La storia vera della fine di Ceausescu e della dittatura in Romania. Altro che rivoluzione ... colpo di stato straniero ...
Ogni tanto incontro qualcuno che mi racconta qualcosa che finisce nei file obsoleti dell' hard disk per poi saltar fuori quando meno te lo aspetti, nello specifico tempo fà incontrai un meccanico Rumeno parecchio acculturato che mi disse che la storia raccontateci su Nicolae Ceausescu erano tutte palle. Perchè ne parlo ora ? Perchè gli attori son sempre gli stessi FMI, CIA, KGB e compagnia danzante. Ho raccolto una serie di articoli per raccontare la vera storia che non differisce da tante altre e ne è anche accomunata, una serie di articoli perchè ognuno tratta una parte della storia e preferisco in genere lasciare gli originali aggiungendo qualche commento quando serve.
La storia inizia il giorno che Ceausescu arriva a Teheran per incontrare Gheddafi e Khomeyni, a Timisoara in Romania il reverendo Laszlo Tokes diede il via alla rivolta, vedremo dopo i dettagli, quì stà il bello se così si può chiamare ...
14 Ottobre 2012
In generale ci fidiamo poco delle rivoluzioni. Prese di Palazzi d’Inverno, marce su Roma, primavere arabe sono più che altro colpi di Stato. Ci aveva già avvertito un pamphlet scritto nel 1931 da Curzio Malaparte, testimone del sorgere di comunismo e fascismo: le rivoluzioni moderne sono colpi di Stato. Dunque, non avevamo dubbi sul fatto che a quella categoria appartenesse anche la rivoluzione rumena del dicembre 1989, quella che culminò con la fucilazione del dittatore Nicolae Ceausescu e di sua moglie Elena.
Ciò che potevamo solo immaginare, tutto il contorno di tradimenti, complicità interne ed estere, opportunismi e crimini, lo ha raccontato con dovizia di particolari Grigore Cristian Cartianu, caporedattore del più letto quotidiano romeno, in un libro che ha interessato parecchio i suoi connazionali. Sono circa duecentomila le copie vendute in patria di “La fine dei Ceausescu”, un’accuratissima inchiesta giornalistica, frutto di una ricerca ventennale. Possiamo leggerla anche noi italiani grazie all’editore Aliberti e al traduttore e curatore Luca Bistolfi.
Ciò che potevamo solo immaginare, tutto il contorno di tradimenti, complicità interne ed estere, opportunismi e crimini, lo ha raccontato con dovizia di particolari Grigore Cristian Cartianu, caporedattore del più letto quotidiano romeno, in un libro che ha interessato parecchio i suoi connazionali. Sono circa duecentomila le copie vendute in patria di “La fine dei Ceausescu”, un’accuratissima inchiesta giornalistica, frutto di una ricerca ventennale. Possiamo leggerla anche noi italiani grazie all’editore Aliberti e al traduttore e curatore Luca Bistolfi.
Il puzzle composto da Cartianu, che in Romania si è già arricchito di altri due volumi, mostra una realtà molto più squallida di quella propagandata dal nuovo corso rumeno. Il giornalista afferma che se ci fu una giusta rivolta popolare contro il dittatore, finì il 22 dicembre 1989, giorno della fuga in elicottero dei Ceausescu. Poi iniziò la controrivoluzione ben più sanguinaria, responsabilità non del despota in fuga ma degli esponenti del regime più vicini all’Urss. Cartianu chiama pesantemente in causa anche Ion Iliescu, primo ministro fino a pochi anni fa, il quale pare abbia replicato più con insulti che con argomenti.
Ma procediamo con ordine, torniamo a quel dicembre 1989: la perestrojka di Gorbaciov sta sgretolando la Cortina di Ferro, il Muro è appena crollato. Alla fine di novembre il “Conducator” Ceausescu è stato riconfermato ed idolatrato come duce del paese, ancora fresche sono dichiarazioni di stima di insigni personalità, anche italiane, come Giulio Andreotti e Nilde Iotti. Però il vecchio dittatore comunista non intende accettare le novità di Mosca, meno che mai mettere in discussione il suo potere ultra quarantennale, il culto della sua personalità e della compagna Elena (la scienziata che ha collezionato lauree in tutto il mondo senza aver finito le elementari). Un mese dopo i due finiranno “ammazzati come bestie selvatiche”.
Dato che la Romania non si sta adeguando alle riforme democratiche e liberali, Bush padre e Gorbaciov si son trovati d’accordo sulla necessità di detronizzare Ceausescu. Con ogni mezzo necessario. Non è una missione impossibile, l’Urss è penetrata da anni dentro la Romania, ha fedeli nell’esercito, presso il ministero dell’Interno, nella polizia segreta, la famigerata Securitate. Agli uomini del Cremino non era piaciuta affatto la presa di posizione di Ceausescu contro l’invasione della Cecoslovacchia del 1968, né l’ostentata rivendicazione di sovranità nazionale. Ecco il perché degli uomini fidati nei posti giusti, ora finalmente utili. Inoltre, in quel dicembre ’89 molti sovietici attraversarono il confine con la Romania, troppi per non destare dubbi: quasi settantamila (con visto turistico NdR). Il popolo non amava certo Ceausescu, voleva liberarsene, ma i moti popolari non furono del tutto spontanei. Qui potrebbero finire le responsabilità dirette del Cremino (con la complicità statunitense) e cominciare quelle di chi applaudiva fino a qualche giorno prima, di chi volle quasi un rito espiatorio per mondarsi mediaticamente dal peccato comunista.
Ma procediamo con ordine, torniamo a quel dicembre 1989: la perestrojka di Gorbaciov sta sgretolando la Cortina di Ferro, il Muro è appena crollato. Alla fine di novembre il “Conducator” Ceausescu è stato riconfermato ed idolatrato come duce del paese, ancora fresche sono dichiarazioni di stima di insigni personalità, anche italiane, come Giulio Andreotti e Nilde Iotti. Però il vecchio dittatore comunista non intende accettare le novità di Mosca, meno che mai mettere in discussione il suo potere ultra quarantennale, il culto della sua personalità e della compagna Elena (la scienziata che ha collezionato lauree in tutto il mondo senza aver finito le elementari). Un mese dopo i due finiranno “ammazzati come bestie selvatiche”.
Dato che la Romania non si sta adeguando alle riforme democratiche e liberali, Bush padre e Gorbaciov si son trovati d’accordo sulla necessità di detronizzare Ceausescu. Con ogni mezzo necessario. Non è una missione impossibile, l’Urss è penetrata da anni dentro la Romania, ha fedeli nell’esercito, presso il ministero dell’Interno, nella polizia segreta, la famigerata Securitate. Agli uomini del Cremino non era piaciuta affatto la presa di posizione di Ceausescu contro l’invasione della Cecoslovacchia del 1968, né l’ostentata rivendicazione di sovranità nazionale. Ecco il perché degli uomini fidati nei posti giusti, ora finalmente utili. Inoltre, in quel dicembre ’89 molti sovietici attraversarono il confine con la Romania, troppi per non destare dubbi: quasi settantamila (con visto turistico NdR). Il popolo non amava certo Ceausescu, voleva liberarsene, ma i moti popolari non furono del tutto spontanei. Qui potrebbero finire le responsabilità dirette del Cremino (con la complicità statunitense) e cominciare quelle di chi applaudiva fino a qualche giorno prima, di chi volle quasi un rito espiatorio per mondarsi mediaticamente dal peccato comunista.
La rivolta di Timisoara fece cadere Ceausescu nella trappola di ordinare la repressione più violenta, di imporre la legge marziale che lo porterà alla tomba. Salita la marea della protesta, non rimase ai due coniugi che un fuga penosissima, con tappa simbolica nella casa di un esperto in derattizzazioni. Catturati da chi fino a qualche ora prima ubbidiva loro, il dittatore e la moglie furono costretti a mangiare pane raffermo, dormire su letti di ferro e a fare i bisogni dentro un bidone di plastica. L’ultima notte la passarono dentro un mezzo anfibio, il giorno dopo, 25 dicembre, “primo Natale libero dopo quasi mezzo secolo di comunismo anticristiano”, i congiurati avevano già deciso la condanna a morte, lasciando cadere la proposta d’esilio avanzata da Washington.
La parabola dei Ceausescu si chiuse con la beffarda nemesi, un processo stalinista fuori da ogni minima tutela giuridica, risolto in poco più di un’ora. Come andò a finire si vide nella televisioni di tutto il mondo, anche se con qualche taglio nel montaggio: i loro cadaveri crivellati contro un muro.
La parabola dei Ceausescu si chiuse con la beffarda nemesi, un processo stalinista fuori da ogni minima tutela giuridica, risolto in poco più di un’ora. Come andò a finire si vide nella televisioni di tutto il mondo, anche se con qualche taglio nel montaggio: i loro cadaveri crivellati contro un muro.
Iniziava un’epoca di pace per la Romania? Mica tanto, se il buongiorno si vede dal mattino. E se il mattino fu quello del 14 giugno 1990, quando il governo finalmente “democratico” della Romania decise di sedare definitivamente gli spiriti di rivolta e libertà accora accesi. Spedì così a Bucarest dalla provincia remota ventimila minatori armati di sbarre di ferro, tutti convinti di dover sedare un complotto “fascista”. Per due giorni seminarono il terrore in città aggredendo oppositori, giornalisti e persone prese a caso.
Eccola, la Rivoluzione..
_______________________________________________________________
1. LA ROMANIA ENTRA NEL GATT, NEL FMI E NEL BIRD
Tra il 1967 e il 1968, alcuni passi intrapresi dal governo romeno gettarono le basi per un cambiamento significativo nei rapporti di Bucarest con Washington. Infatti nel 1967 la Romania mostrò la propria autonomia nei riguardi di Mosca con un paio di iniziative che vennero positivamente apprezzate dagli Stati Uniti: all’inizio dell’anno Bucarest stabilì rapporti diplomatici con la Repubblica Federale Tedesca e, in seguito alla guerra dei sei giorni, rifiutò di rompere le relazioni diplomatiche con Israele, come invece avevano fatto le altre capitali del Patto di Varsavia. Sempre nel 1967, in marzo, Ceausescu organizzò una calorosa accoglienza per Nixon, che in quel momento vedeva declinare la propria popolarità negli Stati Uniti. Nell’agosto del 1968, Ceausescu rifiutò di allinearsi con gli altri paesi del Patto di Varsavia nella questione cecoslovacca; anzi, condannò energicamente l’intervento sovietico, annunciò la mobilitazione immediata del popolo romeno per difendersi da un eventuale intervento di quel genere, si oppose alle manovre militari del Patto di Varsavia sul territorio romeno.
La Romania conservò la clausola (accordo di tariffe commerciali con gli USA NdR) fino al 1988. Quando si trattava di prorogarla “il gran rabbinodi Bucarest Moses Rosen dava l’impressione di essere un ministro degli esteri aggiunto (…) Rosen descrisse il proprio atteggiamento con il proverbio yiddish ‘Den Ganef vor die Tir stelln‘: mettere il ladro a guardia della porta” (1).
La crescita del debito estero della Romania aggiunse un nuovo motivo di irritazione nei rapporti di Bucarest con Washington. Nel corso del 1982 il debito estero romeno oltrepassava gli undici miliardi di dollari, sicché il Fondo Monetario Internazionale (FMI) intervenne ripetutamente presso Ceausescu, per spiegargli che per far fronte a tale debito e risollevare le sorti dell’economia romena era indispensabile accettare un credito a interessi crescenti. Si riproduceva così, nel caso della Romania, quello che John Kleeves ha descritto come il copione di prammatica nei rapporti tra FMI e dittatori quali Marcos, Mobutu, Batista, Duvalier, Somoza ecc.:
“… la figura del dittatore filoamericano pazzo è importante: con i suoi progetti megalomani di ‘sviluppo economico’ egli giustifica l’accensione del megaprestito da parte del suo paese, in genere finanziariamente poverissimo. Ma la sua parte non è finita. Egli sa che il prestito non deve mai essere restituito: il FMI, nonostante le raccomandazioni sulla carta, non lo vuole; vuole solo – e su ciò è intransigente – il pagamento in dollari degli interessi annui. E’ chiaro il perché: solo finché c’è il debito ci sono le condizioni capestro sull’economia interna. Egli sa anche che il prestito non deve assolutamente servire per scopi utili, per far decollare l’economia del paese: sarebbe di nuovo la fine del gioco.Quindi il dittatore cosa fa? Ciò che veniamo a sapere dai giornali: usa una quota del prestito per le sue opere inutili (i cui appaltatori sono in genere ancora le multinazionali); un’altra per soddisfare l’entourage locale di militari e politici che lo sostengono al potere, e il resto viene versato sui suoi conti all’estero, in genere negli Stati Uniti” (2).
A un certo punto, Ceausescu non volle più stare al gioco. E ciò determinò la sua fine.
1. Richard Wagner, Il caso romeno, Manifestolibri, Roma 1991, p. 98.
2. John Kleeves, Finanziatori Militar Imperialisti, “Lo Stato”, 30 giugno 1998.
Queste sono le regole, non gli squilibri del dittatore pazzo, le regole del FMI e quindi degli USA e valgono per tutti, sei obbligato a prendere prestiti inutili ad interessi esorbitanti, quello che spendi lo devi spendere con aziende americane stabilite e non puoi fare cose utili per la nazione e sopratutto non devi restituire il capitale, il tutto mirato sempre al solito obiettivo, schiavizzare le popolazioni.
La crescita del debito estero della Romania aggiunse un nuovo motivo di irritazione nei rapporti di Bucarest con Washington. Nel corso del 1982 il debito estero romeno oltrepassava gli undici miliardi di dollari, sicché il Fondo Monetario Internazionale (FMI) intervenne ripetutamente presso Ceausescu, per spiegargli che per far fronte a tale debito e risollevare le sorti dell’economia romena era indispensabile accettare un credito a interessi crescenti. Si riproduceva così, nel caso della Romania, quello che John Kleeves ha descritto come il copione di prammatica nei rapporti tra FMI e dittatori quali Marcos, Mobutu, Batista, Duvalier, Somoza ecc.:
“… la figura del dittatore filoamericano pazzo è importante: con i suoi progetti megalomani di ‘sviluppo economico’ egli giustifica l’accensione del megaprestito da parte del suo paese, in genere finanziariamente poverissimo. Ma la sua parte non è finita. Egli sa che il prestito non deve mai essere restituito: il FMI, nonostante le raccomandazioni sulla carta, non lo vuole; vuole solo – e su ciò è intransigente – il pagamento in dollari degli interessi annui. E’ chiaro il perché: solo finché c’è il debito ci sono le condizioni capestro sull’economia interna. Egli sa anche che il prestito non deve assolutamente servire per scopi utili, per far decollare l’economia del paese: sarebbe di nuovo la fine del gioco.Quindi il dittatore cosa fa? Ciò che veniamo a sapere dai giornali: usa una quota del prestito per le sue opere inutili (i cui appaltatori sono in genere ancora le multinazionali); un’altra per soddisfare l’entourage locale di militari e politici che lo sostengono al potere, e il resto viene versato sui suoi conti all’estero, in genere negli Stati Uniti” (2).
A un certo punto, Ceausescu non volle più stare al gioco. E ciò determinò la sua fine.
1. Richard Wagner, Il caso romeno, Manifestolibri, Roma 1991, p. 98.
2. John Kleeves, Finanziatori Militar Imperialisti, “Lo Stato”, 30 giugno 1998.
Queste sono le regole, non gli squilibri del dittatore pazzo, le regole del FMI e quindi degli USA e valgono per tutti, sei obbligato a prendere prestiti inutili ad interessi esorbitanti, quello che spendi lo devi spendere con aziende americane stabilite e non puoi fare cose utili per la nazione e sopratutto non devi restituire il capitale, il tutto mirato sempre al solito obiettivo, schiavizzare le popolazioni.
Questa è una appendice naturale all'altro articolo LATRUFFA ECLATANTE IN CUI VIVIAMO E LA TECNOLOGIA CI DISTRUGGERANNO e spiega il delirio dei debiti pubblici irrestituibuili non perchè non li vogliano ma per l'anatocismo, l'interesse sugli interessi capitalizzati. (NdR)
2. CHI VOLLE LA CADUTA DI CEAUSESCU?
Il 22 novembre 1989 si apriva a Bucarest il XIV congresso del Partito Comunista Romeno. Il messaggio di felicitazioni inviato da Gorbaciov al “partito fratello” assomigliava, più che a una dichiarazione di solidarietà, a una sprezzante ingiunzione di cambiamento. Ma il 23 novembre, nel discorso di chiusura che precedette la sua trionfale rielezione alla segreteria del Partito Comunista Romeno, Nicolae Ceausescu rispose per le rime, ricordando che il patto tedesco-sovietico, denunciato qualche settimana prima a Mosca per quanto riguardava la Polonia e i paesi baltici, sanciva anche un’ingiustizia commessa ai danni della Romania interbellica, alla quale erano state strappate e inglobate nell’URSS la Bucovina del Nord e la Bessarabia (che l’URSS trasformò “Repubblica Socialista Sovietica di Moldavia”).
Ma, oltre a questo, il Conducator metteva l’accento sull’indipendenza nazionale romena, ottenuta a prezzo di pesanti sacrifici che avevano portato finalmente al saldo del debito contratto con la Banca Mondiale.
E’ qui che deve essere cercata la causa della caduta di Ceausescu?
Nel corso di un’intervista giornalistica, venne rivolta a Marian Munteanu (capo del Movimento per la Romania e animatore delle lotte studentesche di Piazza dell’Università) la seguente domanda: “In che misura si deve credere alla versione che ha presentato la caduta di Ceausescu come l’effetto di un moto insurrezionale partito dal popolo? E in che misura si può invece legittimamente parlare di un colpo di Stato? In altre parole: non sarà che la fine di Ceausescu debba essere ricondotta, principalmente,alla sua volontà di liberare la Romania da ogni dipendenza nei confronti della Banca Mondiale?” Risposta di Marian Munteanu: “E’ per me una gradita sorpresa constatare che Lei ha avuto un’intuizione rara” (1).
La rara intuizione dell’intervistatore di Munteanu si fondava semplicemente sull’osservazione dei fatti. I personaggi che si erano insediati al potere dopo l’eliminazione di Ceausescu rappresentavano, in maniera evidente, la convergenza di due linee. La prima era quella degli interessi statunitensi(Petre Roman, Silviu Brucan, Dumitru Mazilu, l’ex diplomatico Bogdan ecc.), la seconda era quella più propriamente “gorbacioviana” (Ion Iliescu, Nicolae Militaru ecc.). Gorbaciov voleva la fine di Ceausescu perché questi era contrario ad accettare il programma di liquidazione dei regimi socialisti, sicché le esigenze del Cremlino in relazione alla Romaniacoincidevano con quelle degli ambienti usurocratici e mondialisti, danneggiati dalla politica autarchica di Bucarest. Veniva quindi spontaneo pensare che l’eliminazione di Ceausescu fosse stata decisa da Bush e Gorbaciov nell’incontro di Malta, sui contenuti del quale è stato d’altronde osservato il massimo segreto. Fatto sta che la campagna per la demonizzazione di Ceausescu, effettuata dalla stampa e dalle televisioni di tutto l’Occidente, ebbe inizio circa un anno prima della “rivoluzione” romena. Anche dall’osservatorio italiano era possibile, considerando i fatti con una certa attenzione, comprendere quali fossero le forze che ispiravano l’attacco contro “il Dracula di Bucarest”. Non è un caso, ad esempio, che in Italia l’avvio alla campagna di stampa sia stato dato dal noto sionista Wlodek Goldkorn sulle pagine dell’ “Espresso”.
Marian Munteanu non poté negare che “effettivamente esisteva da tempo una congiura, ispirata da centrali politiche estere per rovesciare il regime”, anche se, ovviamente, ci tenne ad aggiungere che “è esistita un’azione parallela, spontanea e indipendente, svolta da giovani che non disponevano di nessun supporto organizzativo”. Insomma: “l’insurrezione scoppiò in maniera, per così dire, naturale: solo in un secondo tempo venne utilizzata e strumentalizzata da gruppi già preparati che agivano secondo intendimenti propri. E questi gruppi avevano legami col capitalismo internazionale e con gli Stati Uniti: è un fatto che non è possibile negare” (2).
Tali legami, infatti, emergono evidenti dalle biografie di alcuni protagonisti della “rivoluzione” del dicembre 1989. Vediamone un paio.
Silviu Brucan, (alias Samuil Bruekker o Bruckenthal), era l’ideologo del Fronte di Salvezza Nazionale. Nato nel 1916 da famiglia ebraica, si iscrisse al partito comunista nel corso degli anni trenta. Nel settembre 1944, quando apparve il primo numero ufficiale di “Scanteia”, organo del Comitato Centrale del Partito Comunista Romeno, Silviu Brucan fu segretario generale di redazione. Dopo la guerra, prese parte all’allestimento dei processi per la liquidazione degli uomini politici rivali del PCR. Secondo fonti dell’emigrazione romena, ebbe il compito di architettare artificiosamente una campagna antisemita pretestuosa (3). Dal 1956 al 1958 fu ministro plenipotenziario della legazione della Repubblica Popolare di Romania negli Stati Uniti d’America (fino al 1964 la Romania non ebbe un ambasciatore a Washington). Quindi, fino al 1962, fu a New York, dove rappresentò la Romania presso le Nazioni Unite. In seguito a uno scontro con il ministro degli esteri Corneliu Manescu, dovette andarsene dal ministero e accettare l’incarico di vicepresidente del Comitato di Stato per la Radio e la Televisione, incarico che tenne dal 1962 al 1967. Con l’arrivo al potere di Ceausescu, l’uomo che aveva sostenuto Ana Rabinsohn Pauker e Gheorghe Gheorghiu-Dej venne allontanato dalle funzioni politiche; benché privo di diploma universitario, ricevette un posto di docente di Scienze Sociali e di Sociologia all’Università di Bucarest. Pubblicò diversi libri di taglio politologico, che a partire dal 1971 sono stati sistematicamente editi negli Stati Uniti: The Dissolution of Power (Alfred Knopf, New York 1971), The Dialectic of World Politics (Macmillan, New York and London 1978), The Post-Brezhnev Era (Praeger, New York 1983), World Socialism at the Crossroads (Praeger, New York 1987), Pluralism and Social Conflict(Praeger, New York 1990, prefazione di Immanuel Wallerstein), The Wasted Generation. Memoirs (West View Press, Boulder 1993). All’inizio del 1988 fu messo agli arresti domiciliari per una dichiarazione che aveva rilasciata a Radio Europa Libera. Nel 1989 però era di nuovo in circolazione: era spesso ospite dell’ambasciatore statunitense Roger Kirk e di Michael Parmly, consigliere politico dell’ambasciata degli USA. Al momento degli eventi che portarono alla caduta di Ceausescu, Brucan rientrava dagli Stati Uniti, dopo aver fatto scalo a Mosca e incontrato Anatoli Dobrynin, vecchia spia del KGB.
Petre Roman, anch’egli di famiglia ebraica, si era tenuto nell’ombra fino ai giorni della “rivoluzione”. Suo padre Walter Roman (vero nome: Neuländer), “era stato uno dei veterani delle Brigate Internazionali in Spagna, per poi rifugiarsi, nel periodo della guerra, in Unione Sovietica. Ritornato in Romania, diventerà l’uomo di fiducia di Gheorghe Gheorghiu-Dej, predecessore di Ceausescu. E’ uno dei fondatori della Securitate, dove aveva il grado di generale, al quale aggiungeva quello di colonnello del KGB. (…) Dopo il fallimento della rivolta ungherese del 1956, per ordine di Gheorghiu Dej incontrò Imre Nagy e lo persuase a rifugiarsi in Romania… da dove sarà consegnato all’Unione Sovietica. Walter Roman muore nel 1983, lasciando a suo figlio Petre un’eredità sociale e politica. Quest’ultimo conosce tutti i vertici della nomenclatura, tra i quali anche i figli di Ceausescu. Ma è soprattutto un intimo di Brucan e di Iliescu” (4).
Il verbale (5) della riunione tenuta la sera del 17 dicembre 1989 dall’ufficio esecutivo del Comitato Centrale del Partito Comunista Romeno, alla vigilia della partenza del Conducator Nicolae Ceausescu per Teheran, è fondamentale per interpretare la “rivoluzione” romena del 1989 come un vero e proprio colpo di Stato. Da questo verbale risulta che Ceausescu rimproverò il ministro dell’interno Postelnicu, il ministro della difesa generale Milea, nonché il comandante in capo della Securitate generale Vlad, perché non avevano riportato l’ordine a Timisoara, dove si trovavano solo poche unità, equipaggiate semplicemente con manganelli o con armi da fuoco sprovviste di munizioni.
Il prof. Claude Karnoouh, specialista di problemi ungheresi e romeni, ha dedotto che “i ‘massacri’ del 17 dicembre non furono niente altro che una montatura architettata dai mezzi di comunicazione: le agenzie di stampa e le stazioni radiofoniche jugoslave, ungheresi e sovietiche se ne fecero immediatamente strumenti, moltiplicando i dispacci sulla violenza degli scontri tra l’esercito e le truppe della Securitate. Ora, se veramente vi fossero stati a Timisoara i 4.800 morti di cui si parlò, si sarebbero dovuti pure contare, come minimo, dai 25.000 ai 30.000 feriti! In condizioni del genere, non si sarebbe più trattato di una rivolta popolare, ma di una vera e propria guerra tra fazioni contrapposte che usavano armi pesanti e forze aeree – cosa che evidentemente non è stata. Inoltre, mentre il 22 e il 23 dicembre i dispacci dell’agenzia sovietica Tass segnalavano combattimenti con armi pesanti a Brasov, il bilancio tracciato poco dopo da un giornalista di ‘Le Monde’ si limitava a contare 61 morti e 120 feriti. A Cluj si sono avuti 20 morti; nessun morto a Iasi, capoluogo della Moldavia romena, né a Târgu Mures, capoluogo della regione ungherese, né a Ploiesti e a Pitesti, le due grandi città industriali vicine a Bucarest. Nella stessa Bucarest, nessuno ha mai potuto vedere, né in televisione né altrove, i famosi pretoriani del regime. Tutt’al più si indovinava la presenza di qualche franco tiratore isolato, mai identificato, al quale soldati, miliziani e civili rispondevano con un autentico diluvio di fuoco” (6).
2. CHI VOLLE LA CADUTA DI CEAUSESCU?
Il 22 novembre 1989 si apriva a Bucarest il XIV congresso del Partito Comunista Romeno. Il messaggio di felicitazioni inviato da Gorbaciov al “partito fratello” assomigliava, più che a una dichiarazione di solidarietà, a una sprezzante ingiunzione di cambiamento. Ma il 23 novembre, nel discorso di chiusura che precedette la sua trionfale rielezione alla segreteria del Partito Comunista Romeno, Nicolae Ceausescu rispose per le rime, ricordando che il patto tedesco-sovietico, denunciato qualche settimana prima a Mosca per quanto riguardava la Polonia e i paesi baltici, sanciva anche un’ingiustizia commessa ai danni della Romania interbellica, alla quale erano state strappate e inglobate nell’URSS la Bucovina del Nord e la Bessarabia (che l’URSS trasformò “Repubblica Socialista Sovietica di Moldavia”).
Ma, oltre a questo, il Conducator metteva l’accento sull’indipendenza nazionale romena, ottenuta a prezzo di pesanti sacrifici che avevano portato finalmente al saldo del debito contratto con la Banca Mondiale.
E’ qui che deve essere cercata la causa della caduta di Ceausescu?
Nel corso di un’intervista giornalistica, venne rivolta a Marian Munteanu (capo del Movimento per la Romania e animatore delle lotte studentesche di Piazza dell’Università) la seguente domanda: “In che misura si deve credere alla versione che ha presentato la caduta di Ceausescu come l’effetto di un moto insurrezionale partito dal popolo? E in che misura si può invece legittimamente parlare di un colpo di Stato? In altre parole: non sarà che la fine di Ceausescu debba essere ricondotta, principalmente,alla sua volontà di liberare la Romania da ogni dipendenza nei confronti della Banca Mondiale?” Risposta di Marian Munteanu: “E’ per me una gradita sorpresa constatare che Lei ha avuto un’intuizione rara” (1).
La rara intuizione dell’intervistatore di Munteanu si fondava semplicemente sull’osservazione dei fatti. I personaggi che si erano insediati al potere dopo l’eliminazione di Ceausescu rappresentavano, in maniera evidente, la convergenza di due linee. La prima era quella degli interessi statunitensi(Petre Roman, Silviu Brucan, Dumitru Mazilu, l’ex diplomatico Bogdan ecc.), la seconda era quella più propriamente “gorbacioviana” (Ion Iliescu, Nicolae Militaru ecc.). Gorbaciov voleva la fine di Ceausescu perché questi era contrario ad accettare il programma di liquidazione dei regimi socialisti, sicché le esigenze del Cremlino in relazione alla Romaniacoincidevano con quelle degli ambienti usurocratici e mondialisti, danneggiati dalla politica autarchica di Bucarest. Veniva quindi spontaneo pensare che l’eliminazione di Ceausescu fosse stata decisa da Bush e Gorbaciov nell’incontro di Malta, sui contenuti del quale è stato d’altronde osservato il massimo segreto. Fatto sta che la campagna per la demonizzazione di Ceausescu, effettuata dalla stampa e dalle televisioni di tutto l’Occidente, ebbe inizio circa un anno prima della “rivoluzione” romena. Anche dall’osservatorio italiano era possibile, considerando i fatti con una certa attenzione, comprendere quali fossero le forze che ispiravano l’attacco contro “il Dracula di Bucarest”. Non è un caso, ad esempio, che in Italia l’avvio alla campagna di stampa sia stato dato dal noto sionista Wlodek Goldkorn sulle pagine dell’ “Espresso”.
Marian Munteanu non poté negare che “effettivamente esisteva da tempo una congiura, ispirata da centrali politiche estere per rovesciare il regime”, anche se, ovviamente, ci tenne ad aggiungere che “è esistita un’azione parallela, spontanea e indipendente, svolta da giovani che non disponevano di nessun supporto organizzativo”. Insomma: “l’insurrezione scoppiò in maniera, per così dire, naturale: solo in un secondo tempo venne utilizzata e strumentalizzata da gruppi già preparati che agivano secondo intendimenti propri. E questi gruppi avevano legami col capitalismo internazionale e con gli Stati Uniti: è un fatto che non è possibile negare” (2).
Tali legami, infatti, emergono evidenti dalle biografie di alcuni protagonisti della “rivoluzione” del dicembre 1989. Vediamone un paio.
Silviu Brucan, (alias Samuil Bruekker o Bruckenthal), era l’ideologo del Fronte di Salvezza Nazionale. Nato nel 1916 da famiglia ebraica, si iscrisse al partito comunista nel corso degli anni trenta. Nel settembre 1944, quando apparve il primo numero ufficiale di “Scanteia”, organo del Comitato Centrale del Partito Comunista Romeno, Silviu Brucan fu segretario generale di redazione. Dopo la guerra, prese parte all’allestimento dei processi per la liquidazione degli uomini politici rivali del PCR. Secondo fonti dell’emigrazione romena, ebbe il compito di architettare artificiosamente una campagna antisemita pretestuosa (3). Dal 1956 al 1958 fu ministro plenipotenziario della legazione della Repubblica Popolare di Romania negli Stati Uniti d’America (fino al 1964 la Romania non ebbe un ambasciatore a Washington). Quindi, fino al 1962, fu a New York, dove rappresentò la Romania presso le Nazioni Unite. In seguito a uno scontro con il ministro degli esteri Corneliu Manescu, dovette andarsene dal ministero e accettare l’incarico di vicepresidente del Comitato di Stato per la Radio e la Televisione, incarico che tenne dal 1962 al 1967. Con l’arrivo al potere di Ceausescu, l’uomo che aveva sostenuto Ana Rabinsohn Pauker e Gheorghe Gheorghiu-Dej venne allontanato dalle funzioni politiche; benché privo di diploma universitario, ricevette un posto di docente di Scienze Sociali e di Sociologia all’Università di Bucarest. Pubblicò diversi libri di taglio politologico, che a partire dal 1971 sono stati sistematicamente editi negli Stati Uniti: The Dissolution of Power (Alfred Knopf, New York 1971), The Dialectic of World Politics (Macmillan, New York and London 1978), The Post-Brezhnev Era (Praeger, New York 1983), World Socialism at the Crossroads (Praeger, New York 1987), Pluralism and Social Conflict(Praeger, New York 1990, prefazione di Immanuel Wallerstein), The Wasted Generation. Memoirs (West View Press, Boulder 1993). All’inizio del 1988 fu messo agli arresti domiciliari per una dichiarazione che aveva rilasciata a Radio Europa Libera. Nel 1989 però era di nuovo in circolazione: era spesso ospite dell’ambasciatore statunitense Roger Kirk e di Michael Parmly, consigliere politico dell’ambasciata degli USA. Al momento degli eventi che portarono alla caduta di Ceausescu, Brucan rientrava dagli Stati Uniti, dopo aver fatto scalo a Mosca e incontrato Anatoli Dobrynin, vecchia spia del KGB.
Petre Roman, anch’egli di famiglia ebraica, si era tenuto nell’ombra fino ai giorni della “rivoluzione”. Suo padre Walter Roman (vero nome: Neuländer), “era stato uno dei veterani delle Brigate Internazionali in Spagna, per poi rifugiarsi, nel periodo della guerra, in Unione Sovietica. Ritornato in Romania, diventerà l’uomo di fiducia di Gheorghe Gheorghiu-Dej, predecessore di Ceausescu. E’ uno dei fondatori della Securitate, dove aveva il grado di generale, al quale aggiungeva quello di colonnello del KGB. (…) Dopo il fallimento della rivolta ungherese del 1956, per ordine di Gheorghiu Dej incontrò Imre Nagy e lo persuase a rifugiarsi in Romania… da dove sarà consegnato all’Unione Sovietica. Walter Roman muore nel 1983, lasciando a suo figlio Petre un’eredità sociale e politica. Quest’ultimo conosce tutti i vertici della nomenclatura, tra i quali anche i figli di Ceausescu. Ma è soprattutto un intimo di Brucan e di Iliescu” (4).
Il verbale (5) della riunione tenuta la sera del 17 dicembre 1989 dall’ufficio esecutivo del Comitato Centrale del Partito Comunista Romeno, alla vigilia della partenza del Conducator Nicolae Ceausescu per Teheran, è fondamentale per interpretare la “rivoluzione” romena del 1989 come un vero e proprio colpo di Stato. Da questo verbale risulta che Ceausescu rimproverò il ministro dell’interno Postelnicu, il ministro della difesa generale Milea, nonché il comandante in capo della Securitate generale Vlad, perché non avevano riportato l’ordine a Timisoara, dove si trovavano solo poche unità, equipaggiate semplicemente con manganelli o con armi da fuoco sprovviste di munizioni.
Il prof. Claude Karnoouh, specialista di problemi ungheresi e romeni, ha dedotto che “i ‘massacri’ del 17 dicembre non furono niente altro che una montatura architettata dai mezzi di comunicazione: le agenzie di stampa e le stazioni radiofoniche jugoslave, ungheresi e sovietiche se ne fecero immediatamente strumenti, moltiplicando i dispacci sulla violenza degli scontri tra l’esercito e le truppe della Securitate. Ora, se veramente vi fossero stati a Timisoara i 4.800 morti di cui si parlò, si sarebbero dovuti pure contare, come minimo, dai 25.000 ai 30.000 feriti! In condizioni del genere, non si sarebbe più trattato di una rivolta popolare, ma di una vera e propria guerra tra fazioni contrapposte che usavano armi pesanti e forze aeree – cosa che evidentemente non è stata. Inoltre, mentre il 22 e il 23 dicembre i dispacci dell’agenzia sovietica Tass segnalavano combattimenti con armi pesanti a Brasov, il bilancio tracciato poco dopo da un giornalista di ‘Le Monde’ si limitava a contare 61 morti e 120 feriti. A Cluj si sono avuti 20 morti; nessun morto a Iasi, capoluogo della Moldavia romena, né a Târgu Mures, capoluogo della regione ungherese, né a Ploiesti e a Pitesti, le due grandi città industriali vicine a Bucarest. Nella stessa Bucarest, nessuno ha mai potuto vedere, né in televisione né altrove, i famosi pretoriani del regime. Tutt’al più si indovinava la presenza di qualche franco tiratore isolato, mai identificato, al quale soldati, miliziani e civili rispondevano con un autentico diluvio di fuoco” (6).
Quanto ai “mercenari” (libici, palestinesi, siriani, iraniani e addirittura nordcoreani) di cui si favoleggiò inizialmente, in capo a qualche giorno non se ne parlò più. Erano stati inventati per confermare il concetto che il tiranno era estraneo al popolo romeno (gli vennero attribuite origini turche o zingare) e quindi poteva essere difeso soltanto da pretoriani stranieri. Inoltre, la leggenda dei “mercenari arabi” serviva perfettamente a collegare tra loro due equazioni: “securista = terrorista” e “terrorista = arabo”. D’altronde la demonizzazione di Ceausescu, che nel corso di più d’un anno di propaganda mondiale era stato paragonato a Bokassa, a Idi Amin Dada e al vampiro Dracula, aveva predisposto gli animi, in Romania e altrove, ad accettare anche le menzogne più grossolane.
Ma vi sono anche altri elementi, secondo il prof. Karnoouh, che rafforzano l’ipotesi del colpo di Stato. “Bisogna insistere a questo riguardo sulla cronologia della giornata del 22 dicembre, che suggella la caduta di Ceausescu. Alle dieci e mezzo del mattino il capo dello Stato fugge. Un quarto d’ora più tardi Petre Roman, accompagnato da un gruppo di studenti, penetra nell’edificio del Comitato Centrale, considerato una delle fortezze della Securitate a Bucarest. Si può constatare, oggi, che l’immobile non reca alcuna traccia di proiettili. Chi era dunque a sparare? E su chi sparava? Nello stesso momento, con un sincronismo perfetto, Ion Iliescu, capo del consiglio del Fronte di Sicurezza Nazionale,arriva alla sede della radiotelevisione; qui il poeta Mihai Dinescuannuncia ai microfoni la caduta del tiranno. Strano sincronismo, per una guerra civile! In realtà, se davvero ci fosse stata una guerra civile, avremmo assistito a scene simili a quelle dell’invasione di Panama City da parte degli Americani, o ai bombardamenti di Beirut, cosa che invece non è avvenuta. Inoltre, se davvero una frazione dell’esercito e schiere di civili insorti si fossero trovati a combattere contro la Securitate,Ceausescu e sua moglie non sarebbero fuggiti immediatamente su un elicottero dell’aviazione militare (e non su un aereo della Securitate) per atterrare poi a 40 chilometri da Bucarest e farsi immediatamente arrestare. Infine, qualora una tale ipotesi fosse reale, non si spiegherebbe come mai gli uomini del consiglio del Fronte di Salvezza Nazionale, che erano costretti alla residenza coatta o comunque sottoposti a una sorveglianza speciale, non siano stati giustiziati, o per vendetta o per privare il potere futuro delle sue élites potenziali, politiche o intellettuali. Al contrario, fin dal momento in cui fu dato l’annuncio della caduta di Ceausescu, i poliziotti incaricati di vigilare su di loro sparirono come per incanto” (7).
L’interpretazione del prof. Karnoouh ha trovato una sostanziale conferma, con l’aggiunta di dati ulteriori, nelle dichiarazioni rilasciate nel corso di un’intervista giornalistica da Gelu Voican Voiculescu, l’uomo del Fronte di Salvezza Nazionale che organizzò il processo sommario contro Nicolae ed Elena Ceausescu e che successivamente diventò vice primo ministro.
“La Securitate – ha detto Voican Voiculescu – era una forza molto compatta e capace di reprimere ogni insurrezione. Il suo ruolo fu provvidenziale, perché essa non sparò, ma si tirò da una parte e lasciò Ceausescu privo di protezione. Anzi, il 18 dicembre il generale Vlad, capo del Dipartimento di Sicurezza dello Stato, con un atto di sua propria iniziativa aveva liberato tutti i detenuti politici che si trovavano agli arresti presso la Securitate – e si trattava di un certo numero di persone. Dunque esistono prove evidenti che la Securitate aveva ricevuto l’ordine di non immischiarsi nei moti di piazza. Di più: il piano che mirava a contrapporre la Securitate all’Esercito venne sventato per iniziativa degli stessi generali che dirigevano la Securitate, i quali intorno al 22 dicembre disposero che la Securitate si subordinasse all’Esercito. Non fu un atto impensabile, perché era previsto che in una situazione di guerra la Securitate si integrasse nell’Esercito. Ma negli eventi in questione, tale decisione fu presa il 22 dicembre; e a Timisoara non fu la Securitate a sparare contro i dimostranti, ma, purtroppo, l’Esercito. Questo è anche il motivo per cui, in una crisi di coscienza e di colpa, il capo dell’Esercito generale Milea si suicidò – se non fu assassinato. E’ un enigma irrisolto della nostra rivoluzione” (8).
Insomma, la “rivoluzione” romena non sarebbe riuscita senza l’apporto decisivo della Securitate.
L’interpretazione del prof. Karnoouh ha trovato una sostanziale conferma, con l’aggiunta di dati ulteriori, nelle dichiarazioni rilasciate nel corso di un’intervista giornalistica da Gelu Voican Voiculescu, l’uomo del Fronte di Salvezza Nazionale che organizzò il processo sommario contro Nicolae ed Elena Ceausescu e che successivamente diventò vice primo ministro.
“La Securitate – ha detto Voican Voiculescu – era una forza molto compatta e capace di reprimere ogni insurrezione. Il suo ruolo fu provvidenziale, perché essa non sparò, ma si tirò da una parte e lasciò Ceausescu privo di protezione. Anzi, il 18 dicembre il generale Vlad, capo del Dipartimento di Sicurezza dello Stato, con un atto di sua propria iniziativa aveva liberato tutti i detenuti politici che si trovavano agli arresti presso la Securitate – e si trattava di un certo numero di persone. Dunque esistono prove evidenti che la Securitate aveva ricevuto l’ordine di non immischiarsi nei moti di piazza. Di più: il piano che mirava a contrapporre la Securitate all’Esercito venne sventato per iniziativa degli stessi generali che dirigevano la Securitate, i quali intorno al 22 dicembre disposero che la Securitate si subordinasse all’Esercito. Non fu un atto impensabile, perché era previsto che in una situazione di guerra la Securitate si integrasse nell’Esercito. Ma negli eventi in questione, tale decisione fu presa il 22 dicembre; e a Timisoara non fu la Securitate a sparare contro i dimostranti, ma, purtroppo, l’Esercito. Questo è anche il motivo per cui, in una crisi di coscienza e di colpa, il capo dell’Esercito generale Milea si suicidò – se non fu assassinato. E’ un enigma irrisolto della nostra rivoluzione” (8).
Insomma, la “rivoluzione” romena non sarebbe riuscita senza l’apporto decisivo della Securitate.
https://www.youtube.com/watch?v=ANKZdTbEFCQ
La tesi del colpo di Stato guidato da potenze straniere venne enunciata dallo stesso Ceausescu nel corso del processo sommario cui venne sottoposto da parte degli uomini del Fronte di Salvezza Nazionale.
“La mia sorte è stata decisa a Malta”, ebbe a dire Ceausescu in quella circostanza, alludendo all’incontro tra Bush e Gorbaciov; e aggiunse che quelli che a Timisoara avevano sparato sulla folla erano agenti segreti stranieri.Gelu Voican Voiculescu ha dichiarato nel corso della medesima intervista:
“Noi non possiamo sapere che cosa sia stato deciso a Malta. Però è un dato di fatto che la rivoluzione romena fu innescata dai servizi di diverse potenze straniere. Nella misura in cui il terreno operativo era di pertinenza dell’URSS, la presenza effettiva e la manodopera furono fornite dal KGB. Nello stesso tempo, la CIA aveva installato una sua centrale operativa a Budapest. Tra i due organismi spionistici vi fu una stretta collaborazione. L’operazione prese il nome di ‘Valacchia 89’ e richiese l’impiego di mezzi cospicui. La Cia partecipò più che altro con piani e fondi, il KGB con la logistica. Le posso dire, sulla base di informazioni provenienti da fonti autorevoli, che dopo il 6 dicembre il numero dei turisti sovietici crebbe bruscamente di dieci volte e a partire dal 16 dicembre vi furono in Romania 67.000 turisti sovietici. Sono cifre esatte, che provengono dai punti di frontiera. In genere, entravano in Romania automobili Lada, ciascuna con quattro uomini a bordo, di età giovane o media. Sono significative, poi, le registrazioni effettuate nelle camere d’albergo, anche se non tutti questi strani turisti alloggiavano in albergo. La maggior parte entrò dalla Jugoslavia e dall’Ungheria. A Timisoara forse operarono agenti jugoslavi di nazionalità croata, sicuramente vi furono agenti ungheresi. La TV ungherese praticamente diresse le operazioni.
“Adesso, disponendo delle informazioni cui ho avuto accesso, posso formulare un’ipotesi: il 16-17 dicembre a Timisoara e il 21-22 a Bucarest, questi servizi che preparavano il rovesciamento di Ceausescu vollero fare una prova generale per valutare la situazione. Siccome ritenevano che il popolo romeno fosse inerte e che gli organi repressivi fossero fedeli a Ceausescu, gli ispiratori dell’operazione volevano sapere quale sarebbe stata l’adesione della popolazione, come sarebbero entrati in azione la Milizia, l’Esercito, la Securitate, il Partito, i mezzi di comunicazione. Pensarono quindi di fare una prova a Timisoara e nella capitale. Orbene, questo tentativo diede il via a un processo che sfuggì loro di mano e li colse di sorpresa. Essi avrebbero voluto fare scoppiare la rivolta il 30 dicembre o anche in gennaio, e invece furono colti all’improvviso da un incendio generale che oltrepassava le loro aspettative. Fu questo a paralizzarli, oltre al nostro comportamento atipico. Noi infatti, nel nostro dilettantismo e confusionismo, demmo a questi superprofessionisti l’impressione di agire secondo un piano prestabilito che a loro sfuggiva. In realtà, procedevamo alla cieca. Allora si bloccò qualcosa nel meccanismo degli agenti stranieri. Essi fecero qualche provocazione, ma poi tutto acquisì una sua dimensione e prese una sua via. Così Ceausescu cadde in maniera assai rapida, praticamente in un giorno solo”.
Secondo l’ex vice primo ministro, “i servizi segreti stranieri avevano lo scopo di smembrare la Romania come entità statale: il caos avrebbe dovuto creare le premesse per l’ingresso di truppe straniere che smembrassero il paese. Una proposta del genere, d’altronde, era stata fatta da James Baker al Patto di Varsavia. L’URSS si sarebbe presa il Delta del Danubio e la Moldavia fino ai Carpazi, la Bulgaria avrebbe preso il Sud della Dobrugia, la Jugoslavia il Banato, l’Ungheria la Transilvania. E’ normale che non sia stato previsto un successore a Ceausescu, proprio perché si voleva produrre il massimo disordine. Nel caos, inoltre, era prevedibile lo scoppio di una guerra civile tra la Securitate e l’Esercito: si sapeva che sotto Ceausescu tra queste due istituzioni c’era una certa rivalità.
“Ma c'è dell'altro. L'intensa mediatizzazione della rivoluzione di dicembre (che monopolizzò gli schermi televisivi di tutto il mondo) costituì una cortina fumogena dietro la quale gli americani commisero quell'abuso che fu il rapimento di Noriega, il quale era in ogni caso un capo di Stato, fosse o non fosse un narcotrafficante. Gli americani violarono la sovranità e l'indipendenza del piccolo Stato di Panama con un atto di pura e semplice pirateria. A ciò non si prestò molta attenzione, perché l'attenzione mondiale era polarizzata sulla Romania".
"Evidentemente -osservo- gli americani applicarono la lezione imparata nel 1956, quando i sionisti aggredirono l'Egitto approfittando del fatto che l'attenzione mondiale era concentrata sulla rivolta di Budapest".
"Nel caso della Romania e di Panama vi fu certamente un progetto e una premeditazione. Un'operazione come quella di Panama non si improvvisa, cogliendo al volo l'occasione della rivolta che sta avvenendo in Romania.Tutto fu programmato e sincronizzato secondo un piano ben preciso.”(9).
Da parte sua, l’ultimo ministro degli Esteri del governo comunista, Ion Totu, nel periodo si trovava detenuto nel carcere di Jilava dichiarò testualmente:
Gli eventi del dicembre 1989 facevano parte di un vasto programma di azione degli Stati Uniti e dell’Occidente (in primo luogo l’Inghilterra) per destabilizzare l’URSS e gli altri paesi socialisti e per attrarli nella sfera d’influenza del capitalismo; lo scopo principale era che gli Stati Uniti dovevano restare l’unica superpotenza mondiale, che decidesse a proprio piacimento. In questo programma, le prospettive della Romania avevano come obiettivi principali: a) la trasformazione del nostro paese in un avamposto militare, in una base militare nell’Est europeo, ai confini con l’URSS; b) la trasformazione del nostro paese in una semicolonia economica sottoposta agli stimoli e alle richieste del capitale finanziario internazionale” (10).1. Una conversazione con Marian Munteanu, intervista a cura di Claudio Mutti, “Orion”, dicembre 1992.
2. Ibidem.
3. Traian Golea, How the Condamnation of a Nation is staged, Romanian Historical Studies, Hallandale 1996, p. 12.
4. Radu Portocala, România. Autopsia unei lovituri de stat. In tara în care a triumfat minciuna, Agora Timisoreana, Bucuresti 1991, p. 97.
5. Pubblicato il 10 gennaio 1990 dal quotidiano “Romania libera” (Bucarest) e parzialmente ripreso il 17 gennaio 1990 da “Le Nouvel Observateur” (Parigi).
6. A l’Est, du nouveau. L’exemple roumain, Entretien avec Claude Karnoouh, “Krisis”, n. 5, aprile 1990.
7. Ibidem.
8. Claudio Mutti, Quale fine per Ceausescu?, “Storia del XX secolo”, n. 9, gennaio 1996.
9. Ibidem.
10. Intervista di Angela Bacescu, “Europa”, 22 aprile 1991..
https://www.youtube.com/watch?v=GKySYIsmOg8
Quindi abbiamo letto che fu un colpo di stato, per interessi geo politici e per aver eliminato il debito pubblico, è vero che viveva nel lusso, era stato obbligato in un primo tempo a sprecare i soldi del prestito, è vero che aveva tenuto a stecchetto la popolazione con alimenti, energia e carburanti razionati MA la Romania era senza debito pubblico e di questi tempi sappiamo bene cosa vuol dire, ovviamente non è finita il mio occasionale informatore mi disse riassumendo che Ceausescu voleva aiutare le banche arabe, ma è molto di più ecco perchè l'incontro a Teheran con Gheddafi e Khomeyni..
Gheddafi e Ceausescu, morti parallele.
22 ottobre 2011
da CPE Eurasia
In questo momento mi trovo in Romania e ricevo la notizia, attraverso la Rete, dell’uccisione, o per meglio dire, dell’assassinio del Presidente Gheddafi. Nonostante i pur legittimi dubbi che circolano sulla sua morte, simili a quelli che tuttora aleggiano sulla fine di Osama Bin Laden, dobbiamo dare per scontato che la morte del capo libico sia autentica. E questo perché troppe sono le solite cosiddette “coincidenze” e troppi, soprattutto, i parallelismi con altre luride situazioni simili.
Dicevo che sto trascorrendo qualche giorno in Romania non per mettere a parte i lettori dei fatti miei, bensì perchè la notizia della morte del Colonnello mi ha immediatamente riportato a un’altra morte, avvenuta vent’anni fa qui nel Paese carpatico. Il lettore si sarà subito avveduto che sto parlando di Nicolae Ceausescu.
Il parallelismo, ben lungi da essere una semplice suggestione, ha diverse ragioni d’essere.
Primo. In Romania la morte di Ceausescu fu preceduta da quella che ancora molti storici (soprattutto occidentali, ivi compresi i cosiddetti romenisti dei miei stivali), seguitano con ostinata ignoranza a chiamare“rivoluzione”. Ossia da un vastissimo movimento di piazza “spontaneo”sopraggiunto per saturazione causata dall’abuso del potere politico da parte del dittatore. La stessa cosa hanno detto e scritto, e diranno e scriveranno negli annali ufficiali, per quanto riguarda la Libia. Solo i più ottusi sostenitori della democrazia american style e del politicamente corretto fanno finta di non sapere che ciò che accadde in Romania nel 1989 non fu affatto una rivoluzione, bensì un colpo di Stato. Ci sono molti documenti pubblicati in questi anni nel Paese danubiano che, al di sopra di ogni ragionevole sospetto o dubbio, dimostrano questo. La “rivolta” di Timisoara e i “massacri” di civili per opera dell’esercito su ordine diretto di Ceausescu, seguitano a scrivere e a ripetere storici, giornalisti e la mia portinaia: nessun massacro.
Parlavano e scrivevano in tutto il mondo di 60mila morti ammazzati a Timisoara, quando questa città all’epoca aveva circa… 60mila abitanti.Poi la fuga in elicottero: altri documenti dimostrano che Ceausescu non scappò, bensì fu costretto a salire sul velivolo dal generale Stanculescu, una delle menti di quel colpo di Stato; egli stesso ne ha più volte parlato,ammettendo con chiarezza il suo ruolo in quella vicenda. (Tra le altre cose, il reverendo Lazlo Tokes, il pastore protestante ungherese che avrebbe dato l’abbrivio alla rivolta di Timisoara ora è vicepresidente del Parlamento europeo…). La lista delle “stranezze” è parecchio lunga, ma qui non posso dilungarmi oltremodo, ma altrove le ho scritte.
Secondo. Gli esperti di questioni arabe hanno in questi mesi, tra le altre cose, sottolineato la volontà autonomista di Gheddafi, la sua politica non disposta a piegarsi agli interessi privati del mondialismo e dell’atlantismo; in più la sua perfetta coscienza di capo politico, la quale gli suggeriva senza dubbio di mantenere posizioni tanto radicali quanto di evidente buon senso in relazione alle libertà economiche e politiche della Libia rispetto ai radioattivi invasori occidentali. La stesso principio autonomista e anti occidentale – ancorché non isolazionista, beninteso – può e deve essere applicato alla politica di Ceausescu, il quale, a principiare dal 1968 nei confronti dell’invasione sovietica in Cecoslovacchia, ha, da una parte, sempre rivendicato il diritto all’autonomia e alla libertà della Romania rispetto a Mosca (non a caso per il regime di Ceausescu si deve parlare di nazionalcomunismo), mentre, dall’altra, ha sempre denunciato i tentativi di ingerenza non tanto da parte sovietica, quanto soprattutto da parte occidentale, e questo in particolare negli anni Ottanta. Per chi conosce il romeno suggerisco di ascoltare ciò il Conducator disse in più di un’occasione pubblica, ivi compreso un discorso del luglio 1989 e soprattutto quello del 21 dicembre dello stesso anno, il suo ultimo. Era evidente la sua consapevolezza circa l’ingerenza da parte di forze straniere, che ieri come oggi sono ben identificabili. E con questo passiamo all’altro parallelismo, forse il più interessante.
Terzo. Come ormai è noto, pochi giorni prima di essere catturato e ammazzato, Ceausescu si era recato a Teheran. Pochi tuttavia conoscono il motivo di questo viaggio, che è il seguente. All’epoca era in progetto la costituzione di una banca per i Paesi in via di sviluppo, che prestasse soldi a questi ultimi con tassi di interesse che andavano dal 3% al 5%, a fronte di tassi di interesse quattro o piu’ volte maggiori applicati dalle banche private. Ogni Stato avrebbe dovuto contribuire all’istituzione di questa banca (che nulla avrebbe avuto a che fare con, ad esempio, il Fondo Monetario Internazione, la Banca Mondiale e i loro accoliti) con 5 miliardi di dollari. Ebbene, i primi tre sostenitori di un progetto che avrebbe messo i bastoni tra le ruote alle banche private mondialiste, erano:l’Iran, la Romania e, guarda caso, la Libia. Proprio così. Gheddafi, gli ayatollah iraniani e il governo nazionalcomunista di Bucarest si erano alleati al fine di rompere il monopolio usurocratico bancario, almeno in relazione ai loro interessi e a quelli di quanti si sarebbero uniti per questo progetto. La Romania, sin dal giorno dopo la caduta di Ceausescu, cadde nelle mani del Fmi.
Ion Iliescu, emblema per eccellenza del “nuovo corso” politico romeno, gia’ due volte presidente del Paese carpatico e oggi “grande vecchio” della politica romena – in particolare del Partidul social-democrat, vasta camera di riciclaggio degli ex comunisti e degli (ex?) agenti della Securitate, la polizia segreta del precedente regime – è di fatto uno degli uomini di maggior fiducia del Fmi in Romania.
Quelle che molti non vedono oppure, peggio, chiamano “coincidenze” sono puri e semplici fatti, puri e semplici punti di partenza, ovvero di arrivo, che spiegano alla perfezione non solo ciò che è accaduto vent’anni fa e ciò che è accaduto poche ore fa in Libia, ma altresì ciò che accadrà presto in un Paese a qualche migliaio di chilometri dalla Siria.
Né Gheddafi né Ceausescu hanno voluto capitolare davanti ai ricatti, non hanno voluto darsela per inteso, non hanno voluto cedere la loro legittima sovranità. E per questo l’hanno pagata cara.
Ceausescu scoprì nel 1987 che la Romania aveva nel suo cortile tutti i “tesori” che le permettevano di non dipendere mai più dal FMI, non dovendo più sopportare la pressione di questa organizzazione. Un primo passo fu collaborare con Cina, Iran e Libia per una banca che fornisse prestiti a basso interesse ai Paesi in via di sviluppo. La banca in questione fu chiamata BRCE (Banca Rumena per il Commercio Estero), attraverso cui le imprese per il commercio estero della Romania avrebbero condotto operazioni usando denaro speciale, con cui rimborsare il debito estero della Romania. Il FMI può permettersi di fornire prestiti per decenni, potendo esercitare una brutale ingerenza nelle economie creditrici, per via di 2996 tonnellate di oro detenute nelle sue riserve. Le mappe dei giacimenti minerari cominciarono ad essere inserite sui computer in Romania fin dal 1971, presso la sede dell’azienda di esplorazione e perforazione “Geofisica” e furono costantemente aggiornate, così Ceausescu apprese che furono estratte dalle montagne della Romania, al 1987, circa 2070 tonnellate di oro e che la Romania aveva 6000 tonnellate d’oro, tre volte quello estratto tra allora e il 2013, raggiungendo un valore di 250 miliardi di euro. Ma a parte l’oro, Ceausescu sapeva che negli stessi giacimenti c’erano argento ed estremamente preziosi metalli rari come arsenico, gallio, germanio, molibdeno, titanio, vanadio, tungsteno, ecc. E fece affidamento su di essi, perché attualmente vengono stimati a 100 miliardi di euro. Oggi, l’uso generalizzato della tecnologia utilizzata da statunitensi e sovietici nei loro programmi spaziali Apollo e Sojuz, iniziarono appena ad apparire sul mercato. Videoregistratori, videocamere, computer e telefoni cellulari si basano sui microprocessori realizzati con materie prime come i metalli rari rinvenuti in abbondanza, come i giacimenti d’oro sui monti Apuseni (le miniere di Rosia Montana, Almas, Baia de Aries, Klaxon, Brad e Sacaramb).
Dopo il 1990, vi furono molti produttori europei di telefoni cellulari come Nokia che dovevano importare questi metalli rari dall’Africa centrale e dall’Australia, anche se la Romania è più vicina. Il boom della produzione globale di computer e telefoni cellulari iniziò dopo il 1990, quando la Romania era già stata sabotata nel dicembre 1989. Tuttavia, Ceausescu aveva anticipato questo sviluppo ed istituì in collaborazione con la società statunitense Texas Instruments, un intero settore dedicato alla piattaforma elettronica denominata IPRS Baneasa, lasciata in eredità ai rumeni. Con un minimo investimento avrebbe consentito alla Romania di produrre e avere computer, cellulari, una propria rete internet e di telefonia. Ma poco dopo il 1990, i diritti di proprietà intellettuale furono deliberatamente smantellati e trasformati in investimenti immobiliari. Il Generale Saadi Predoiu, laureato in Geologia e che lavorò come geologo alla ICE Geomine (1984-1985) e nella Società dei metalli rari di Bucharest IMRB (1985-1990), che gestiva “de facto” la SIE, sapeva queste cose? Il presidente e geologo Emil Constantinescu, che sapeva delle redditizie miniere in Romania e chiuse metà delle miniere, non lo sapeva? Non parliamo neanche del suo capo alla cancelleria presidenziale Dorin Marian, geologo di professione. Allo stesso modo, i primi ministri Nicolae Vacaroiu e Teodor Stolojan, direttore della pianificazione economica prima del 1989, non ne sapevano nulla? E Ion Iliesc, ex-membro del CPEX del Partito comunista, neanche?
Secondo gli specialisti, Ceausescu progettava un grande piano minerario entro il 2040, in modo che le banche d’investimento dei Paesi in via di sviluppo avessero un flusso costante di finanziamenti coperti dall’oro. Così, Ceausescu aveva previsto che tra mezzo secolo l’estrazione di oro e metalli rari rumeni sarebbe stata più difficile, ma che avrebbe fornito un fondo annuale di almeno 8 miliardi dollari alla Romania per lanciarla attraverso la BRCE (che di per sé aveva un capitale di oltre 10 miliardi di dollari), investendo nella costruzione di infrastrutture ed obiettivi economici all’estero, sulla base di progetti tracciati da architetti con manodopera comprendente operai ed ingegneri rumeni che utilizzavano strumenti e macchinari progettati e prodotti in Romania. Ma dove? Soprattutto in Cina e nei Paesi amici in Asia meridionale, in Iran e nei Paesi musulmani alleati in Africa e in Medio Oriente ed anche in Sud America. Questo è esattamente ciò che la Cina fa ora, mentre Victor Ponta e Traian Basescu sono seduti con la mano tesa a chiedere un possibile investimento da 8 miliardi di euro.
Devo ammettere che questo piano, concepito dalla mente non troppo istruita di Ceausescu, un uomo dallo straordinario patriottismo, che il popolo non riconosce, era grandioso. E forse possiamo parlare del Testamento di Ceausescu. Sarebbe interessante vedere ciò che è successo al “tesoro” dopo l’assassinio di Ceausescu. La BRCE, con la rivoluzione cambiò nome diventando Bancorex ed andò in bancarotta nel 1999, dopo di che, attraverso di essa, Ion Iliescu concesse prestiti illegali o inesigibili a decine di migliaia di membri della nomenklatura post-rivoluzionaria, falsi dissidenti e persino sospetti terroristi fin dal golpe del 22 dicembre 1989 e sotto lo sguardo del governatore della banca centrale. Bancorex venne inglobata nella Banca Rumena Commerciale (BRC) che venne poi privatizzata nel 2006. Il governatore della banca centrale sotto il Primo Ministro rumeno Tariceanu, costrinse la popolazione a pagare la somma di 3,75 miliardi di euro all’Erstebank austriaca, per gli ammanchi della Bancorex. Con la privatizzazione, la BCR incassò dagli austriaci 2,25 miliardi di euro, ma devono ancora pagarne 1,5. Se per ipotesi la leadership rumena avesse alla guida un patriota come Ceausescu e avesse preso la decisione di applicare il Testamento di Ceausescu, sarebbe stato impossibile, perché mancherebbe un pezzo del meccanismo che progettò: la banca rumena.
Dal settembre 1990 ad oggi, il nome dell’uomo che fu governatore della Banca Nazionale della Romania è Isarescu. Fino al dicembre del 1989 era un ricercatore presso l’Istituto di Economia Mondiale, ottenendo un dottorato in economia grazie alla partecipazione a corsi organizzati negli Stati Uniti. Nel gennaio-settembre 1990 Isarescu lavorò come addetto commerciale presso l’ambasciata di Romania a Washington. Nel 2002, la London Stock Exchange, la più grande borsa del mercato dell’oro del mondo, decise che l’impianto di Baia Mare, Phoenix (riconosciuto a livello mondiale dal 1970 come un produttore di garanzia) non aveva rispettato gli standard internazionali. La Romania perse il diritto di usare il timbro internazionale NBR sui lingotti d’oro. La punzonatura stampava il numero di serie, il peso, la concentrazione, il produttore e il logo della Banca nazionale. La Romania fu bandita dalla lista dei produttori ed esportatori dell’oro, e la banca centrale ebbe la scusa per non accettare depositi di lingotti d’oro rumeni. Solo la fortuna ha voluto che, in una conferenza stampa del PRM (Partito Romania Mare), venisse svelato un documento segreto del 25 marzo 2002 che dimostra che, per una strana coincidenza, su ordine del governatore della NBR di Otopeni, furono ritirati dal Paese 20 tonnellate di lingotti d’oro per la Germania. Nel periodo 2002-2013, lo stesso Isarescu dispose che due terzi delle riserve auree di Ceausescu lasciassero la Romania; 61,2 tonnellate depositate in banche all’estero, privando così la Romania della seconda parte del meccanismo creato da Ceausescu.
Completando l’opera per bloccare l’accesso dei rumeni ai propri oro e metalli rari, il ministro dell’Industria Radu Berceanu propose il permesso N.47/1999 di sfruttamento delle miniere d’oro e metalli rari, concesso dal GD 458/1999 (le cui disposizioni sono ancora segrete) a una società privata straniera, la Rosia Montana Gold Corporation, una società-schermo di Frank Timis Vasile. Da allora, il governo rumeno non ha visto un’oncia d’oro delle proprie miniere, mentre l’Agenzia nazionale per le risorse minerarie (NMRA) concesse licenze ad altre otto società straniere per l’esplorazione e lo sfruttamento di oro e metalli rari rumeni ad Apuseni, sulla base delle carte geologiche redatte sotto Ceausescu. La legge mineraria è stata modificata in modo che la Romania ricevesse dalle aziende straniere che sfruttano le sue risorse sotterranee solo il 4% del reddito di tutte le estrazioni, mentre il Sud Africa ne riceve il 20% per l’oro. Così, l’ultimo pezzo del meccanismo per la sopravvivenza della Romania immaginato da Ceausescu è già stato venduto.
Dicevo che sto trascorrendo qualche giorno in Romania non per mettere a parte i lettori dei fatti miei, bensì perchè la notizia della morte del Colonnello mi ha immediatamente riportato a un’altra morte, avvenuta vent’anni fa qui nel Paese carpatico. Il lettore si sarà subito avveduto che sto parlando di Nicolae Ceausescu.
Il parallelismo, ben lungi da essere una semplice suggestione, ha diverse ragioni d’essere.
Primo. In Romania la morte di Ceausescu fu preceduta da quella che ancora molti storici (soprattutto occidentali, ivi compresi i cosiddetti romenisti dei miei stivali), seguitano con ostinata ignoranza a chiamare“rivoluzione”. Ossia da un vastissimo movimento di piazza “spontaneo”sopraggiunto per saturazione causata dall’abuso del potere politico da parte del dittatore. La stessa cosa hanno detto e scritto, e diranno e scriveranno negli annali ufficiali, per quanto riguarda la Libia. Solo i più ottusi sostenitori della democrazia american style e del politicamente corretto fanno finta di non sapere che ciò che accadde in Romania nel 1989 non fu affatto una rivoluzione, bensì un colpo di Stato. Ci sono molti documenti pubblicati in questi anni nel Paese danubiano che, al di sopra di ogni ragionevole sospetto o dubbio, dimostrano questo. La “rivolta” di Timisoara e i “massacri” di civili per opera dell’esercito su ordine diretto di Ceausescu, seguitano a scrivere e a ripetere storici, giornalisti e la mia portinaia: nessun massacro.
Parlavano e scrivevano in tutto il mondo di 60mila morti ammazzati a Timisoara, quando questa città all’epoca aveva circa… 60mila abitanti.Poi la fuga in elicottero: altri documenti dimostrano che Ceausescu non scappò, bensì fu costretto a salire sul velivolo dal generale Stanculescu, una delle menti di quel colpo di Stato; egli stesso ne ha più volte parlato,ammettendo con chiarezza il suo ruolo in quella vicenda. (Tra le altre cose, il reverendo Lazlo Tokes, il pastore protestante ungherese che avrebbe dato l’abbrivio alla rivolta di Timisoara ora è vicepresidente del Parlamento europeo…). La lista delle “stranezze” è parecchio lunga, ma qui non posso dilungarmi oltremodo, ma altrove le ho scritte.
Secondo. Gli esperti di questioni arabe hanno in questi mesi, tra le altre cose, sottolineato la volontà autonomista di Gheddafi, la sua politica non disposta a piegarsi agli interessi privati del mondialismo e dell’atlantismo; in più la sua perfetta coscienza di capo politico, la quale gli suggeriva senza dubbio di mantenere posizioni tanto radicali quanto di evidente buon senso in relazione alle libertà economiche e politiche della Libia rispetto ai radioattivi invasori occidentali. La stesso principio autonomista e anti occidentale – ancorché non isolazionista, beninteso – può e deve essere applicato alla politica di Ceausescu, il quale, a principiare dal 1968 nei confronti dell’invasione sovietica in Cecoslovacchia, ha, da una parte, sempre rivendicato il diritto all’autonomia e alla libertà della Romania rispetto a Mosca (non a caso per il regime di Ceausescu si deve parlare di nazionalcomunismo), mentre, dall’altra, ha sempre denunciato i tentativi di ingerenza non tanto da parte sovietica, quanto soprattutto da parte occidentale, e questo in particolare negli anni Ottanta. Per chi conosce il romeno suggerisco di ascoltare ciò il Conducator disse in più di un’occasione pubblica, ivi compreso un discorso del luglio 1989 e soprattutto quello del 21 dicembre dello stesso anno, il suo ultimo. Era evidente la sua consapevolezza circa l’ingerenza da parte di forze straniere, che ieri come oggi sono ben identificabili. E con questo passiamo all’altro parallelismo, forse il più interessante.
Terzo. Come ormai è noto, pochi giorni prima di essere catturato e ammazzato, Ceausescu si era recato a Teheran. Pochi tuttavia conoscono il motivo di questo viaggio, che è il seguente. All’epoca era in progetto la costituzione di una banca per i Paesi in via di sviluppo, che prestasse soldi a questi ultimi con tassi di interesse che andavano dal 3% al 5%, a fronte di tassi di interesse quattro o piu’ volte maggiori applicati dalle banche private. Ogni Stato avrebbe dovuto contribuire all’istituzione di questa banca (che nulla avrebbe avuto a che fare con, ad esempio, il Fondo Monetario Internazione, la Banca Mondiale e i loro accoliti) con 5 miliardi di dollari. Ebbene, i primi tre sostenitori di un progetto che avrebbe messo i bastoni tra le ruote alle banche private mondialiste, erano:l’Iran, la Romania e, guarda caso, la Libia. Proprio così. Gheddafi, gli ayatollah iraniani e il governo nazionalcomunista di Bucarest si erano alleati al fine di rompere il monopolio usurocratico bancario, almeno in relazione ai loro interessi e a quelli di quanti si sarebbero uniti per questo progetto. La Romania, sin dal giorno dopo la caduta di Ceausescu, cadde nelle mani del Fmi.
Ion Iliescu, emblema per eccellenza del “nuovo corso” politico romeno, gia’ due volte presidente del Paese carpatico e oggi “grande vecchio” della politica romena – in particolare del Partidul social-democrat, vasta camera di riciclaggio degli ex comunisti e degli (ex?) agenti della Securitate, la polizia segreta del precedente regime – è di fatto uno degli uomini di maggior fiducia del Fmi in Romania.
Quelle che molti non vedono oppure, peggio, chiamano “coincidenze” sono puri e semplici fatti, puri e semplici punti di partenza, ovvero di arrivo, che spiegano alla perfezione non solo ciò che è accaduto vent’anni fa e ciò che è accaduto poche ore fa in Libia, ma altresì ciò che accadrà presto in un Paese a qualche migliaio di chilometri dalla Siria.
Né Gheddafi né Ceausescu hanno voluto capitolare davanti ai ricatti, non hanno voluto darsela per inteso, non hanno voluto cedere la loro legittima sovranità. E per questo l’hanno pagata cara.
È il destino di uomini come questi.
____________________________________________________________
Bene, rispondeva male alla Russia, saldava i debiti con l'FMI, volevano aprire una banca per aiutare le nazioni a tassi agevolati, chissà cosa d'altro, uno se le cerca, due, abbiamo visto "per caso" comparire anche Gheddafi, non è finita.
La "Paga di Giuda", abbiamo letto nell' ultimo articolo se avete fatto caso : "Tra le altre cose, il reverendo Laszlo Tokes, il pastore protestante ungherese che avrebbe dato l’abbrivio alla rivolta di Timisoara ora èvicepresidente del Parlamento europeo…". è così che pagano i leccapiedi come Prodi, regalò le nostre aziende IRI ai suoi amici della trilaterale & co. il premio fù presidente del parlamento europeo ed ora lavora per l'ONU in africa altra organizzazione mondialista fondata da Rockefeller, il reverendo è vice presidente ed avanti così, altrimenti c'è sempre il "nobel". Ed io sono un cospirazionista, no soltanto VEDO SENTO E RICORDO BENISSIMO. Suwikipedia inglese la conferma e la storia dal loro punto di vista, dato che la controlla Soros ...
Non è finita dicevo, un giorno non ricordavo bene come si scriveva
Ceausescu, vado su google e mi compare in basso "Il tesoro di Ceausescu",vediamo, Bingo, la spiegazione economica e dell'apoteosi di una rapina. Perchè la Romania si chiama così? Si chiamava Dacia ed era abitata dai Daci, arrivarono i Romani fecero fuori tutti e dovettero ripopolarla, lo fecero con i Romani ed ecco il perchè del nome, perchè arrivarono i romani ? Perchè c'erano le miniere d'oro e pare, mi dicono che queste non camminano, quindi sono ancora lì, aveva trovato il modo di rendere indipendente e ricca la Romania, BANG, MORTO, STOP !!
Alla fine del 1982, la Romania raggiunse il culmine del debito estero di 11 miliardi dollari, dovuti al FMI d’accordo con il miliardario George Soros, (come il prezzemolo, stò pezzo di merda) il cui coinvolgimento negli eventi del 1989 fu poi dimostrato, e che aveva pianificato una serie di speculazioni disastrose per la Romania. Dopo queste speculazioni, la Romania entrò in uno stato di blocco finanziario e insolvenza. Ma Ceausescu colse di sorpresa il FMI, impegnandosi a pagare tutto il debito esterno successivo al 1985 prima della data prevista, evitando che la Romania cadesse nella trappola delle grandi transazioni azionarie del FMI. Soros poi riuscì ad aggiudicarsi 1,1 miliardi di sterline al London Stock Exchange. Nonostante ciò, il FMI imposesanzioni contro la Romania per il pagamento anticipato. Poiché il FMI, guidato dagli Stati Uniti, chiese alla Romania il rimborso del debito con interesse triplicato, gran parte della produzione agricola e industriale del Paese dovette essere esportata, creando le famose code in per il cibo che abbiamo vissuto. Il riscaldamento venne razionato e la benzina erogata con le tessere. Così, dal 1987, gli Stati Uniti innescaronoun’intensa campagna di demonizzazione dei Ceausescu sui media occidentali. Le stazioni radioFree Europe e Voice of America lanciarono la prima falsa voce che Gorbaciov avesse creato un sostituto di Ceausescu. Nel marzo 1989, quando Ceausescu poté ripagare tutti i debiti, la Romania aveva un credito di 3,7 miliardi dollari depositati nelle banche e altri crediti per 7-8 miliardi di dollari. A tale importo si aggiunsero le esportazioni rumene, che nel 1989 erano circa 6 miliardi. I documenti ufficiali sui 24 anni successivi alla rivoluzione non possono giustificare l’esistenza attuale di un buco di 2 miliardi. Perché questo denaro è “sparito”? Chi l’ha fatto sparire? Non è necessario spiegare oltre. Se la Romania avesse avuto, dopo il 1989, nei suoi servizi segreti e nelle sue procure dei patrioti rumeni, lo sapremmo.
Vi sono indicazioni che nella notte del 14/15 dicembre 1989 un aereo Il-18 della flotta presidenziale sarebbe decollato da Otopeni per un volo speciale a Teheran. L’aereo trasportava 24 tonnellate di lingotti d’oro. Infatti, fu registrato sui documenti di volo che l’aereo rientrò vuoto dall’Iran, il 4 gennaio 1990. Se le cose sono realmente andate così, la spiegazione può essere estremamente semplice.Ceausescu scoprì nel 1987 che la Romania aveva nel suo cortile tutti i “tesori” che le permettevano di non dipendere mai più dal FMI, non dovendo più sopportare la pressione di questa organizzazione. Un primo passo fu collaborare con Cina, Iran e Libia per una banca che fornisse prestiti a basso interesse ai Paesi in via di sviluppo. La banca in questione fu chiamata BRCE (Banca Rumena per il Commercio Estero), attraverso cui le imprese per il commercio estero della Romania avrebbero condotto operazioni usando denaro speciale, con cui rimborsare il debito estero della Romania. Il FMI può permettersi di fornire prestiti per decenni, potendo esercitare una brutale ingerenza nelle economie creditrici, per via di 2996 tonnellate di oro detenute nelle sue riserve. Le mappe dei giacimenti minerari cominciarono ad essere inserite sui computer in Romania fin dal 1971, presso la sede dell’azienda di esplorazione e perforazione “Geofisica” e furono costantemente aggiornate, così Ceausescu apprese che furono estratte dalle montagne della Romania, al 1987, circa 2070 tonnellate di oro e che la Romania aveva 6000 tonnellate d’oro, tre volte quello estratto tra allora e il 2013, raggiungendo un valore di 250 miliardi di euro. Ma a parte l’oro, Ceausescu sapeva che negli stessi giacimenti c’erano argento ed estremamente preziosi metalli rari come arsenico, gallio, germanio, molibdeno, titanio, vanadio, tungsteno, ecc. E fece affidamento su di essi, perché attualmente vengono stimati a 100 miliardi di euro. Oggi, l’uso generalizzato della tecnologia utilizzata da statunitensi e sovietici nei loro programmi spaziali Apollo e Sojuz, iniziarono appena ad apparire sul mercato. Videoregistratori, videocamere, computer e telefoni cellulari si basano sui microprocessori realizzati con materie prime come i metalli rari rinvenuti in abbondanza, come i giacimenti d’oro sui monti Apuseni (le miniere di Rosia Montana, Almas, Baia de Aries, Klaxon, Brad e Sacaramb).
Dopo il 1990, vi furono molti produttori europei di telefoni cellulari come Nokia che dovevano importare questi metalli rari dall’Africa centrale e dall’Australia, anche se la Romania è più vicina. Il boom della produzione globale di computer e telefoni cellulari iniziò dopo il 1990, quando la Romania era già stata sabotata nel dicembre 1989. Tuttavia, Ceausescu aveva anticipato questo sviluppo ed istituì in collaborazione con la società statunitense Texas Instruments, un intero settore dedicato alla piattaforma elettronica denominata IPRS Baneasa, lasciata in eredità ai rumeni. Con un minimo investimento avrebbe consentito alla Romania di produrre e avere computer, cellulari, una propria rete internet e di telefonia. Ma poco dopo il 1990, i diritti di proprietà intellettuale furono deliberatamente smantellati e trasformati in investimenti immobiliari. Il Generale Saadi Predoiu, laureato in Geologia e che lavorò come geologo alla ICE Geomine (1984-1985) e nella Società dei metalli rari di Bucharest IMRB (1985-1990), che gestiva “de facto” la SIE, sapeva queste cose? Il presidente e geologo Emil Constantinescu, che sapeva delle redditizie miniere in Romania e chiuse metà delle miniere, non lo sapeva? Non parliamo neanche del suo capo alla cancelleria presidenziale Dorin Marian, geologo di professione. Allo stesso modo, i primi ministri Nicolae Vacaroiu e Teodor Stolojan, direttore della pianificazione economica prima del 1989, non ne sapevano nulla? E Ion Iliesc, ex-membro del CPEX del Partito comunista, neanche?
Secondo gli specialisti, Ceausescu progettava un grande piano minerario entro il 2040, in modo che le banche d’investimento dei Paesi in via di sviluppo avessero un flusso costante di finanziamenti coperti dall’oro. Così, Ceausescu aveva previsto che tra mezzo secolo l’estrazione di oro e metalli rari rumeni sarebbe stata più difficile, ma che avrebbe fornito un fondo annuale di almeno 8 miliardi dollari alla Romania per lanciarla attraverso la BRCE (che di per sé aveva un capitale di oltre 10 miliardi di dollari), investendo nella costruzione di infrastrutture ed obiettivi economici all’estero, sulla base di progetti tracciati da architetti con manodopera comprendente operai ed ingegneri rumeni che utilizzavano strumenti e macchinari progettati e prodotti in Romania. Ma dove? Soprattutto in Cina e nei Paesi amici in Asia meridionale, in Iran e nei Paesi musulmani alleati in Africa e in Medio Oriente ed anche in Sud America. Questo è esattamente ciò che la Cina fa ora, mentre Victor Ponta e Traian Basescu sono seduti con la mano tesa a chiedere un possibile investimento da 8 miliardi di euro.
Devo ammettere che questo piano, concepito dalla mente non troppo istruita di Ceausescu, un uomo dallo straordinario patriottismo, che il popolo non riconosce, era grandioso. E forse possiamo parlare del Testamento di Ceausescu. Sarebbe interessante vedere ciò che è successo al “tesoro” dopo l’assassinio di Ceausescu. La BRCE, con la rivoluzione cambiò nome diventando Bancorex ed andò in bancarotta nel 1999, dopo di che, attraverso di essa, Ion Iliescu concesse prestiti illegali o inesigibili a decine di migliaia di membri della nomenklatura post-rivoluzionaria, falsi dissidenti e persino sospetti terroristi fin dal golpe del 22 dicembre 1989 e sotto lo sguardo del governatore della banca centrale. Bancorex venne inglobata nella Banca Rumena Commerciale (BRC) che venne poi privatizzata nel 2006. Il governatore della banca centrale sotto il Primo Ministro rumeno Tariceanu, costrinse la popolazione a pagare la somma di 3,75 miliardi di euro all’Erstebank austriaca, per gli ammanchi della Bancorex. Con la privatizzazione, la BCR incassò dagli austriaci 2,25 miliardi di euro, ma devono ancora pagarne 1,5. Se per ipotesi la leadership rumena avesse alla guida un patriota come Ceausescu e avesse preso la decisione di applicare il Testamento di Ceausescu, sarebbe stato impossibile, perché mancherebbe un pezzo del meccanismo che progettò: la banca rumena.
Dal settembre 1990 ad oggi, il nome dell’uomo che fu governatore della Banca Nazionale della Romania è Isarescu. Fino al dicembre del 1989 era un ricercatore presso l’Istituto di Economia Mondiale, ottenendo un dottorato in economia grazie alla partecipazione a corsi organizzati negli Stati Uniti. Nel gennaio-settembre 1990 Isarescu lavorò come addetto commerciale presso l’ambasciata di Romania a Washington. Nel 2002, la London Stock Exchange, la più grande borsa del mercato dell’oro del mondo, decise che l’impianto di Baia Mare, Phoenix (riconosciuto a livello mondiale dal 1970 come un produttore di garanzia) non aveva rispettato gli standard internazionali. La Romania perse il diritto di usare il timbro internazionale NBR sui lingotti d’oro. La punzonatura stampava il numero di serie, il peso, la concentrazione, il produttore e il logo della Banca nazionale. La Romania fu bandita dalla lista dei produttori ed esportatori dell’oro, e la banca centrale ebbe la scusa per non accettare depositi di lingotti d’oro rumeni. Solo la fortuna ha voluto che, in una conferenza stampa del PRM (Partito Romania Mare), venisse svelato un documento segreto del 25 marzo 2002 che dimostra che, per una strana coincidenza, su ordine del governatore della NBR di Otopeni, furono ritirati dal Paese 20 tonnellate di lingotti d’oro per la Germania. Nel periodo 2002-2013, lo stesso Isarescu dispose che due terzi delle riserve auree di Ceausescu lasciassero la Romania; 61,2 tonnellate depositate in banche all’estero, privando così la Romania della seconda parte del meccanismo creato da Ceausescu.
Completando l’opera per bloccare l’accesso dei rumeni ai propri oro e metalli rari, il ministro dell’Industria Radu Berceanu propose il permesso N.47/1999 di sfruttamento delle miniere d’oro e metalli rari, concesso dal GD 458/1999 (le cui disposizioni sono ancora segrete) a una società privata straniera, la Rosia Montana Gold Corporation, una società-schermo di Frank Timis Vasile. Da allora, il governo rumeno non ha visto un’oncia d’oro delle proprie miniere, mentre l’Agenzia nazionale per le risorse minerarie (NMRA) concesse licenze ad altre otto società straniere per l’esplorazione e lo sfruttamento di oro e metalli rari rumeni ad Apuseni, sulla base delle carte geologiche redatte sotto Ceausescu. La legge mineraria è stata modificata in modo che la Romania ricevesse dalle aziende straniere che sfruttano le sue risorse sotterranee solo il 4% del reddito di tutte le estrazioni, mentre il Sud Africa ne riceve il 20% per l’oro. Così, l’ultimo pezzo del meccanismo per la sopravvivenza della Romania immaginato da Ceausescu è già stato venduto.
Valentin Vasilescu, pilota ed ex vicecomandante della base militare dell’aeroporto di Otopeni, laureato in Scienze Militari presso l’Accademia di Studi Militari di Bucarest nel 1992.
Traduzione di Alessandro Lattanzio
Tutto è chiaro, uno schema standard, più mi inoltro nello studiare certe figure, "assassinate", ed il sistema in generale, più mi rendo conto che eliminano chi fà il bene del suo popolo, iniziando con una campagna stampa demonizzatrice per preparare il terreno, poi l'azione, i sotterfugi, Mussolini, Ceausescu, Saddam Hussein, Gheddafi, i primi che mi vengono in mente, sono anche convinto che abbiano fatto fuori anche Adriano Olivetti, non era un capo di stato ma le sue politiche industriali e i suoi successi industriali contrastanti con i criminali, Mattei ...
Chiudiamo con una cosa quasi ovvia
Romania, dilaga la nostalgia comunista: 2 su 3 rivogliono Ceausescu
Incredibile ma vero. Il 66% dei cittadini romeni vorrebbe Nicolae Ceausescu di nuovo alla guida del paese. Dilaga la nostalgia per il socialismo reale
Domenica, 9 agosto 2015
Sembra incredibile ma è proprio così: in Romania un numero sempre maggiore di persone ha nostalgia del presidente Nicolae Ceausescu, a 26 anni dalla sua caduta dopo la sollevazione della piazza, dalla fucilazione in coppia con la moglie Elena in una caserma di Targoviste, oggi museo per turisti.
Sono in tanti e sempre più numerosi, in Romania, a rimpiangere il leader comunista. A confermarlo, una ricerca dell’Institutul Roman pentru Evaluare si Strategie, un autorevole think tank di Bucarest.
Quasi un plebiscito per il Conducator, che regnò sulla Romania dal 1965 al 1989. Addirittura un 66% vorrebbe infatti Ceausescu di nuovo in sella, sulla poltrona di presidente della Repubblica, a guidare il secondo Paese più povero dell’Unione europea verso un futuro più radioso. Sorpresa? Fino a un certo punto. A fine 2010, un simile sondaggio aveva dato risultati conformi, con un 41% di nostalgici.
Fa impressione osservare la percentuale di chi rimpiange Ceausescu salire di venti punti in 5 anni, in una nazione dove il 41,7% della popolazione rimane a rischio povertà o esclusione sociale e dove, misura ancora più efficace per leggere lo stato di salute di un Paese, un bimbo su quattro cresce in famiglie che galleggiano sotto la soglia di povertà relativa.
Lo stesso sondaggio Ires lo conferma. Sotto il regime, non si votava e non si era liberi, ma tutti avevano "un lavoro sicuro", ha risposto il 23% del campione. E più in generale, ha assicurato un ampio 70%, ai tempi "si viveva meglio" di oggi, in una Romania dove i mal di pancia della gente cominciano a diventare sempre più dolorosi. Tanto da far rimpiangere Ceausescu.
Sono in tanti e sempre più numerosi, in Romania, a rimpiangere il leader comunista. A confermarlo, una ricerca dell’Institutul Roman pentru Evaluare si Strategie, un autorevole think tank di Bucarest.
Quasi un plebiscito per il Conducator, che regnò sulla Romania dal 1965 al 1989. Addirittura un 66% vorrebbe infatti Ceausescu di nuovo in sella, sulla poltrona di presidente della Repubblica, a guidare il secondo Paese più povero dell’Unione europea verso un futuro più radioso. Sorpresa? Fino a un certo punto. A fine 2010, un simile sondaggio aveva dato risultati conformi, con un 41% di nostalgici.
Fa impressione osservare la percentuale di chi rimpiange Ceausescu salire di venti punti in 5 anni, in una nazione dove il 41,7% della popolazione rimane a rischio povertà o esclusione sociale e dove, misura ancora più efficace per leggere lo stato di salute di un Paese, un bimbo su quattro cresce in famiglie che galleggiano sotto la soglia di povertà relativa.
Lo stesso sondaggio Ires lo conferma. Sotto il regime, non si votava e non si era liberi, ma tutti avevano "un lavoro sicuro", ha risposto il 23% del campione. E più in generale, ha assicurato un ampio 70%, ai tempi "si viveva meglio" di oggi, in una Romania dove i mal di pancia della gente cominciano a diventare sempre più dolorosi. Tanto da far rimpiangere Ceausescu.
Fonte :
http://unmondoimpossibile.blogspot.it/2016/01/la-storia-vera-della-fine-di-ceausescu.html
http://nomassoneriamacerata.blogspot.it/