E’ un programma-spia originato in Israele. I ricercatori informatici dell’università di Toronto del gruppo Citizen Labs l’hanno identificato nei telefoni cellulari di 45 paesi. Serve a esfiltrare dati riservati e privati dai telefoni portatili infettati, anche password, chiamate e registrazioni vocali, messaggi di testo. Ovviamente può anche localizzare per l’operatore clandestino dove l’ignaro possessore del cellulare si trova.
Venduto di una società di Herzliya (sede della cosiddetta università del Mossad) chiamata NSO Group, sono venduti ad almeno 36 operatori, sia privati o governi e stati discutibili. La prima indagine infatti nasce nel 2017 dal sospetto di giornalisti messicani che il loro telefono fosse spiato; i ricercatori canadesi scoprirono che ad essere infettati erano anche gli smartphone di oppositori politici, avvocati anticorruzione eccetera. Ciò ha dato origine ad un scandalo politico ( #GobiernoEspía) con strascichi giudiziari in corso.
I canadesi hanno rilevato che “diversi paesi infrangono coscientemente le leggi Usa penetranti in dispositivi negli Stati Uniti” con Pegasus. Israele soprattutto, ovviamente. Che spia,, si stupiscono i ricercatori, anche “paesi democratici alleati o no di Israele”.
Curiosa espressione: ci sono paesi che si dicono “alleati” di Israele, ma Israele non si ritiene “alleata” con loro da astenersi da operazioni sporche.
“Nessun altro paese al mondo si ingerisce degli affari degli altri paesi più di Israele”; dice Alan Gresh, stagionato giornalista ed uno dei maggiori inviati nel Medio Oriente.
Gresh racconta, sull’ultimo numero di Le Monde Diplomatique, di un magistrale documentario realizzato da Al JAzeera che non potremo vedere:
“L’Occupazione della mente americana” dalla influenza israeliana.
Per il reportage un giornalista britannico ebreo, James Anthony Kleinfeld, brillante, oxfordiano, sei lingue, contagiosamente simpatico si è infiltrato fino ai vertici dei gruppo di pressione ebraici in Usa, a cominciare dai caporioni dell’AIPAc (American Israeli Public Affairs Committe). Fra un cocktail e una chiacchierata mondana, riprende di nascosto i suoi interlocutori, mentre gi confidano: “I membri del Congresso? Nulla fanno se non si fa presione su di loro. Oggi, il solo modo, sono i soldi”. Come si fa a contrastare gli attivisti pro-palestinesi? “Con gli anti-Israeliani, il modo più efficace è fare indagini su di loro e mettere in linea un sito web anonimo” in cui la persona presa di mira crede di riconoscere amici , con cui si confida e confida qualcosa di compromettente, mentre si mette nelle mani di informatori sionisti che agiscono su indicazione dell’apposito ministero israeliano di affari strategici. In pratica, operazioni schedatura, provocazione e ricatto; l’accusa di “antisemitismo”, ovviamente…
Per il reportage un giornalista britannico ebreo, James Anthony Kleinfeld, brillante, oxfordiano, sei lingue, contagiosamente simpatico si è infiltrato fino ai vertici dei gruppo di pressione ebraici in Usa, a cominciare dai caporioni dell’AIPAc (American Israeli Public Affairs Committe). Fra un cocktail e una chiacchierata mondana, riprende di nascosto i suoi interlocutori, mentre gi confidano: “I membri del Congresso? Nulla fanno se non si fa presione su di loro. Oggi, il solo modo, sono i soldi”. Come si fa a contrastare gli attivisti pro-palestinesi? “Con gli anti-Israeliani, il modo più efficace è fare indagini su di loro e mettere in linea un sito web anonimo” in cui la persona presa di mira crede di riconoscere amici , con cui si confida e confida qualcosa di compromettente, mentre si mette nelle mani di informatori sionisti che agiscono su indicazione dell’apposito ministero israeliano di affari strategici. In pratica, operazioni schedatura, provocazione e ricatto; l’accusa di “antisemitismo”, ovviamente…
Ma questo è solo l’inizio. Il documentario – con le voci dei colpevoli, ripresi da telecamera nascosta – racconta i metodi coi quali la lobby controlla, condiziona, intimidisce i giornalisti, i direttori dei media e gli editori. Al punto che la produttrice del reportage, Sut Jhally, docente di comunicazione alla University of Massachusetts, dice: “Ciò che abbiamo visto è una forma di occupazione: l’occupazione dei media americani e delle menti americane con la narrativa israeliana”.
La conferma è arrivata presto. Il Qatar, proprietario di Al Jazeera, ha ricevuto le dovute pressioni ai più alti livelli del potere americano, ed anche le più convincenti: se avesse lasciato diffondere il documentario imbarazzante per Sion, si sarebbe giocato l’appoggio Usa nello scontro che lo oppone all’Arabia Saudita.
Il 10 aprile scorso, la Zionist Organization of America ha pubblicato un breve resoconto in cui il suo presidente Morton Klein si dichiarava “fiero e felice di annunciare che, grazie ai nostri sforzi, comprese numerose riunioni di mister Klein a Doha con l’emiro e alti responsabili del Qatar, il Qatar ha accettatori non diffondere oil documentario malvagiamente antisemita di Al Jazeera realizzato da un infiltrato sulla sedicente “lobby ebraica americana”.
Ai nostri lettori non risulterà una sorpresa. Sanno che questa occupazione è di lunga data. Era l’agosto 1983 quando l’ammiraglio Thomas Moorer, allora capo degli stati maggiori interarma, sbottò durante un’intervista: “Non ho mai visto un presidente, quale che sia, tener loro testa. Ciò supera ogni immaginazione. Essi ottengono sempre quello che vogliono. Gli israeliani sanno tutto quel che accade. Ero arrivato al punto di non scrivere più niente. Se il popolo americano sapesse il potere che hanno sul nostro governo, prenderebbero le armi”.
A citare l’ammiraglio è Philip Giraldi, già alto dirigente della Cia, oggi grande rivelatore dei crimini ebraici politici in Usa: ad esempio è stato lui a smentire la faccenda dell’uranio grezzo (yellowcake) del Niger, in cui era implicati il nostro SISMI, che avrebbe costituito la “prova” di un progetto di Saddam di farsi la Bomba, dimostrando che è stato un’invenzione del noto Michael Ledeen, di cui abbiamo scritto le trame in Italia (che finì per dichiararlo persona non grata).
L’ammiraglio Moorer aveva in mente fra l’altro la memoria, bruciante per la US Navy, della nave-spia USS Liberty, mitragliata ed affondata l’8 giugno 1967 da caccia israeliani nel Mediterraneo: deliberatamente i caccia attaccarono la nave, in acque internazionali, di cui conoscevano perfettamente la nazionalità americana, giungendo anche a mitragliare le scialuppe di salvataggio piene di naufraghi per eliminare i testimoni: 34 i morti, ma i 173 feriti sopravvissuti, non hanno mai avuto possibilità di testimoniare in giudizio. Il presidente – allora LyndonB. Jhonson – giunse ad ordinare di richiamare gli aerei Usa decollati per soccorrere la USS Liberty, dicendo che preferiva che la nave colasse a picco pur di non creare problemi agli israeliani. Fu allestita una commissione d’inchiesta-fantoccio, presieduta dall’ammiraglio John McCain (il padre del senatore), che di fatto insabbiò la vicenda. Ancora decenni dopo il senatore McCain, figlio, guerrafondaio, è stato attivissimo nell’impedire la riapertura dell’inchiesta sulla Liberty, insultando i sopravvissuti che gli indirizzavano petizioni.
Nel centro del Tesoro Usa
GirALDI ha aggiunto un ente potentissimo e segretissimo alla lista dei “pensatoi” e gruppi di pressione isareliani già noti. Dal 2004 esiste, per volontà del presidente George W. Bush, un organismo di penetrazione diretta dei segreti di Stato americani da parte della lobby: lo “Office of Terrorism and Financial Intelligence” (OTFI), in seno al Dipartimento del Tesoro. Esso ha l’asserita missione di “salvaguardare il sistema finanziario contro la sua strumentalizzazione illegale, la lotta contro gli stati canaglia complici del terrorismo, la proliferazione di armi di distruzione di massa, il riciclaggio, i signori della droga ed altre minacce alla sicurezza nazionale”:chi più ne ha più ne metta. Nei fatti il suo primo direttore, Stuart Levey, col grado di sottosegretario al Tesoro, ha mantenuto i contati con le organizzazioni ebraiche più note, AIPAC, WINEP (The Washington Institute for Near East Policy), JINSA (Jewish Institute for the National Security Affiars, l’ente di infiltrazione ebraica dell’apparato militare) eccetera: strumenti di raccolta di informazioni sulla politica, il complesso militare-industriale e le finanze Usa, per mettere tutto al servizio del progetto politico di Benjamin Netanyahu.
I successori di Levey sono ovviamente tutti ebrei : stephen Cohen, poi Adam Szubin, e dal 2017 Sigal Pearl Mandelker, una “ex” cittadina israeliana quasi certamente ancora con doppio passaporto. Nei fatti, i compiti principali di OTFI sembrano essere quelli di controllare e reprimere ogni tipo di oppositori a Sion , oltre che probabilmente di sorvegliare dall’interno dello Stato che non si sviluppino “domande sull’11 Settembre”. Soprattutto, l’OTFI si è dato il potere di formularla lista delle persone da bloccare (Specialially Designated Nationals And Blocked Persons List – SDN) perché sospettate di aiuti ai terroristi “islamici”. Società e individui musulmani e cristiani in Medio Oriente, mai il nome di un ebreo o israeliano anche se noto all’FBI come mercante d’armi. Una volta iscritti in quella liista, dfce Giraldi, si subiscono pesantissime sanzioni economiche, essenzialmente il blocco e sequestro dei conti bancari, e non esiste un modo legale e trasparente per farsene cancellare anche in caso di evidente errore. Negli ultimi decenni l’OTFI si è dedicato con particolar efficacia a debellare il movimento Boycott, Divest and Sanctions (BDS) che si sforza di attuare vari boicottaggi contro lo stato ebraico per le sue violazioni del diritto internazionale, dal Muro di separazione all’occupazione dei Territori.
Personalità ebraico-sioniste sono sovra-rappresentate in ogni organo governativo, di studi o di gestione del consenso che riguarda il Medio Oriente. E’ appena ilcaso di ricordare (ma è imperdonabile dimenticare) i “neoconservatori” allievi di Leo Strauss che hanno infiltrato il Pentagono sotto l’amministrazione Bush jr., in coincidenza con l’attentato “islamico” dell’11 Settembre e della guerra contro l’Irak che fu scatenata dagli Usa: tre vice-ministri, Paul Wolfowitz, Douglas Feith, Dov Zakheim edaltri consiglieri speciali, Richard Perle, Bill Kristol, Scooter Libby e Philip Zelikow, direttore del President’s Foreign Intelligence Advisory Board (PFIAB), che ammise in una conferenza come l’attacco all’Irak avesse come solo scopo liberare Israele da un avversario potenziale. Zelikow è stato anche il manovratore-insabbiatore dell’inchiesta ufficiale sull’11 Settembre.
Sono le stesse persone oggi in prima linea per esigere una guerra contro l’Iran.
Oggi la politica americana nel MedioOriente è gestita dal genere del presidente Trump, Jared Kushner, e dalla ristretta cerchia dei suoi fidati Lubawitcher, la potente setta dei veneratori del “rebbe Schneerson”. Uno di questi è David Friedman, un avvocato senz’arte diplomatica che è stato nominato ambasciatore Usa in Israele: non c’è rischio che egli riferisca all’Amministrazione visioni, sulla situazione locale, diverse da quelle volute da Netanyahu. Friedman ha personalmente contribuito a finanziare gli insediamenti illegali ebraici nei territori occupati, la sua attività principale sembra essere quella di far cancellare dalle cancellerie occidentali la parola “occupati” quando parlano dei Territori Occupati della Cisgiordania.
Il principale consigliere che David Friedman ha portato con sé nella missione diplomatica è il rabbino Aryeh Lightstone, che l’ambasciatore ha etichettato come “esperto di educazione ebraica e di difesa dei diritti di ebrei ed israeliani”: prima di questo incarico ufficiale, rabbi Lightstone aveva fondato e diretto Shining City, un gruppo di pressione ebraico estremista nato per opporsi all’accordo stilato da Obama con Teheran sul nucleare iraniano, che aveva finanziato con un milione di dollari di provenienza oscura, movimenti dell’estrema destra israeliana…
Con tutto ciò, Donald Trump giorni fa si è lamentato che g.i ebrei non sono abbastanza grati con la sua azione di governo: “Ho dato loro Gerusalemme!”.
I Lubavitcher attorno a Putin
I Lubavitcher hanno anche altissimi agganci in Russia, ovviamente. Un ventennio fa Vladimir Putin, per consolidare il suo potere, attuò un progetto di sostituzione della locale lobby ebraica (il Congresso Ebraico russo era diretto dal miliardario Vladimir Gusinsky, ostile a Putin, che sarà poi costretto all’esilio). Allora Roman Abramovich (il padrone del Chelsea) e l’altro oligarca ebreo Lev Leviev fondarono la Federazione delle comunità ebraiche russe. Ci fu anche una sostituzione di rabbino: quello precedente, Adolf Shayevich, fu sostituto da Berel Lazar, un Lubavitcher, da allora riconosciuto come rabbino-capo della Russia e “il rabbino di Putin”. Da quel momento, Abramovich e soprattutto Leviev appaiono come generosi finanziatori delovimento Chabad Lubavitcher. Fatto curioso e significativo, la moglie di Abramovic, Dasha Zhukova, è molto amica di Ivanka Trump e il giorno della “inauguration” era alla casa Bianca su invito dell’amica.
Quanto a Lev Leviev l’oligarca di fiducia di Putin, anche lui ha rapporti col genero: è da lui che Jared Kushner ha comprato, nel 2015, parte di un condominio gigante per 295 milioni di dollari, acquisto per il quale si fece prestare da Deutsche Bank 285 milioni…
Se davvero il giudice Mueller volesse approfondire e rimpolpare la sua inchiesta sul Russiagate, ossia come russi avrebbero fatto di The Donald il loro burattino, potrebbe utilmente scavare sui collegamenti che uniscono Trump e Putin attraverso i Lubavitcher. Ma questo non creto, come dirette Razzi.
fonte https://www.maurizioblondet.it/israhell-cosi-colonizza-gli-usa/
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