La Val di
Genova, così chiamata dal toponimo medievale “zenua”, cioè
territorio ricco di acque (niente a che vedere, dunque, con il
capoluogo ligure), è un vero e proprio simbolo della “wilderness”
alpina. Una valle ricca di suggestioni a tal punto da essere ritenuta
unica perfino in una regione spettacolare come il Trentino.
17 km. di
paradiso selvaggio, da Carisolo, risalgono il Sarca di “Genova” (
che proprio su questa piana si sposa con il Sarca di “Campiglio”
formando il “Sarca” propriamente detto ) fino ai ghiacciai
dell’Adamello.
17 km. di
paesaggi grandiosi e cascate spettacolari, basti pensare a quella
del Nardis, alta più di 100 metri, seconda solo a quella delle
Marmore. Incontaminata e silente, d’inverno assediata da scuri
bastioni di conifere, è fruibile solo d’estate attraverso una
carrozzabile a traffico limitato che consente ai visitatori di
raggiungere solamente le poche baite sparse lungo il corso del fiume
ma non di utilizzare ulteriormente l’auto, se non per uscirne
precipiti dalla piana di Bèdole. Più stregata che magica, sembra
refrattaria a qualsivoglia colonizzazione. A metà del suo aspro
sviluppo, nel punto in cui si apre in uno dei suoi rari slarghi che
consentono al Sarca di rallentare la sua furibonda corsa, c’è un
alberghetto, il rifugio “Stella Alpina”. Lì riuscii a trovare
faticosamente posto, data l’esiguità delle camere, per una delle
settimane più belle della mia vita.
In quei giorni
ho visto tronchi trascinati dalle acque tumultuose del fiume, animali
selvatici scivolare come ombre nel folto del bosco, profusione di
funghi e fiori tutt’intorno, il sole giocare a nascondino sui
crinali dei monti, e soprattutto acque, del fiume, delle innumerevoli
cascate, fino a quelle di fusione…commoventi…che ho bevuto sul
limitare dei ghiacciai dell’Adamello
facendo delle
mani coppa.
Proprio in
quella circostanza la più forte delle emozioni…
Dal culmine
della stradina che attraversa la valle, dopo due ore o forse più di
viva salita, il sentiero mi ha condotto in un luogo dolce e breve
dall’aria tersissima, dove il terreno a tratti spiana, pervaso dal
musicale gorgoglìo di un ruscelletto.
Con gli occhi ne
ho seguito il sinuoso profilo fino al punto in cui l’acqua
diventava la sua “ghiaccia” madre. Il sole complice, filtrando
fra le rocce proprio lì, illuminava la scena.
Nell’accostarmi
e protendermi verso la tremula fonte mi è sembrato di attingere
dalle sorgenti della vita.
Rosario Tiso
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