lettera al plenum (ne ha letto solo qualche frase, ndr) perché così ha fatto in modo di non condizionare il dibattito. La delibera finale è in sintonia con quanto pensa il capo dello Stato ma noi non conoscevamo il contenuto della missiva”. Però, osserviamo, soprattutto il testo della Settima commissione è stato limato di tutti i passaggi critici sul procuratore Bruti dopo che si è appreso dell’esistenza della lettera... “I testi delle relazioni sono stati modificati prima del voto in plenum semplicemente perché si voleva avere un’ampia condivisione delle scelte”.
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