Il poeta
Teognide scriveva : ”gli esperti riconoscono l’oro e l’argento grazie al
fuoco,ma l’animo dell’uomo lo rivela il vino”.
E’ indubbio che il vino ha segnato nella Storia tutti gli aspetti della
vita sociale, culturale e spirituale dell’uomo. Dall’esperto, dall’appassionato,
dal divulgatore, è lecito attendersi una marcia in più,una conoscenza in più,un
afflato più poetico e una tecnica più sopraffina. Grande è la mia sorpresa nel
rintracciare proprio fra gli addetti ai lavori o sedicenti tali carenza di
passione ed ignoranza. Quando muovevo i primi passi nell’approccio al vino ed
ero già motivatissimo,mi colpì una definizione riportata su “Wine Spectator”,
celeberrima rivista americana del settore, soprattutto perché proveniente da uno dei
“guru” della divulgazione enologica mondiale. La locuzione incriminata recitava
pressappoco così: il vino è da annoverarsi fra le gioie “blande” della vita. Gioia
“blanda” ?Detto così è un perfetto “ossimoro”. Da quando in qua una gioia è “blanda”?
Una gioia è per sua definizione briosa,coinvolgente,esplosiva. Dalla bocca di chi del vino ha fatto il suo lavoro una simile
definizione risulta quasi blasfema. E denuncia la mancanza di vera passione.
Quella che ti fa essere tutto e intero
in ogni istante dedicato al suo
oggetto. Ancora peggio è l’ignoranza. O meglio,chi fa dell’ignoranza la sua
personalissima formula di poesia. Chi non vuol capire o che ritiene pleonastico
il cercare di farlo rende il vino e tutto quello che ci gira intorno una
questione grottesca. Il conoscere viene archiviato come sterile
nozionismo;l’approfondire considerato una roba da maniaci e da “noiosi” parolai
e perfezionisti. La verità è un’altra. Chi ama il vino non ritiene superfluo esplorare
le pieghe enoiche di una regione (quantunque l’indimenticato e indimenticabile
Mario Soldati considerasse marchi
d’infamia le “doc” e le “docg”! ),perché sa che dietro la scoperta di quei
luoghi si dispiega tutto il mistero e la magìa del vino. E conosce tutti i nomi, così come un professore
di storia sa chi sono stati tutti i Re
di Roma e considera questo un punto di partenza. Che un appassionato di
fotografia disquisisca sugli “obiettivi” di una macchina fotografica, di “otturatori”
e “tempi di esposizione” non è strano, né disdicevole. Parimenti
verrebbe naturale pensare che un degustatore di vini,professionista o
meno,si interessi di tecniche di
vinificazione e colturali,di pratiche di cantina e di conservazione,senza
ingenerare negli astanti stupore o tedio. La noia, il pressappochismo, una
certa impazienza denunciano mancanza di passione e una certa inadeguatezza. Il
vero enofilo ha nel vino un oggetto del desiderio sotto tutti i punti di
vista.Negli anni ho individuato diverse categorie di bevitori. Provo a
descriverle. La schiera più numerosa è quella dei collezionisti. Hanno l’impulso irrefrenabile a conservare
bottiglie e soprattutto istantanee dei loro momenti enoici ( con l’avvento di
facebook poi si rasenta la malattia!). Come ragazzini che attaccano figurine sui loro album, snocciolano
il rosario di bevute fatte,presunte e di là da venire con l’intento di sembrare
onnicomprensivi e onnipresenti. Raramente capiscono quel che fanno e bevono
tutto per non bere niente,come accade in quelle Kermesse vinicole dove si
stappa l’impossibile e non si parla in fondo di nulla. Poi ci sono i
“rigattieri” del gusto. La Necrofilia enologica è la loro passione. Rossi senza più tracce di
frutto,bianchi ossidati,champagne che hanno perso da tempo le bollicine sono
le loro specialità. Per questa categoria
di palati il meglio deve sempre arrivare,i tannini devono sempre
ammorbidirsi,la terziarizzazione ancora compiersi . Responsabili dello scempio
di bottiglie perfette condotte allo stremo della loro resistenza
organolettica,i necrofili del vino credono ai
miti trasmessi da una critica enologica che incensa se stessa e non c’è
scienza che possa scuoterli dal loro torpore intellettuale. Per loro si parlerà
ancora di brunelli centenari,di bordolesi del secolo scorso,di
fantasmagoriche bottiglie trovate in
ogni dove(per mari,per laghi,in fondo a cavità di ogni genere,sepolte,murate…)
e ancora miracolosamente performanti. Tanto chi può smentirli questi “Templari”
del gusto? I “salutisti” sono i meno simpatici. Perché mettono le briglie al
piacere,unico vero motore dell’esistenza. Sorseggiano il vino come una medicina
e questo è francamente molto triste e scoraggiante. Da loro solo conteggi(un
bicchiere al giorno,mezzo bicchiere a pasto…) e poche emozioni.
Dirò ogni
bene invece degli edonisti e dei poeti. Sono loro fra i bevitori gli unici veri
benefattori. Sanno regalare la gioia e il sogno,tutto quanto occorre per lenire
le sofferenze dell’umano transito in questa valle di lacrime. E sarò indulgente
con i tecnicisti di ogni sorta. Godono nello spaccare sempiternamente il
capello della cultura enoica,prodigandosi meritoriamente. Fanno cultura. Poco
male se spesso sfiancano un uditorio non
altrettanto motivato:il problema è di quest’ultimi,non loro.
Concludendo?
Ognuno innalzi il calice a modo suo,con le sue modalità. Ma nessuno si sogni di
pontificare su alcunchè: il vino ci ha preceduti e ci sopravviverà, è materia
universale e infinita e sarà sempre e soprattutto dispensatore cosmico di
oblio.
Rosario Tiso