L’attesa è intrisa di
spiritualità. Una religiosità laica che balena negli occhi della
gente ordinatamente schierata in file che lentamente muovono verso il
Mausoleo. Sono a Mosca, nella Piazza Rossa. E sto per rendere omaggio
alla salma di Lenin. Un florilegio di pensieri e di sensazioni
saturano la mente. Sto per accostarmi ad un simbolo e la suggestione
è forte. La Russia è meravigliosa e terribile, affascinante e
nostalgica. Il Cremlino è uno scrigno di tesori, l’Arbat una
scheggia di Occidente, il Bol’šoj un’impareggiabile fucina
artistica. Parte del resto è diffuso grigiore. All’arido caos
moscovita fanno da contraltare le bellezze di S. Pietroburgo, città
sorta come per magia sull’acqua. Il reticolo di canali che
l’attraversano sono un incanto. L’Ermitage toglie il fiato . Nel
cimitero Tichvin del monastero Aleksandr Nevskij, di fronte ad una
pietra tombale, le labbra meccanicamente biascicano un nome dal
portato universale: Fedor Dostoevskij. Che emozione!Il sommo
ispiratore dei miei pensieri più intimi è idealmente di fronte a
me. Il turbine dei sentimenti che m’investe mi fa barcollare. Ben
altre impressioni nel varcare le porte del “sancta sanctorum”
della religione ortodossa .Il Vaticano russo, Zagorsk, ad una
manciata di chilometri da Mosca, mi persuade dell’assoluta identità
di tutti i “vaticani” del mondo: centri di potere,
autocelebrativi, grondanti la loro sedicente autorità. Se non fosse
per il profluvio d’opere d’arte che li popolano, come loro
necessario corollario, simili luoghi sarebbero da evitare. Meglio la
taiga che polverosi conventi, il respiro mentoso di boschi
incontaminati che il mercimonio di anime e cose.
Rosario Tiso
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