Fra
le tante attività che caratterizzano la vita in laguna c’è una
necessità che accomuna quasi tutti i veneziani: il bere vino. Pare
che l’abitudine di bere sia derivata dal fatto che l’acqua nei
secoli passati a Venezia scarseggiasse e che il vino in certe osterie
a prezzo politico aiutasse a sollevare dal freddo i poveri. Una volta
erano tante le osterie. Nel 1910 se ne contavano più di mille e a
Malamocco, nucleo storico della laguna al Lido, vi erano ben 74
rivendite di vino per 900 abitanti!! Per i veneziani le osterie sono
luoghi di ritrovo, di incontro e d’oblio. Quando sul finire degli
anni settanta le ho visitate per la prima volta con disperata
passione ( per via della loro progressiva e repentina estinzione ) e
in seguito negli anni ottanta e novanta, solo in poche era
rintracciabile quel calore umano per cui erano tanto ricercate.
L’autenticità è andata irrimediabilmente perduta nel nome del
profitto che induce i nuovi proprietari a trattare i clienti come
fossero cavalli da foraggiare. Ringrazio Dio per aver goduto
intensamente degli ultimi bagliori di un mondo che quasi non esiste
più. La toponomastica veneziana ci ricorda il tempo che fu. Nei
“nisioleti” che tappezzano i “sestieri” veneziani campeggiano
scritte quali “Riva del Vin”, “Calle dei Boteri”, “Via del
vino bianco” e persino “Via della cirrosi”. Anche il linguaggio
resiste imperituro. Le parole magiche sono : “OMBRA” e “CICHETO”
o “CICCHETO” o “CICCHETTO”.
“OMBRA”
sembra derivare da un banchetto di mescita ambulante che, in un
remoto passato, vendeva vino in Piazza S. Marco seguendo l’ombra
del Campanile durante l’intera giornata. Se si ordina in una
qualsiasi osteria un’ombra,
ti
arriva un bicchiere di vino. Il “CICHETO” o “CICCHETO” o
“CICCHETTO” che dir si voglia è lo spuntino minuscolo, tenuto
spesso insieme con uno stecchino, che va degustato con una buona
“ombra”. Fra le innumerevoli osterie veneziane che ho
visitato lungo tutta un’esistenza alcune hanno lasciato il segno.
Riva
del Carbon e la contrapposta Fondamenta del Vin fanno da incantevole
contorno al tratto di canal Grande che guarda Rialto. Nel sestiere di
S. Marco in Calle Cavalli al civico 4082 , una delle tante
digressioni verso l’interno, c’è ancora l’enoteca “Al
Volto”. E’ in assoluto la prima osteria-bacaro di Venezia che ho
visitato e una delle più antiche .Dal 1936, è stata la prima
enoteca privata aperta dopo quella nazionale di Firenze. Celeberrima
per l’eccezionale cantina, ha conservato tutto il suo fascino, con
pochi tavoli nella calle e tanto calore al suo interno, sì da farne
un luogo di sicura atmosfera. Dopo trent’anni dai miei esordi
veneziani ho ritrovato tracce quasi immutate di memoria. Una rapida
sosta per rinverdire il “perlage” dei ricordi e nella mente
prende forma un altro fantasma del passato, la successiva meta del
mio pellegrinaggio veneziano tra i luoghi del bere: l’ “Aciugheta”
( CASTELLO – Campo S. Filippo e Giacomo, 4357 ).
Mi
han detto che si è trasformata da “bacaro” celebre per i suoi
“cicheti”(la mitica “aciugheta” per l’appunto) a
ristorante-pizzeria con annesso alberghetto a due stelle.
In
Campo SS. Filippo e Giacomo all’imbrunire l’animazione è ancora
notevole. Nei tavoli dislocati davanti all’ingresso c’è quasi il
pienone.
Si
liberano dei posti e posso accomodarmi.
Il
menù è di quelli ad uso e consumo del turismo di massa.
Ma
fra le righe balenano lampi di autentica venezianità.
Ordino
un gran misto di “cicheti”. Quel che degusto, di lì a pochi
minuti, è un vero e proprio “excursus” didattico nella cucina
più autentica di Venezia.
Godo
di ogni assaggio, di ogni boccone, e ritrovo l’ “Aciugheta” di
un tempo!
L’epopea
dei “cicheti” non è ancora tramontata.
Poi,
la ciliegina sulla torta.
L’umile
“bacaro” si è dotato di una cantina di tutto rispetto.
Fra
le proposte al bicchiere noto la presenza del merlot “Apparita”
del Castello di Ama. Il prezzo di 9 euro per 100ml mi fa dubitare
sulla reale corrispondenza fra quanto scritto e la realtà. Chiedo
lumi al cameriere che, per rassicurarmi, va a controllare e mi
conduce la bottiglia: è del 1999,aperta da poco.
Assaggio
così uno dei più grandi merlot italiani.
Risulta
sulle prime un po’ ossidato con “nuances” che richiamano il
profilo olfattivo di un Porto di rango.
Dopo
una doverosa ossigenazione il bouquet si apre e mostra un’eleganza
e una finezza da vino di alto lignaggio, corrispondente ad una bocca
complessa e intrigante, sapida e opulenta. Il retrogusto restituisce
quel che, a primo impatto, sembrava sfumato: un frutto primigenio di
notevole consistenza.
Francamente
non potevo sperare di meglio.
Di
seguito, e quasi a braccio, vado snocciolando qualche residuo ricordo
sparso di alcune delle osterie veneziane che ho visitato. “All’antica
Adelaide” ( CANNAREGIO – Calle Racchetta, 3728 ) era in passato
un ritrovo per sacerdoti a cui era riservata una saletta - Ricordo
che vi si mesceva dell’ottimo tocai ( 700 lire al bicchiere ) ;
ottimi e abbondanti cicchetti “Al Bomba” ( CANNAREGIO – Calle
de l’oca, 4297) - Quando ci sono andato la prima volta il poeta
Aldo Palazzeschi abitava in una via adiacente, “Calle Morta” ; è
forse la più bella di tutte “Alla Frasca” ( CANNAREGIO –
Corte della Carità, 5176 ) - Ha più di cent’anni e troneggia in
una corte magica; “Da Codroma” ha 200 anni di vita ( DORSODURO –
Fondamenta Briati, 2540 ) e si poteva giocare a carte - Cosa che
faceva anche Emile Zola di passaggio a Venezia; la più antica di
tutte è la cantina “Do Mori” ( S.POLO – Rialto, 429 ) - Attiva
sin dal 1460 ( di più antico c’è qualcosa tra Bologna e Ferrara )
, adesso è un moderno ed elegante ricettacolo di vini, cicchetti e
molta gente chic - Locale tra i più turistici nel senso deteriore
del termine, è bello senz’anima e spicca per assenza di
venezianità; irresistibile la finestra “da mescita” sul campo di
“Vini da Pinto” (S.POLO – Campo de le Becherie, 367) – Vi
passano quotidianamente innumerevoli “ombre” tra il fitto
andirivieni di turisti; “Ae do Spade” (S.POLO – Calle de le do
Spade, 860) non si sfugge al racconto di quella che fu la
frequentazione di Casanova nella metà del Settecento. Per ultima
citerei l’Osteria –trattoria “Da Romano Ai Cacciatori” a
Mazzorbo : è possibile ormeggiare la barca all’ingresso e vi ho
mangiato le migliori tagliatelle al sugo di anatra selvatica della
mia vita.
Bere
a Venezia è una cosa seria. In una delle sue innumerevoli osterie si
può ancora incontrare il “genius loci”. E’ tale e tanta
l’offerta da risultare di difficile discernimento. Ancora una volta
serve un istinto che guarda al cuore e alla tradizione.
Rosario
Tiso
Nessun commento:
Posta un commento