Da un po’ di
tempo a questa parte la mirabile
definizione “vino da meditazione” coniata da Luigi Veronelli nell’epoca aurea della letteratura enoica sembra non
essere più così apprezzata dalla critica enologica imperante,specie quella
rampante. C’è chi la definisce obsoleta,chi parla di onanismo intellettuale,chi
la trova antipatica e addirittura chi ritiene di dover spiegare che la
meditazione è altra cosa dal bere e degustare un vino quasi come se il
“letterato”Veronelli fosse passibile di questa postuma correzione. Trovo tutto
ciò francamente sconcertante. Nella lingua italiana il termine meditazione può essere accolto in
una duplice accezione:o s’intende come una prolungata e intensa applicazione
delle proprie facoltà spirituali e intellettuali su di un oggetto quali un
argomento(il vino?!?) o un problema o ci si riferisce ad una pratica ascetica
consistente in una forma di preghiera mentale fatta di
contemplazione,riflessione,nobile silenzio in cui il discorso interiore cessa
fino al conseguimento di un nudo senso di purezza. Ma non occorre arrovellarsi più di tanto. Veronelli fornì in
vita la definizione esatta di quel che voleva significare. Per “vino da
meditazione” intendeva un “…vino a
sé,così completo e concettoso da esigere d’essere consumato per se solo…”.
Chiarissimo. Si parla di vini che azzerano altre pulsioni e altri bisogni.
Forse il termine scaturì dalla beva del Picolit di “Rocca Bernarda” o da una
imprecisata annata di Chateau d’Yquem. Sembra infatti che la definizione
calzasse a pennello per vini botritizzati ,passiti o liquorosi. Quanto può
valere questo termine oggi? Veronelli reinventò il linguaggio enoico come Brera
rivoluzionò il lessico sportivo e calcistico. Ogni epoca ha il diritto di
coniare nuove forme di espressione ma non il dovere di rottamare alcunchè fino
a quando non si imponga l’evidente inutilità e invalidità dell’assunto. Non è
certo il caso della definizione “vino da meditazione”. Anzi,è una dimensione suscettibile di espansione. Vini
simili sono molti di più di quanto comunemente si creda. Non vi è mai capitato
di bere un nettare che ti soggioga organoletticamente a tal punto da
dimenticare di mangiare,di parlare,di relazionarti col mondo,che ti fa
desiderare solo il defilarsi,il rifugiarti
nella benedetta isola della solitudine? A me si. Tante volte e non solo
con passiti. Con bianchi,rossi e bollicine. E capisco benissimo ogni volta cosa
volesse intendere Gino Veronelli e lo ringrazio ancora per averci fornito una
definizione pressochè immigliorabile per descrivere un momento,una condizione,un’emozione
ineffabile. Ho il sospetto che taluni critici manifestino un loro limite. Non
si può spiegare a nessuno qualcosa che non abbia capito già. E i detrattori del termine “vino
da meditazione” probabilmente non appartengono alla genìa di quegli spiriti
capaci di volteggiare nell’elisie sfere del piacere senza ormeggi e limitazioni
di sorta,soprattutto concettuali e lessicali. Certe cose o le si ha dentro o
non si possono mutuare da nessuno .
Rosario Tiso
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