Esistono persone semplici e schiette che associano la modernità alla tradizione accortamente, come la
massaia fa con le ulteriori
manciate di farina e acqua calibrandole
e aggiungendole all’impasto a cui è intenta. Alcuni uomini e donne di Langa sono monumenti di sapienza e lungimiranza.
Sono icone dell’idealità in senso lato. Di una perduta percezione di bellezza.
Bartolo Mascarello per esempio. Non c’è più ma ha piantato per effusione nella
figlia Maria Teresa un seme di continuità. Negli occhi di lei sembrano
lampeggiare i suoi,come pure nel suo impeto muliebre lingueggia un furore
virile. Per Lei il Barolo continua ad essere compendio di
uve Nebbiolo provenienti da diversi
vigneti, che si combinano assieme per dare caratteristiche diverse. Potrebbe
spuntare ,nell’era delle MGA,su alcune parcelle di proprietà di grandissimo
richiamo(Cannubi ad es.),prezzi
superiori per le sue bottiglie. Ma non lo fa. Perchè il profitto non è poi così importante. Come
per un altro grande produttore di Barolo:Beppe Rinaldi .Da tempo prevale il
discrimine affaristico in terra di Langa ma Lui non se ne cura. A cominciare
dalle etichette,vero emblema e traccia
del passato,tutto il suo fare e il suo dire trasuda nobiltà di intenti e
amore per la tradizione che vuole riportare nella sua primigenia purezza tal
quale nel bicchiere. Da loro, Mascarello e Rinaldi, i primi nebbioli
“celesti” che ho assaggiato in vita mia. Maria Teresa Mascarello , quando l’ho conosciuta in visita a
Barolo con un gruppo di amici, ci ha
accolti nella sua casa come un’amica. Con Lei , ancora una volta ho visto sgorgare
da arcane sorgenti la magìa di uno
spontaneo e intimo fraseggio interiore. Forse erano così i rapporti umani prima
che si decidesse di blindarli in schematizzazioni esasperanti che quasi ne
precludono la possibilità.
L’intelligente ironia disegnata sul viso di Maria Teresa è stato il grimaldello
psicologico capace di far saltare la reciproca paralisi comportamentale. Si è scivolati
dolcemente in una calda e avvolgente
familiarità. Un piccolo siparietto comico mi ha visto affermare di aver bevuto
il Barolo 2007 un anno prima nonostante
Maria Teresa lo ritenesse impossibile essendo appena uscito. L’emozione mi ha
giocato un brutto scherzo:il barolo bevuto era del 2003. Per quanto riguarda la
degustazione in cantina è il Barolo del
1986,in versione magnum,il “coup de theatre” che ci ha riservato Maria Teresa. Il cuore era ricolmo di
gratitudine nell’accostare il bicchiere al collo della bottiglia,adagiata in
uno scranno e,di volta in volta ad ogni accostamento,lievemente inclinata per
versarne il prezioso contenuto. Il colore brillante che promanava dal disco roteante faceva da contraltare ad occhi irradianti
eccitazione. Era ancora rosso rubino con
unghia granata la livrea che rivestiva il vetusto campione di Bartolo Mascarello. Dal bevante
salivano effluvi di frutti rossi sotto
spirito e una vivace nota foxy. Al gusto lampeggiavano acidità e tannini, ancora ben presenti. Una
delizia pronta a deliziare.
La stessa
“aura” incorniciava Giuseppe Rinaldi . Da tutti considerato un maestro del Barolo, è da
sempre preceduto dalla sua fama, anche un po’ sinistra: il ”Citrico”, come per
dire burbero e caustico. Così lo hanno soprannominato. Pertanto prima dei suoi
vini incuriosisce l’uomo. Perchè è il suo facitore a infondere l’anima al vino.
Incontrare Giuseppe è stata un’autentica sorpresa. E’ una personalità d’altri
tempi con un raro senso dell’informalità e dell’essenzialità e in possesso , altro che “Citrico”, di una
profonda delicatezza interiore. Perchè la sua anima si apre al
prossimo,straniero e stranito,petalo per petalo,man mano che la distanza con
l’altrui indifferenza si accorcia. Parte così un dialogo in punta di piedi che
si evolve fino ai prodromi della
confidenza. I suoi vini sono il contrappunto di questo regalo d’intimità.
Verticali,tesi,succosi fino all’exploit organolettico del Barolo Brunate
2008,prelevato dalla botte in un impeto di generosità solo per noi. Un gesto e
un vino indimenticabili.Maria Teresa Mascarello e Giuseppe Rinaldi sono i custodi della
tradizione,intesa come funzionale alla qualità del prodotto senza pericolo di
macchia alcuna che ne adombri l’arcana
illibatezza. E’ questo il motto che come una litania riecheggia intermittente
nelle parole di chi ci ha accolto amorevolmente. E’ questa la filosofia di vita e di lavoro che come una
liturgia promette di non cambiare. Il vino, rispecchiante le caratteristiche
peculiari del terroir di Barolo,è invece destinato a cambiare una volta in bottiglia,come
di cosa viva che si evolve. Ma è buono da subito come tutti i fuoriclasse. La
classe in un vino è qualcosa di difficile interpretazione e determinazione ma è
sicuramente legata all’equilibrio senza il quale anche il più massivo e
opulento dei campioni risulterebbe
sgraziato. I vini di Maria Teresa e
Giuseppe sono equilibratissimi e pronti ad affrontare un futuro pieno di
insidie come i migliori nebbioli in terra di Langa. Ai grandissimi o
promettenti tali saran perdonati peccati aromatici e gustativi veniali. Dai
“nostri”, nella freschezza intonsa di millesimi esordienti,nessuna traccia di peccato. Il tempo fatalmente
produrrà la consueta terziarizzazione. Cambiamento che sarà apprezzato da chi
saprà o vorrà farlo. Io non ho saputo aspettare evoluzioni o imbrunimenti e ho placato l’ansia dell’amico “liquido” , accogliendo
i nettari recati meco nella “tomba”
esofagea subito, appena di ritorno a
casa.
Rosario Tiso
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