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lunedì 19 gennaio 2015

I custodi della tradizione



Esistono persone semplici e schiette che associano la modernità alla tradizione accortamente, come la massaia fa con le ulteriori  manciate  di farina e acqua calibrandole e aggiungendole all’impasto a cui è intenta. Alcuni uomini e donne di Langa  sono monumenti di sapienza e lungimiranza. Sono icone dell’idealità in senso lato. Di una perduta percezione di bellezza. Bartolo Mascarello per esempio. Non c’è più ma ha piantato per effusione nella figlia Maria Teresa un seme di continuità. Negli occhi di lei sembrano lampeggiare i suoi,come pure nel suo impeto muliebre lingueggia un furore virile. Per Lei il Barolo continua ad essere compendio di uve Nebbiolo provenienti  da diversi vigneti, che si combinano assieme per dare caratteristiche diverse. Potrebbe spuntare ,nell’era delle MGA,su alcune parcelle di proprietà di grandissimo richiamo(Cannubi ad es.),prezzi  superiori per le sue bottiglie. Ma non lo fa. Perchè  il profitto non è poi così importante. Come per un altro grande produttore di Barolo:Beppe Rinaldi .Da tempo prevale il discrimine affaristico in terra di Langa ma Lui non se ne cura. A cominciare dalle etichette,vero emblema e traccia  del passato,tutto il suo fare e il suo dire trasuda nobiltà di intenti e amore per la tradizione che vuole riportare nella sua primigenia purezza tal quale nel bicchiere. Da loro, Mascarello e Rinaldi, i primi nebbioli “celesti” che ho assaggiato in vita mia. Maria Teresa Mascarello , quando l’ho conosciuta in visita a Barolo con un gruppo di amici,  ci ha accolti nella sua casa come un’amica. Con Lei , ancora una volta ho visto sgorgare da arcane sorgenti  la magìa di uno spontaneo e intimo fraseggio interiore. Forse erano così i rapporti umani prima che si decidesse di blindarli in schematizzazioni esasperanti che quasi ne precludono  la possibilità. L’intelligente ironia disegnata sul viso di Maria Teresa è stato il grimaldello psicologico capace di far saltare la reciproca paralisi comportamentale. Si è scivolati  dolcemente in una calda e avvolgente familiarità. Un piccolo siparietto comico mi ha visto affermare di aver bevuto il Barolo 2007 un anno prima  nonostante Maria Teresa lo ritenesse impossibile essendo appena uscito. L’emozione mi ha giocato un brutto scherzo:il barolo bevuto era del 2003. Per quanto riguarda la degustazione in cantina  è il Barolo del 1986,in versione magnum,il “coup de theatre” che ci ha  riservato Maria Teresa. Il cuore era ricolmo di gratitudine nell’accostare il bicchiere al collo della bottiglia,adagiata in uno scranno e,di volta in volta ad ogni accostamento,lievemente inclinata per versarne il prezioso contenuto. Il colore brillante che promanava  dal disco roteante faceva  da contraltare ad occhi irradianti eccitazione. Era  ancora rosso rubino con unghia granata la livrea che rivestiva  il  vetusto campione di Bartolo Mascarello. Dal bevante salivano  effluvi di frutti rossi sotto spirito e una vivace nota foxy. Al gusto lampeggiavano  acidità e tannini, ancora ben presenti. Una delizia pronta a deliziare.
La stessa “aura”  incorniciava  Giuseppe Rinaldi . Da tutti  considerato un maestro del Barolo, è da sempre preceduto dalla sua fama, anche un po’ sinistra: il ”Citrico”, come per dire burbero e caustico. Così lo hanno soprannominato. Pertanto prima dei suoi vini incuriosisce l’uomo. Perchè è il suo facitore a infondere l’anima al vino. Incontrare Giuseppe è stata un’autentica sorpresa. E’ una personalità d’altri tempi con un raro senso dell’informalità e dell’essenzialità  e in possesso , altro che “Citrico”, di una profonda delicatezza interiore. Perchè la sua anima si apre al prossimo,straniero e stranito,petalo per petalo,man mano che la distanza con l’altrui indifferenza si accorcia. Parte così un dialogo in punta di piedi che si evolve fino ai prodromi  della confidenza. I suoi vini sono il contrappunto di questo regalo d’intimità. Verticali,tesi,succosi fino all’exploit organolettico del Barolo Brunate 2008,prelevato dalla botte in un impeto di generosità solo per noi. Un gesto e un vino indimenticabili.Maria Teresa Mascarello e Giuseppe Rinaldi sono i custodi della tradizione,intesa come funzionale alla qualità del prodotto senza pericolo di macchia alcuna che ne adombri  l’arcana illibatezza. E’ questo il motto che come una litania riecheggia intermittente nelle parole di chi ci ha accolto amorevolmente. E’ questa la  filosofia di vita e di lavoro che come una liturgia promette di non cambiare. Il vino, rispecchiante le caratteristiche peculiari del terroir di Barolo,è invece destinato a cambiare una volta in bottiglia,come di cosa viva che si evolve. Ma è buono da subito come tutti i fuoriclasse. La classe in un vino è qualcosa di difficile interpretazione e determinazione ma è sicuramente legata all’equilibrio senza il quale anche il più massivo e opulento dei campioni  risulterebbe sgraziato. I vini di  Maria Teresa e Giuseppe sono equilibratissimi e pronti ad affrontare un futuro pieno di insidie come i migliori nebbioli in terra di Langa. Ai grandissimi o promettenti tali saran perdonati peccati aromatici e gustativi veniali. Dai “nostri”, nella freschezza intonsa di millesimi esordienti,nessuna  traccia di peccato. Il tempo fatalmente produrrà la consueta terziarizzazione. Cambiamento che sarà apprezzato da chi saprà o vorrà farlo. Io non ho saputo aspettare evoluzioni  o imbrunimenti  e ho placato l’ansia dell’amico “liquido” , accogliendo i nettari recati meco  nella “tomba” esofagea  subito, appena di ritorno a casa.
Rosario Tiso












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