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lunedì 30 marzo 2015

Il Barbaresco 2006 di Angelo Gaja



Esiste una legge d' "attrazione" che governa l'universo, che chiama a raccolta gli "spiriti" affini, che promuove l'intersezione di avvenimenti sinergici, che calamita le energie cosmiche finalizzandole all'eterno scorrere della vita? Quando si vivono giornate fatte di incontri e di esperienze che lasciano il segno si è inclini a credere di sì. E'  bastato un pretesto a scatenare una concatenazione di confluenze astrali: il semplice dono di una bottiglia di vino! Ma procediamo con ordine.
Al wine-bar Cairoli sovente capita di soffermarsi sulla capacità di talune bottiglie di emozionare. A volte il blasone, a volte l'intrinseca qualità del prodotto, costituiscono un sicuro approdo per la voglia di stupire e il desiderio di ingenerare piacere.
Stasera l'attenzione di tutti i presenti è calamitata  dall'eloquio esplicativo e descrittivo di Lino Ficelo, titolare del locale. Davanti a Lui autentici miti enologici quali il  Brunello di Montalcino Biondi Santi, il Sassicaia, il Tignanello, il Barbaresco Gaja, ed una coppia di avventori concentrati nell'incombenza e nell'urgenza di una scelta. Alla richiesta di un parere mi associo con una battuta: il Barbaresco Gaja è un fuoriclasse. Rientra, a mio parere, nel ristretto novero di quelle bottiglie assolutamente imperdibili e indimenticabili. Fatalmente si finisce per parlare del suo facitore, le "roy", Angelo Gaja. Ed è a quel punto che cuori e desideri si fondono, che si evocano scenari affascinanti sui delicati crinali della rievocazione estatica, che si invoca subliminalmente il contributo di tutti gli astanti, presenti e sopravvenienti. L'improvvisato "simposio" necessitava di un calice propiziatorio. Decido di stappare un Riesling Trocken 2008 Nussbrunner dell'azienda SCHLOSS SCHONBORN.
Si favoleggia sul primato della tecnica enologica dei francesi ma quando ci si imbatte in un prodotto dei "signori del freddo", come amo appellare i viticoltori tedeschi, si resta attoniti. A certe latitudini ritrovare lampi di solarità, intensità di tocco, spettri aromatici esotici ha del miracoloso. Siamo già un piccolo gruppo attorno alla bottiglia appannata ad avere gli occhi ridenti e lucidi di godimento.
Poi l'universo si allinea alle attese e alla chiamata: assistiamo all'ingresso e all'incedere trionfale del Barbaresco 2006 di Gaja, recato da un Bevitore “randagio”.
Per certi versi il Barbaresco è il prodotto di punta dell'azienda Gaja. I celebrati Sorì magnificano le uve di particolari "cru". Il Barbaresco è invece espressione dell'autentico spirito langarolo, sinfonia di celebrate parcelle che conferiscono materie prime eccellenti per la realizzazione di un "blend" di Nebbiolo unico.
Il vero Barolo, il vero Barbaresco nascono come "blend".Il compianto Bartolo Mascarello ironizzava sull'esistenza di etichette recitanti il nome di una singola vigna. La tradizione ha sempre ignorato questo vezzo. Poi, da consumati "scimmiottatori" dei cugini d'oltralpe, abbiamo riscoperto il concetto di "cru", con buona pace delle antiche e autentiche sapienze italiche.
Scegliamo un tavolo strategico ed un'altra bottiglia che fungesse da ulteriore apripista al Barbaresco. Lo stato di grazia collettivo e ambientale è tale che stappare un Illivio 2001 di Livio Felluga ci è parso sufficiente.
Forse Pinot bianco in purezza, è l'ennesima dimostrazione che l'umidità è il parametro decisivo nella corretta conservazione di una bottiglia, più della temperatura, più dell'esposizione alla luce e agli odori circostanti. L'etichetta innervata di spore muffite lo dimostra.
Finalmente si passa a Gaja. Il "bouquet"  è da brividi, vero riepilogo didattico delle fragranze tipiche di un nebbiolo di Langa. Su tutto note di confettura di more e liquirizia.
All'assaggio una nota leggermente sfocata: si avverte il morso di un tannino ancora ruvido. E qui occorre una divagazione, “alla leggera”, di natura squisitamente tecnica.
L'armonia di un vino si gioca principalmente nella perfetta integrazione e riduzione in equilibrio delle colonne portanti della sua struttura: tannini e acidità.
Entrambe si abbeverano alla stessa fonte: il liquido secreto dalle ghiandole salivari. I tannini lo aggrediscono e lo prosciugano col conseguente effetto allappante. In assenza di saliva l'acidità non è ammorbidita, i suoi spigoli smussati, le sue asperità avvolte. L'acidità promuove da sé la salivazione ma il tannino "duro", dai polìmeri corti e uncinati, la azzera. Fortunatamente beneficiamo del soccorso degli umori sanguigni di una spettacolare bistecca "scozzese" di 1, 3 Kg. Il flusso sensoriale, turbato dal portato tannico del Barbaresco di Gaja, riprende a scivolare fra lingua e palato.
Il tannino "duro", non certo da rintracciare nel vino  di Gaja, chimicamente diverso da quello che risiede sulla buccia e nella polpa dell'acino e senza considerare l'apporto del "dolce" tannino "gallico" del legno, si annida nel rachide(che natura ha creato per reggere i pomi, l'unica parte utile di frutto).Per questo è in genere un errore non diraspare! I francesi , in annate sfavorevoli, a volte non diraspano. Perchè hanno fatto di necessità virtù. Il problema è quello atavico di avere “consistenza” a fronte di  uve che il famoso enologo Emile Peynaud definiva, nel migliore dei casi, "d'argento". Quando la natura è avversa e la materia prima è inconsistente per la cronica difficoltà del frutto a maturare dove imperversano freddi e nebbie, la struttura va costruita con i materiali per così dire di scarto. I francesi, specificatamente in Borgogna, spesso lo fanno. Un esigenza "tecnica" per reperire "struttura". Non c'è poesia, non c'è sapienza enologica in questo. I prolungati affinamenti in vetro hanno il malcelato scopo di centrare una quadratura gustativa nel magico crogiuolo della maderizzazione, nella misterica "roulette russa" dell'ossidazione. Il Barbaresco Gaja non ha di questi problemi. E' quasi perfetto da subito!
In Italia non si ha bisogno né di zuccheraggio(per i francesi "chaptalisation", sembra quasi una pratica innocua e non un trucco come la concentrazione dei mosti , le micro-ossigenazioni e diavolerie del genere), né di sfibranti invecchiamenti.
In Italia non si hanno formidabili durezze da rendere sorbibili.
I francesi straparlano di un approccio naturale nelle vinificazioni e dimenticano un dato certo: la natura fa fruttificare la vigna tutti gli anni e imprime nel suo "dna" un chiaro messaggio volto alla fruizione del suo frutto e non alla sua conservazione.
A volte la conservazione non va mitizzata perché  è un artificio per salvare capre e cavoli. Si conserva perché forse non si è in grado di fare vini buoni da subito o in tempi ragionevoli.
Peccato che tutto questo (spesso in malafede) si traduca in facili slogan ( il vino più è vecchio, più è buono; occorre dimenticare le bottiglie in cantina per cogliere futuri e ipotetici apogèi espressivi; etc etc)
Se ad un’apertura precoce  il vino risulterà buono avranno parzialmente torto i profeti della bevuta assolutamente da differire nei decenni a seguire. Anche se il vino dovesse risultare eccellente dopo vent'anni! Se lo è anche adesso ha ragioni diverse per esserlo. Oggi il frutto, domani tannini più setosi.  E'  solo una questione di gusti prediligere una combinazione gustativa invece che un'altra, non un valore assoluto.
In Italia, nei quartieri alti della critica enologica, non si ama molto il frutto. Viene considerato banale, volgare, un non valore.
Quante occasioni di piacevolezza dispersa per puro pregiudizio! E'  come se, potendo amare una splendida ventenne, si decidesse di preferire aprioristicamente e acriticamente sempre una fascinosa quarantenne, dando per scontato lo splendore della gioventù e raro e prezioso lo "charme"  conseguito col tempo. Ma chi ci darà la lucentezza, i profumi, la freschezza degli anni dorati che vedono da presso i trascorsi adolescenziali e si dipanano ai prodromi della maturità? Poi, nell'accostarsi ad un nettare vetusto, si dovrebbe sempre esercitare il salutare esercizio del dubbio. L'apparato sensoriale gusto-olfattivo ha un grosso limite: la decrescente obiettività percettiva. Uno spettro aromatico difettoso è sempre meno tale se sottoposto a reiterate olfazioni. Di sorso in sorso le nari e le papille gustative registrano sempre meno frizioni, sempre più levigate ruvidità. Dell'esperienza della progressiva minore consapevolezza dei difetti ne è piena la quotidianeità. Solo gravi disarmonie tengono in scacco il naturale processo fisiologico dell'assuefazione .Dovremo diffidare di noi stessi quel tanto che basta per evitare clamorose disincronie  fra quanto percepito all'inizio della degustazione e alla fine della stessa. Per non parlare delle prolungate ossigenazioni. Vantaggiose ma senza esagerare. L'aria è e resterà sempre un nemico per il vino una volta giunto nella sua vitrea destinazione finale.
Si favoleggia su vini che richiederebbero "stappaggi" addirittura anticipati di giorni. Leggende come quelle relative alla corretta conduzione di bottiglie vegliarde fuori dalla cantina al ritmo di un gradino al giorno, tanto care alla complessa mitologia enologica francese. Non ultima poi la considerazione che i vini vetusti tendono ad assomigliarsi un po’ tutti: non è esaltante la prospettiva che tra un barolo ed un brunello conservati trent’anni non c’è poi tanta differenza!
Rosario Tiso


domenica 29 marzo 2015

Comunque sia


Evapora la finezza,
l'eleganza,
l'apparenza,
......l'ancoraggio gentile
della gentilezza
sembra assumere
la maschera del leggibile
attraverso
un riflesso di luce.
Questo non può essere sentito
confrontandoci brutalmente
con le tracce e i gesti,
è inutile sovvertire
la chiarezza,
l'ampiezza,
l'evidenza,
e come una nube sottile
raccolgo strati.
Alfredo d'Ecclesia

Esiste una stanchezza


Esiste una stanchezza dell'intelligenza astratta ed è la più terribile delle stanchezze. Non è pesante come la stanchezza del corpo, e non è inquieta come la stanchezza dell'emozione. È un peso della consapevolezza del mondo, una impossibilità di respirare con l'anima." (F. Pessoa)

La forza che difende il cuore dalle ferite è la stessa che gli impedisce di dilatarsi alla sua massima grandezza. Kalhil Gibran

La forza che difende il cuore dalle ferite è la stessa che gli impedisce di dilatarsi alla sua massima grandezza.
Kalhil Gibran

Il compito principale nella vita di un uomo è di dare alla luce se stesso. (Erich Fromm)

(Erich Fromm)

La fiammante esplosione della luce

La fiammante esplosione
della luce,
quando si riversa,
dagli occhi al cuore
è una fonte di magia.
.........Se ne deduce
Che in una sconcertante
realtà,
il nascere
è un punto essenziale,
successiva impronta
di quel singolare
modo ,
chiaramente visibile,
di sollevare lo sguardo
ai confini del cielo.

Alfredo d'Ecclesia

Questi spazi

Questi spazi
avvolgono dalla testa
ai piedi,
in un lungo disseminare
di reticoli ,di tratti.
.........Inoltre ,
anche il gesto,
rivendica la sua
particolarità.
Non fatevi ingannare
da un sorriso,
i rapporti di vicinanza,
possono essere intonati
in maggiore
o in minore,
il divergere
dall'uno
o dall'altro,
fa dell'osservazione,
un atto spontaneo
Alfredo d'Ecclesia

"È felice e grande solo chi, per essere qualcosa, non ha bisogno né di comandare né di ubbidire" Johann Wolfgang Goethe

Johann Wolfgang Goethe

Tutto nella foresta è sincretico...di Marcia Theophilo

Tutto nella foresta è sincretico: un animale crea un rituale. Un fiume può dare nome a una tribù così come il nome di un rio può derivare da un pesce, da un frutto, un nome di un albero può definire il nome di una persona, di un mito, così come il canto di un uccello o il verso di un animale o il suo nome stesso possono dare nome al fiume. Marcia Theophilo

Le persone autentiche


Le persone autentiche si amano l'un l'altra come un lusso, non come un bisogno. Godono nel condividere: hanno tanta
felicità che vorrebbero riversarla in qualcuno. Ma sanno anche suonare le loro vite da solisti. Osho

Vola,gabbiano , guarda coi tuoi occhi/In un sogno tra le nuvole/un sogno azzurro/che abbraccia la terra/sogno sereno e alto/ che solo uccelli accoglie. Marcia Theophilo

Vola,gabbiano , guarda coi tuoi occhi/In un sogno tra le nuvole/un sogno azzurro/che abbraccia la terra/sogno sereno e alto/ che solo uccelli accoglie.
Marcia Theophilo

CRESCERE E' SEMPLICISSIMO ,COME LO SCHIUDERSI DI UN FIORE.- OSHO-

L'unico modo di padroneggiare l'Amore è quello di praticarlo. Non c'è bisogno di giustificarlo o di spiegarlo.


Basta  soltanto praticarlo! La pratica crea il Maestro.

-Don Miguel Ruìz-



Non ha armi Marcia Theophilo, ma è una guerriera. Una combattente amerindia che si batte da più di quarant’anni per la difesa della foresta amazzonica

Non ha armi Marcia Theophilo, ma è una guerriera. Una combattente amerindia che si batte da più di quarant’anni per la difesa della foresta amazzonica

La profondità


La profondità
sperimentata in natura,
suggerisce uno spazio
...fluttuante.
Lo spazio è vivo,
fluido ...
come un sentimento profondo,
percepibile
alla fonte principale.
Non possiamo più ignorare
che il vedere
di una realtà imprevedibile,
si trova sempre al centro.
Non parla,
non pensa...
e al calar della sera,
la natura
escogita sempre
una tradizione universale
Alfredo d'Ecclesia

Di una realtà imprevedibile



Ricordando
le piccole cose,
c'è una tensione,
il cui sapore
si distacca.
......L'amore viene alla superficie,
e venendo alla superficie
bisogna accompagnarlo,
con un contrappunto.
Adesso gli piaceva
passare per il corpo
intero,
asciugare le lacrime,
far riapparire un giorno,
moltiplicare gli intermezzi,
colpire al cuore,
distaccare il sapore,
Eppure a suo modo,
il sorso finito
invita
a riprendere il viaggio
Alfredo d'Ecclesia

Quando non si può dire


Quando disperdendo
le lusinghe dell'immaginario,
l'affetto
rende insostenibile,
l'assenza
...di ogni sogno...
mi ritrovo
tra le tue braccia.
Non è possibile non essere
avido e silenzioso,
non scoprire
l'emozione interna...
chi ama ama,
il mio corpo
accetta di entrare,
come una bacchetta magica,
rinnovandosi
nei riflessi della sera.
Alfredo d'Ecclesia

Sussurrando di traverso


Sussurrando di traverso,
viene lodata,
ricercata,
richiamata,
come un immensa luce.
......Una traccia,
non è mai definita,
invoca,
rende visita,
unisce il caldo al freddo.
Nel sottile distacco,
dove il corpo manca,
la follia amorosa,
è sommersa dalla natura
Alfredo d'Ecclesia

Ciò che desidero, è che tutto sia circolare

Ciò che desidero, è che tutto sia circolare e che non ci sia, per così dire, né inizio né fine nella forma, ma che essa dia,invece, l'idea di un insieme armonioso, quello della vita.
 (Vincent Van Gogh)


di Alfredo d'Ecclesia

Tu sei per la mia mente, come cibo per la vita.

Tu sei per la mia mente, come cibo per la vita.
Come le piogge di primavera, sono per la terra.
...E per goderti in pace, combatto la stessa guerra
che conduce un avaro, per accumular ricchezza.
Prima, orgoglioso di possedere e, subito dopo,
roso dal dubbio, che il tempo gli scippi il tesoro.
Prima, voglioso di restare solo con te,
poi, orgoglioso che il mondo veda il mio piacere.
Talvolta, sazio di banchettare del tuo sguardo,
subito dopo, affamato di una tua occhiata.
Non possiedo, né perseguo alcun piacere,
se non ciò che ho da te, o da te io posso avere.
Così ogni giorno, soffro di fame e sazietà, di tutto ghiotto, e d'ogni cosa privo.
William Shakespeare



Lo spreco della vita si trova nell’amore che non si è saputo dare

Nell'egoistica prudenza che ci ha impedito di rischiare e che, evitandoci un dispiacere, ci ha fatto mancare la felicità. (O. Wilde)

sabato 28 marzo 2015

Flaccianello della Pieve 2007 e Substance 2005



Visitare una zona vinicola non è soltanto trovarvi un agriturismo adeguato e accogliente o giungere nei paesi che hanno fatto la storia del vino italiano e mondiale.
E' rintracciare sul territorio i "cru" più famosi, solcarli attraverso le capezzagne che ne delimitano i confini, seguire sentieri, visitare cantine, degustare vini.
E' immergersi in una particolare dimensione mentale e fisica senza lasciare spazio a nient'altro. E' un'esperienza che richiede concentrazione, silenzio, solitudine.
Quelle cose che risulta difficile vivere bene anche in coppia, se non si è ugualmente e sufficientemente motivati.
Il gruppo poi scatena ben altre dinamiche. Questo non riguarda solo le scorribande sulle strade del vino.
Vale anche per qualsiasi esperienza che accada nel dominio dei sensi o abbia una valenza artistica.
Provo a figurarmi il muovermi sulle tracce di Pavese o di Fenoglio, sullo sfondo del paesaggio langarolo, e cercarle nei luoghi che videro nascere e crescere la loro poetica.
Le loro voci sarebbero inudibili, fatalmente coperte dal rumoroso, giocoso, vociante e distratto incedere del branco. Bisogna stare sulla giusta lunghezza d'onda per apprezzare certe cose e non avere altro a cui pensare.
E' avere una passione di cui occuparsi. E' una questione di priorità. Quando si è in tanti le priorità, evidentemente, possono essere diverse.
Anche bere il vino è un'esplorazione, un avventurarsi lungo percorsi meno noti. Si ripropone lo schema del viaggio e della scoperta.
Da soli è un sogno. Si è giudici e nel contempo messi alla prova. Amanti e amati. Ricettacoli sia del piacere che del suo oggetto. In compagnia è fondamentale l'unità.
Ritengo che nella "coppia"  o al massimo in tre o quattro degustatori risiedano le relazioni ideali per ospitare e condividere un'emozione enoica.
Siamo perciò in tre al  wine-bar Cairoli di Foggia, Fabio, Antonio, e il sottoscritto, ad accostarci ad una bevuta che promette di rientrare nel novero dei "memorabilia": Flaccianello della Pieve 2007 di Fontodi e "Substance" sboccatura 2005 di Jacques Selosse. La storia di Fontodi si intreccia con quella secolare del Chianti.
La "Conca d'oro" di Panzano è la sua culla.
La viticoltura "biologica" è la nuova frontiera per ottenere un frutto di migliore qualità.
In questo contesto il "Flaccianello della Pieve"  è il prodotto della selezione delle migliori uve di vitigni che allignano sul classico "galestro", base ideale per ottenere risultati strabilianti dal sangiovese.
La concia di 20 mesi in rovere di Allier e Troncais consegna un capolavoro che è il fiore all’occhiello di questa superba tenuta.
 Capace di importanti affinamenti in bottiglia, risulta eccellente da subito e sciorina un mirabile equilibrio nonostante il gravame di un consistente peso e di un'ampia complessità.
Il Selosse "Substance" invece è un "unicum" nel panorama champagnistico mondiale.
Chi potrebbe osare il rischio di adottare una procedura concepita per i vini "fortificati" facendo percorrere alla sua "cuvèe"  più atipica le traiettorie gustative disegnate dal metodo "Solera"? Anselme Selosse lo fa.
Fermentato in barrique, il "Substance" subisce il metodo di assemblaggio riservato agli "sherry" ed invecchia poi in bottiglia per almeno sei anni.
S.a. di enorme fascino e suggestione, ha dalla sua l'assenza di qualsiasi ortodossia, se si considera che Anselme non standardizza il gusto evitando accuratamente di utilizzare lieviti selezionati e preferendo l'uso di fruttosio puro per il "dosage" . Ne consegue un prodotto che è l'esatta derivazione della particella di terreno che lo ha generato e dell'uva che ne è stata  colta. Si comincia con il "Substance". Ed è come entrare in un antro magico e segreto. Mai ci era toccato un nettare così misterico ed esoterico. Mai da un'acidità così iridescente e piena era scaturita una carezza gustativa così felpata e lieve.
L'eccellenza della materia prima, il metodo realizzativo, i legni nuovi, la calibrata ossidazione ci consegnano uno spettro olfattivo maturo e complesso dove pullulano note di “boulangerie” e “patisserie” ed imperversano profumi terziari.
In bocca è di una pienezza nervosa e golosa e la persistenza aromatica intensa sembra distendersi all'infinito.
Perfetto l'abbinamento gastronomico con la mortadella d'oca lievemente grigliata: la sua grassezza ha abbassato la febbre dell'acidità e addolcito l'esuberante sapidità.
Col Flaccianello della Pieve 2007 si passa da toni sussurrati a registri monumentali e mastodontici.
La fittezza degli estratti, l'ampiezza dei profumi, il profluvio delle sensazioni tattili e la ridda dei sapori fanno del campione toscano una "portaerei" del gusto. Il portato alcolico non pregiudica l’equilibrio e l'astringenza del poderoso tannino, promessa di lunga e gloriosa prospettiva, è bilanciata dalla succulenza ed untuosità di un perfetto cinghiale in umido.
Il vino risulta organoletticamente incontenibile.
Ad ogni sorso dipana una congenita multidimensionalità. La zattera dei sensi sembra smarrirsi, fallire ogni rotta, inseguire vanamente il miraggio di un discernimento           consapevole    posto al limite estremo dell'orizzonte del gusto.
Ma "...il naufragar è dolce in questo mare…”.
Rosario Tiso